25° p.c. – Vigilia

Mentre l’Italia insieme ad atri paesi europei, come Germania, Francia e Olanda, scommette sul vaccino anti-Covid, al quale stanno lavorando i ricercatori dell’Università di Oxford in collaborazione con l’azienda Irbm di Pomezia, siamo alla vigilia del primo atto formale che darà inizio agli Esami di Stato 2020. La riunione preliminare d’insediamento delle commissioni interne, integrate dalla presenza di un presidente esterno, costituisce, infatti, l’abbrivio di un appuntamento destinato a rimanere nella storia, a causa delle condizioni speciali che lo caratterizzeranno. L’emergenza virus segnerà in maniera indelebile la memoria di maturandi e docenti impegnati in una prova rimasta in bilico durante i mesi più bui del lockdown. Domani mattina le commissioni esaminatrici, in presenza,  organizzeranno il calendario dei colloqui, fissando regole e modalità, mentre per i candidati si tratterà di aspettare fino al 17 giugno per cominciare. Sulla carta, la prova, limitata esclusivamente ad un’ora di discussione con docenti già conosciuti ad eccezione del presidente, appare come un’evidente semplificazione dell’Esame tradizionale, in cui gli scritti si rivelavano decisivi. Stavolta, invece, tutto è orale: gli argomenti della prova delle discipline di indirizzo saranno sviluppati in elaborati pre-concordati con il docente curricolare; così come gli studenti sapranno prima i testi d’italiano da commentare. Restano solo i materiali, proposti dai singoli commissari, a rendere un po’ meno scontato l’esito della Maturità 2020. Con i saperi da indagare ridotti all’osso e tanto fastidio causato dalle misure di sicurezza anti-contagio: candidato senza mascherina a 2 m. dai commissari, bardati di tutto punto (mascherine, visiera in plexiglas, magari pure guanti monouso). Per cinque ore al giorno, si tratterà di una prova di resistenza fisica e psichica, in cui gestire la tensione delle particolari condizioni ambientali insieme all’emotività dei ragazzi. Loro, come qualche osservatore ha evidenziato, la maturità l’hanno già conquistata, comportandosi con senso di responsabilità maggiore rispetto a quello degli anziani, nei momenti più neri dell’emergenza sanitaria. In bocca a lupo a tutti.

Sforzi di normalità

Lentamente ci stiamo avvicinando alla normalità. O almeno ci proviamo. Il contagio sembra ormai un affare del Settentrione, dove pure ci si sforza di superare l’emergenza. Mentre qui, in Campania, il pericolo viene avvertito più lontano. Tanto che si aspetta l’ordinanza liberatoria del governatore De Luca rispetto all’uso obbligatorio delle mascherine. Del resto, ad osservare i comportamenti dei più giovani, adolescenti in testa, i dispositivi di protezione personale sono diventati dei semplici accessori dell’abbigliamento. Da portare non sulla bocca ed il naso, come si dovrebbe, ma sotto il mento, quando non si decida di farne a meno completamente. Intanto che l’epidemia da Covid-19 non è ancora cessata, da queste parti infatti i ragazzini pare l’abbiano già sconfitta. Vero è che i casi di vite imberbi aggredite dal virus sono stati finora pochi, altrettanto vero che si è come depotenziata la sua carica virale, ma sono tornati i supersantos e le partitelle per strada. Le ragazze continuano a salutarsi con i baci e gli abbracci. E qualcuno si chiede se stiamo correndo troppo. Ma tutto questo potrebbe essere giustificato dai mesi di paura e di clausura che hanno come compresso l’energia vitale dei più giovani. Del resto, tra appena due mesi, saranno chiamati all’enigmatico ritorno a scuola tra mille precauzioni e poche certezze. Mentre nulla si sta facendo per garantire il necessario distanziamento all’interno delle aule. Con le regolamentazioni varie che accompagneranno il fare scuola. Neanche il ridimensionamento del numero di alunni per classe è stato finora progettato. Perché, evidentemente, porterebbe a sdoppiamenti e nuove assunzioni di docenti. Qui, il ritorno alla normalità si fa più problematico.

