Clerical city

Non si deve essere per forza atei o anticlericali per rimanere sconcertati di fronte alle scene di confuso assembramento a cui abbiamo assistito, ieri sera, in città per l’adorazione dell’Assunta. Qui il culto della Madonna s’è confermato il protagonista principe delle feste ferragostane. Che, in effetti, quest’anno non ci sono state affatto per i laici, mentre per i credenti e cattolici praticanti non è cambiato quasi niente.

Sì, non c’è stata la tanto attesa processione per le strade della città, ma il surrogato proposto alla popolazione avellinese non è stato da meno. La statua della Vergine è stata infatti trasportata dalla cattedrale del Duomo in piazza Libertà. Montata su di un palco rigorosamente transennato per l’omaggio dei fedeli. Il giorno prima, per la benedizione della vigilia, e, la sera seguente, a raccogliere l’afflato della folla di credenti.

E non importa che siano saltati i protocolli di sicurezza in tempi di pandemia. I distanziamenti fisici sono diventati solo un ricordo, tanto c’erano le mascherine a garantire protezione e sicurezza. Senza dimenticare, inoltre, i poteri salvifici della stessa statua che si venerava.

Così la folla che ha assistito alla messa, mentre da una parte della piazza due stranieri se le davano di santa ragione, indifferenti alla sacralità del rito che si stava consumando, si è subito catapultata dietro l’effige dell’Assunta che veniva riportata in cattedrale.

Risultato: il divieto di processione è stato così aggirato e la città di Avellino, completamente asservita alla religiosità ferragostana, ha potuto vivere, rissa a parte, la sua mezza processione, conclusa nella doverosa sosta al Duomo, a salutare la Vergine.

Comitati elettorali

Elezioni regionali 2020. La politica dei soliti noti, che da anni calcano i palcoscenici, mai appagati dei risultati raggiunti, s’appresta alla frenetica corsa con traguardo a Palazzo Santa Lucia, in una campagna per forza di cose ultra compressa.

Quando mancano circa 40 giorni al fatidico appuntamento con le urne, politici e politicanti locali sono chiamati a concentrare i propri sforzi a caccia di consensi. E, quel che più conta, di voti. In palio la scelta del nuovo presidente del consiglio regionale, tra cinque pretendenti: il governatore uscente, quello precedente, la solita opposizione che perde sempre, più due esponenti divisi in formazioni di estrema sinistra separate ma sostanzialmente analoghe nei programmi.

Attendendo l’ufficialità della presentazione delle liste, questi dovrebbero essere, al momento, i candidati apicali. Senza quasi nessuna novità. Anzi con un sentore generale di già visto e vissuto, rafforzato dalle ricandidature di personaggi desiderosi di tentare un altro assalto alla poltrona di consigliere regionale. Ben retribuita.

E, allora, riecco spuntare per Avellino i famosi “comitati elettorali”. Rapidamente realizzati dove prima c’erano negozi oppure edifici semi nuovi, non ancora abitati. Requisito primario: quello di essere sulla strada, il più possibile visibili e, come sempre, è difficile sapere chi ne copre le spese, visti i costi elevati degli affitti di locali a pianoterra specie in centro città. Ma l’importante, per adesso, non è nemmeno tenerli aperti con militanti in sede ad organizzare la macchina della propaganda, quanto mostrare di averli inaugurati, mettendo in bell’evidenza i propri maxi manifesti elettorali.

Mentre qualcuno ha già dato l’abbrivio a investimenti cospicui sulle elezioni del prossimo 20 settembre, andando ad occupare zone nevralgiche del capoluogo e dintorni con cartelloni di formato extralarge, abituali in periodo elettorale; è da ricordare che neppure quelli che si sono portati avanti con il lavoro hanno la certezza di essere candidati.

C’è, infatti, tutto un gioco di apparentamenti e coalizioni da rinsaldare nelle strategie politiche della composizione delle liste nel particolare momento che viviamo.

Il primo deterrente nei confronti della politica e, in senso lato, della socialità è senz’altro l’epidemia di coronavirus che non cessa e, oltre a condizionare le adunate pubbliche dei partiti, è presumibile che terrà lontano dalle urne un numero ancor più cospicuo di potenziali elettorali, con picchi di astensione al di sopra della media.

Per un turno elettorale in cui è pronosticabile un’affluenza assai limitata. Eppure la posta in palio è importante. Al minimo, può essere un trampolino di lancio per la “promozione” in Parlamento. Senza essere riluttanti rispetto ad incarichi altrettanto prestigiosi di assessore o consigliere regionale, e non dimenticando che il test regionale assume in questo frangente un significato determinante per gli attuali equilibri politici fra compagine di governo e centrodestra all’opposizione.

Sarà quindi un mese (e più) di fuoco per le ambizioni dei politici nostrani. Per i loro padrini e i “ras” di riferimento. Come, ad esempio, il beneventano scopertosi capo corrente in Irpinia. L’eterno signore di Nusco che si autoricicla inventandosi un nuovo schieramento. L’imbarazzante seguito che nel Meridione riscuote la formazione nordista per eccellenza, costretta adesso a sostenere il berlusconiano riesumato che vuole fare la rivoluzione. Alcune scelte, tuttavia, non sono state ancora fatte. Restano in piedi trattative tra portavoti e portavoce. E la confusione è tanta. Anche per chi vota a sinistra.

Decine e decine di liste si approssimano alla tenzone elettorale. Che non vinca il peggio.