Lockdown n. 28 – Lo stigma del sesssantenne

Mentre nelle nostre contrade si distribuiscono confezioni di gelati in scadenza e mascherine usa e getta non per tutti, si trascina l’interminabile stagione dell’isolamento che scava nella mente dei cittadini, provocando effetti preoccupanti. Da qualche giorno, tuttavia, l’attenzione sembra essersi spostata dalla guerra ancora in corso con il coronavirus al dopo. Alla ripresa, alla riapertura, al lento, perché tale dovrà essere, ritorno alla normalità che non sarà davvero normale. E tra i dibattiti ed i processi mediatici che caratterizzano il momento di lieve pausa dal contagio, il problema fondamentale sembra essere diventato l’anziano. Quello che secondo la psicologia del ciclo di vita ha più di 60 anni. Anzi la nuova emergenza riguarda proprio i sessantenni. Esclusi da ogni attività, fino a ritenerli inidonei al lavoro, se non si sottoporranno ai test sierologici previsti ma non disponibili, in regioni come la Lombardia addirittura vietati. Si può immaginare quale sia lo sconcerto fra questa fetta così numerosa della popolazione italiana, divenuta di colpo a rischio. Dopo che nel recente passato veniva considerata abile, “diversamente giovane”, dentro un Paese in cui la speranza di vita ha raggiunto ormai quasi gli 85 anni e l’età media i 45. Resta il fatto che più di 15 milioni di italiani, a pochi giorni dal fatidico 4 maggio, data della prima apertura del lockdown, non sanno che fare. Perché trovare un somministratore di esami per attestare eventuali positività è destinato a diventare un pensiero fisso. Altrimenti, in età non ancora pensionabile (è a 67 anni), si potrebbe finire fuori dal lavoro, costretti a rimanere ancora in clausura, assieme alle persone più vecchie di loro. Almeno ci fosse un piano nazionale valido per tutti.

Lockdown n. 28 – Lo stigma del sesssantenneultima modifica: 2020-04-24T10:28:45+02:00da carlopicone1960