23° p.c. – Se muore l’Alta Irpinia

Risulta assai interessante il dibattito sull’Alta Irpinia, che in questi giorni attraversa la Rete. Come tutte le zone interne del Meridione d’Italia, quella che paesaggisticamente è la parte più bella della nostra provincia è indicata come la vittima designata di una crisi che nei prossimi mesi, secondo le previsioni di economisti ed esperti, dovrebbe essere ancora più tremenda di quella del blocco totale dovuto   all’emergenza Covid-19. A farne le spese, ovviamente, le aree meno sviluppate. Quelle meno dotate di risorse, dove i tentativi spesso scriteriati di industrializzazione sono stati fallimentari, rendendo illusorie le speranze di benessere di popolazioni quasi costantemente dimenticate. Oggi, però, incombe la paura di finire esclusi dalle politiche di ripresa dalla drammatica sciagura della pandemia, fuori da ogni idea di sviluppo. E l’Irpinia in senso complessivo: non solo l’Alta Irpinia, si ritrova tra due fuochi. Da una parte c’è, infatti, l’incapacità finora manifesta di mettere in campo progetti razionali da parte della classe dirigente a livello nazionale, che stentano ad affiorare. Dall’altra, l’altrettanto deficitaria capacità di progettazioni efficaci per il futuro della nostra terra da parte degli amministratori locali. A cui bisognerebbe aggiungere anche il contributo finora carente dei politici vecchi e nuovi di riferimento, e perché no degli stessi intellettuali irpini, tutti chiamati, adesso, a pensare con maggiore intensità ai destini di una provincia che, povera di infrastrutture e servizi, potrebbe davvero rinascere. Nel senso di nascere a nuova vita, solo se l’intera comunità, recuperato lo spirito collettivo e la necessaria coesione, si stringerà intorno all’obiettivo della migliore vivibilità. Per allontanare ogni pericolo di estinzione.

22° p.c. – Estate covid

Attaccati ai dati che quotidianamente aggiornano il conto dei morti e dei contagi, con il secondo risultato che ha preso ormai il sopravvento sul primo, siamo entrati nella cosiddetta “fase 3”. Senza neanche aver terminato la precedente di fine lockdown e lenta ripresa della normalità. Lo step successivo dovrebbe essere quello del completo ripristino di tutte le attività, dal pubblico al privato. Sempre, ovviamente, con le necessarie misure di sicurezza: distanziamento fisico, igienizzazione degli ambienti, mascherine, che restano obbligatorie almeno in Campania, sanificazioni, test seriologici su base volontaria e tamponi, dove possibile. In poche parole, la convivenza con il Covid-19 prosegue, evolvendosi. E per certi aspetti diventa più sopportabile. L’obiettivo della dimensione regionalizzata del contrasto al virus rimane quello di raggiungere la condizione che permette la liberazione dai dispositivi di protezione individuali, le famigerate mascherine. Per diventare zona “covid free” c’è bisogno però che il dato zero contagi assuma cararatteri di continuità prolungata nel tempo. Al momento, c’è sempre qualche piccolo numero che frena la completa liberalizzazione. Intanto, in questo strano, dal punto di vista climatico, mese di giugno, in cui non sembra ancora arrivata l’estate, solitamente associata a caldo afoso e voglia di mare, ci si arrovella su dove andare in vacanza. Sarà turismo di prossimità quello di quest’anno segnato dalla pandemia. Ma molti saranno quelli che non si muoveranno dalle loro case. In attesa dell’autunno e della paura che possa portare, come già qualcuno prevede, la seconda ondata di contagi.

21° p.c. – La laurea di Claudia

In quest’anno surreale per le attività formative, gli studenti e professori di scuole ed università sono stati costretti a ripiegare sul digitale, tra didattica a distanza, connessioni a piattaforme condivise, lezioni ed esami virtuali per salvare il salvabile. Mentre i ragazzi della secondaria tra pochi giorni saranno alle prese con il primo banco di prova del ritorno alla normalità costituito dall’Esame di Stato in presenza (anche se ridotto alla sola prova orale), hanno perso visibilità mediatica quelli che si laureano discutendo tesi attraverso un pc, collegati al link della commissione esaminatrice. Dopo aver riscosso l’interesse generale, l’anomala condizione dei laureandi on line sembra essere sparita. Eppure continuano le difficoltà tecniche per lo stato della connessione o il funzionamento di videocamere e microfoni, e soprattutto per i tempi estremamente contingentati della seduta di laurea virtuale con valutazione annessa alle relazioni e controrelazioni. Rigorosamente all’insegna della sintesi. Permane la costrizione operata su una delle esperienze più significative che un giovane può vivere: la laurea a conclusione di un percorso di studi molto spesso in salita. Che così perde buona parte della sua carica. Certo l’impatto emotivo per lo studente un po’ disorientato dalle modalità informatiche resta. Come la commozione. Ma non è la stessa cosa. Anche perché l’emergenza Covid-19 limita fortemente i festeggiamenti, i pranzi, gli abbracci, per la regola anti-assembramenti. Comunque, tutto questo lo vivrò oggi nella mia famiglia, con la seduta di laurea casalinga di mia figlia, mentre noi altri saremo in un’altra stanza a provare ad assistere a distanza. O quanto meno ad origliare dietro una porta per partecipare alla sua gioia. Almeno il brindisi però rimarrà lo stesso.

20° p.c. – Dove non c’é la paura

Mentre il Paese entra nella fase 3, quella della ripresa del turismo in entrata ed in uscita, siamo sempre più divisi tra le regioni centro-meridionali, molte delle quali a contagi zero, e la Lombardia, a rappresentare il Settentrione ancora alle prese con l’epidemia da coronavirus. Lì il virus avrà pure perso la sua carica aggressiva, ma resta il fatto che continua a diffondersi, seguendo un andamento variabile fra alti e bassi, che comunque provocano apprensione. Proprio le zone d’Italia più ricche e sviluppate stanno pagando, da mesi, il prezzo più elevato all’emergenza sanitaria iniziata verso le fine di febbraio. Intanto da queste parti, nonostante i numeri minimi dell’infezione, si prova a convivere con la paura che non ci ha abbandonato. Prepotentemente entrata nell’outfit delle persone, la mascherina protegge e cela quasi tutti i volti. Perché permangono quelli che ostentano sicurezza e non la indossano, anzi non l’hanno mai indossata. C’è il macho della medicina fai-da-te; il complottista che non crede nella pandemia o semplicemente chi non la sopporta e per questo sfida il contagio e la multa di 400 euro. Ma per rendersi conto della reale situazione nella città capoluogo basta percorrere  nelle ore centrali del pomeriggio Corso Vittorio Emanuele. E allora il primo impatto è quello di un raduno ferragostano, per la folla di passeggiatori che riducono inevitabilmente il distanziamento sociale. Molti con la mascherina appoggiata sotto al mento, oppure messa a coprire soltanto la bocca e non anche il naso. In uno sfoggio di creatività cromatica e di forme, con cui si cerca di impreziosire uno strumento solitamente usato nelle terapie cliniche, oggi divenuto accessorio irrinunciabile da indossare. Dopo i primi costosissimi esemplari venduti da farmacisti privi di scrupoli, ora sono le chirurgiche più economiche e quelle multicolor dall’efficacia sconosciuta a spadroneggiare. Tuttavia,  tutte le precauzioni saltano all’interno delle strutture in vetro installate davanti ai bar del Corso. Quelle subentrate agli antiestetici gazebo. Ebbene, dentro questi box sfinestrati non si rispetta alcuna norma di sicurezza. Come se si fosse all’aperto. Non c’è più la paura e si ricomincia a vivere, con qualche rischio, la normalità. Mentre i passanti guardano da sotto le mascherine.

19° p.c. – La messa al tempo del Covid

Fa una strana impressione partecipare ad una messa in questi tempi di pandemia, qui occulta ma non definitivamente annientata. Perché le regole anti-contagio, che stabiliscono il distanziamento fisico e il divieto di assembramenti, applicate in ambito religioso hanno l’effetto di snaturare il senso stesso del sacro. Tra steward volontarie che, per tutta la durata del rito, vanno su e giù per la chiesa a controllare i fedeli, i loro movimenti, le loro oscillazioni ed incertezze. Le più solerti di loro si affannano dietro agli impenitenti che non rispettano le rigide disposizioni che permettono la riapertura delle chiese. Dato che c’è sempre qualcuno che non si comporta correttamente o fa finta di non sapere. La coppia di ultraottantenni che rimangono seduti attaccati uno vicino all’altro, mentre i punti da occupare sono indicati da adesivi. La messa è ancora più difficile nelle chiese più piccole, che non ci vuole niente per riempirsi di cattolici osservanti, dove tenersi separati è una vera e propria impresa, pur adoperando mascherine ed altri dispositivi di protezione individuale. Ma nei riti religiosi all’epoca del Covid, anche i cambiamenti, apportati per uscire dalla clausura, li segnano in maniera significativa, con periodici inviti a mantenere le disposizioni di sicurezza, sedendosi a distanzia e senza avvicinarsi troppo quando si deve stare in piedi. E poi la decurtazione dalla liturgia della messa nel momento dello scambio del segno di pace, bruscamente eliminato. Alla fine, rispettando doverosamente le norme anti-assembramento, all’uscita contingentata, ci colpisce come tutte le accortezze seguite all’interno della chiesa vengano fatte saltare da quanti presi da incontenibile slancio si abbandonano a baci e abbracci liberatori non ancora consentiti, che hanno azzerato tutte le precauzioni.

18° p.c. – Della sospensione degli affetti

Fra i dolori più lancinanti provati in questi lunghi mesi segnati dalla pandemia coronavirus, c’è senz’altro quello legato all’impossibilità di accompagnare la dipartita dei propri cari. Nei loro ultimi momenti e in quelli immediatamente successivi. Non ci è stato permesso di piangerli come avremmo voluto e di provvedere in prima persona alla loro sepoltura nelle circostanze emergenziali che ne hanno stravolto le modalità. L’impedimento grave e spietato, che ha portato ad una prolungata sospensione degli affetti più intimi, è stato ricordato nelle scorse settimane da scrittori e saggisti. Qualcuno si è interrogato sulla necessità di tenere chiusi gli accessi ai cimiteri: abbiamo visto cortei di camion militari pieni di bare, ingressi negati, dissacrazione dei riti funebri. Con le vittime di questo periodo spesso confuse per cause, quando ogni morte veniva collegata al virus, divenuto in fretta fonte di una nuova forma di stigma sociale. Del resto, le stesse chiese hanno osservato il regime di chiusura, interrotto solo all’inizio della fase 2. Qualcuno, allora, ha avuto l’opportunità di partecipare ai funerali dei propri cari, rigorosamente evitati durante il lockdown. L’isolamento e la conseguente pratica del distanziamento fisico hanno investito anche il culto dei morti. Non solo i vivi. E anche adesso che siamo entrati nella fase 3, le limitazioni agli eventuali assembramenti sono alquanto pesanti. Ecco quindi che sarebbe sacrosanto, al di là di ogni considerazione religiosa, dedicare una giornata al ricordo delle morti che non abbiamo potuto salutate nei mesi di emergenza sanitaria. Quelle di cui a stento si è potuto assistere alla tumulazione e vedere il feretro sigillato. Per una sepoltura non propria degna, nella paralisi emozionale a cui si è stati costretti. Recuperarne il ricordo nella restituzione degli affetti che non sarà mai sufficiente.

XVII Post Coronavirus – Il giorno di Clemente

Prima o poi dovremo fare i conti seriamente coi motivi dell’insistita espansione nelle province interne del Meridione da parte della Lega. Intanto, ieri pomeriggio, un’altra manifestazione del fenomeno è andata in scena ad Avellino. Con l’arrivo in città, per inaugurare la nuova sede del partito, dell’ex star del Papeete, il signore delle felpe (anche qui, immancabilmente ne ha indossata una dell’Avellino calcio). Il ministro dell’Interno del primo governo Conte, l’autore dei famigerati decreti sicurezza, il gran capo leghista dei 49 milioni di debito da restituire all’erario in comode rate della durata di ottant’anni. Lo specialista nella lotta ai migranti nonché protagonista mancato di due processi per la sua stessa attività, è ritornato nel capoluogo irpino. Matteo Salvini, detto “Clemente” da quando inforca un paio di occhialoni anonimi, appena reduce dagli assembramenti romani altamente a  rischio contagio, è stato accolto dai fedelissimi, in numero minore rispetto ai ragazzini della movida che avevano attorniato il sindaco Festa, sabato scorso a via De Conciliis. Arrivato senza mascherina, forse per una pretesa di immunità al virus, l’esponente dell’opposizione alla maggioranza di governo è stato protagonista di un altro assembramento in terra avellinese. Nonostante le spropositate misure di sicurezza. Non ha lesinato selfie, la sua riconosciuta specialità, sfoderando la mascherina tricolore appena entrato nella nuova sede in via Tagliamento dove ad accoglierlo c’erano i leghisti della prima ora come la già candidata sindaco Bianca Maria d’Agostino. L’entusiasmo, anche se numericamente meno rappresentato, intorno a Salvini è sempre notevole da queste parti. E non si sa perché. Già può vantare qualche sindaco irpino nel suo schieramento. Ed è importante sottolinearlo, ieri, sotto la sede leghista, erano in prevalenza militanti provenienti dalla provincia. Dato a suo modo ancora più sconcertante. Così, figura decisamente migliore l’hanno fatta i napoletani, che, visitati in rapida successione nel tour campano di Salvini, l’hanno praticamente cacciato, contestandolo sonoramente dopo l’atto di pura strumentalizzazione politica davanti all’altarino che ricordava la morte dell’agente di polizia, Pasquale Apicella. Ecco, gli irpini dovrebbero imparare ad esprimere il proprio dissenso con la dovuta determinazione nei confronti di quanti, Salvini ad esempio, li sfrutta esclusivamente per fini elettorali. Solo come votanti, ignorando tutto il resto.

XVI p.C. – La liberazione dalla mascherina

Aumentano le regioni italiane a contagio zero. Ma ce ne vuole ancora prima di dichiararle zone covid free. Anche perché dove si è provato a farlo, i dati dell’epidemia hanno subito smentito i facili entusiasmi per la sospirata liberazione dal virus. Poi, del resto, l’apertura delle frontiere regionali, avvenuta dallo scorso 3 giugno, rimette in allerta i governatori centro-meridionali che finora si sono dovuti misurare con il contenimento di un’emergenza sanitaria non particolarmente virulenta come al centro-nord. Con test seriologici e tamponi che restano delle opportunità lontane per testare lo stato di salute dei “terroni” per antonomasia. Nonostante sui media continui imperterrita la campagna promozionale del ricorso ai due metodi: extrema ratio per verificare la positività o meno dei potenziali malati, asintomatici compresi. Intanto, non può che confortare il susseguirsi di dati favorevoli nel contrasto alla pandemia specie al Sud. Con la Basilicata, la Calabria e un poco più staccata la Campania a spiccare per il basso numero di persone entrate in contatto con il virus. Anche la Puglia, la Sicilia e la Sardegna veleggiano verso la liberazione dalle mascherine, opportunità fornita dall’azzeramento continuato dei contagi. Lo stesso si registra altrove: nel piccolo Molise nonché nell’Umbria primatista in tutte le graduatorie per le poche vittime e la cifra risicata di positivi. Il quadro nazionale conferma sempre più la matrice lombarda di un’emergenza da cui ancora non possiamo dirci usciti. Con ramificazioni in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Liguria a formare un cono d’infezione dello stesso tipo di quella di Wuhan. Ma un po’ di speranza in più viene dal progressivo avanzamento verso la liberalizzazione del pesante fardello che grava anche su quanti il covid l’hanno visto da lontano. Vero è che l’esistenza di ex focolai e zone rosse è da tenere sotto controllo, ma da queste parti sembra più realizzabile, ordinanze iper securitarie permettendo, il sogno di una vita senza mascherine. Un’eventualità comunque difficile, perché la tendenza nazionale, incentrata sul più ricco Settentrione, è per l’uso routinario dei dispositivi di protezione, arrivati a coprirci i volti e a condizionarci il respiro.