Profumi

OIPAveva un profumo particolare quella mattina di sole e vita, un profumo che le si posava sulle labbra sulle quali passava lentamente la punta della lingua per sentirne il sapore di fiori spontanei, dei frutti di gelso, piccoli e acerbi, di fragoline timide e birichine che si nascondevano sotto le verdi foglie, giocando con il soffio delicato di un venticello svogliato, che godeva il riposo della domenica. Giorno di festa a ridosso della fine della scuola, era quasi estate, vestiti leggeri, occhiali da sole, gelato alla liquirizia, granite al limone.
Aveva un profumo l’aria di quella mattina e un sapore agrumato che provocava sete, una arsura delicata ed il bisogno di dissetarsi bevendo da altre labbra… un bacio ed un altro ancora… acqua d’amore. E c’era gioia in ogni cosa, tra le fronde ombrose, tra i fili d’erba, nei suoi occhi, nel suo cuore.

Aveva un buon sapore la vita quella mattina ed un profumo mai sentito a disegnarle prospettive, sogni, desideri, speranze su quelle labbra che, lasciavano intravedere appena i denti bianchi.
L’acqua del fiume scorreva senza forza, dondolando i rami più bassi del salice ed il sole filtrava tra lo smeraldo delle verdi foglie, creando trasparenze che, posandosi sul terreno arso e biancastro, creavano giochi di luci e ombre che si accendevano e spegnevano come lucciole, mentre il cuore batteva il ritmo di un canto tornato alla mente arrivando da lontano … da un tempo in cui cantava a quella vita che credeva accoglierla con amore ed una cornucopia di gioia.
Aveva… aveva un profumo speciale, quella mattina, anche la foschia! che si sollevava dall’ acqua del canale come un respiro e le accarezzava il volto lasciandolo umido, mentre il sole le si posava sul sorriso, sulle labbra rosse, sulle gote dipingendo piccole lentiggini. Lo sguardo verde topazio, si muoveva a raccogliere ogni dettaglio, partendo dagli occhi per arrivare all’anima, dolce custode che li avrebbe trasformati in ricordi. Passi accanto ad altri passi, senza rumore ma attenti a non calpestare chi scodinzolando felice, correva inseguendo una libellula, saltellando per afferrare un grillo… rincorrendo un pettirosso.
Non esisteva nient’altro in quella mattina per lei, né passato né futuro, solo il profumo di quel momento di vita dal sapore che stordiva il palato, che appagava e non saziava e chiedeva:  – ancora, ancora, ancora – bacio dopo bacio.

© L’incanto

 

Il Sentiero

Il sentiero era sinuoso, ombreggiato, costeggiava un canale. Il vento leggero gli accarezzava la pelle, creava fruscii e lievi melodie di foglie ed acqua. Camminava spedito mentre la sua mente volava verso il suo amore. Le avrebbe stretto la mano con forza, pensò, come per accertarsi che non potesse lasciarlo. La avrebbe attirata a sé e l’avrebbe baciata. Sentì forte il brivido percorrergli la mano, arrivare al petto.

Il sentiero svoltò bruscamente verso destra e vide i grandi alberi che disegnavano i confini del terreno.

Arrivato alla radura le avrebbe mostrato il prato che degradava verso il fiume. La avrebbe baciata, stretta a sé ancora, posato le mani sul suo splendido viso e baciata ancora. Si sarebbe dissetato del suo sorriso.

Ripensò al sentiero laterale, seminascosto, al desiderio di altri baci e di aria pura. Ripensò a quel respiro che diventava suo, a quelle labbra morbide e calde come una promessa d’amore. Ne voleva ancora, ancora e sempre.

Arrivò davanti ai due alberi sentinella e sospirò. Abbassò lo sguardo in cerca di un’anima leggera e giocosa, mai ferma. Avrebbe saltellato tra loro, felice, cercando di intrufolarsi scodinzolando, nel loro abbraccio. Sorrise.

Guardò il campo ricoperto di fiori selvatici ne respirò l’intenso profumo. Lo assalì Il desiderio del profumo della sua pelle. Chiuse gli occhi.

Lasciò che il sole gli accarezzasse il viso.

© Il passo

La sua voce

OIP

“Il mio regalo per te” ed il sole invernale si sciolse in una cascata cremosa di oricalco e rame al suono della sua voce.

Sentii il cuore perdere un colpo, mentre un respiro profondo, pungente e puro, mi riempì i polmoni.

“F… tesoro” ed ogni singola resistenza si sciolse e mi lasciai inondare da lei. Scomparsa la paura, sciolto il cielo e le nuvole all’orizzonte, la mente leggera e libera ed incapace di restare fermo, riempii la casa dei miei passi ascoltando quella voce che mi accarezzava l’anima. Voce di fiaba rivestita di donna. Voce dolce, poco più che un sussurro, un vento leggero che sfiorò la mia pelle e l’anima in un tocco tenue, ma deciso come la carezza delle sue mani. Tocco che avrei imparato a riconoscere, a desiderare.

Un suo nitido sospiro mi avvolse, un piccolo coriandolo da lei donato, posato in un delicato gesto di bollente amore. Movimento di labbra e soffio d’anima. Una folata di tempesta in un cielo terso che mi sollevò in volo verso sud, verso una stazione, un treno, una carrozza, un posto a sedere, una maglietta sciolta nel sudore e nell’emozione. Il desiderio di poterla stringere a me.

Quel sospiro. Sentii quel sospiro ed il battito del mio cuore che si piegò docile ad imitarne il ritmo, tumultuoso nello scorrere del sangue nelle vene. Basso rimbombo di fuoco liquido.

Era lei! ed il mio cuore silenzioso cantò.

“Ti amo” le dissi. “Ti amo” lei rispose. Mai vocali furono più colorate di vivace arcobaleno. Scoppiettanti le consonanti immerse in oro e quando tutto fu silenzio, restai li, stringendo il cellulare tra le mani, con lo sguardo a rincorrere quelle parole che ancora danzavano nel vuoto della stanza, per poi posarsi sciogliendosi in un dolce sbuffo di vapore.

© Il passo

Il sassolino

IMG-3ff94b44493155a6465e3e3fa31755c6-VTi videro al cancelletto di legno che delimitava l’entrata del parco e sentirono immediatamente una scossa. – Eri arrivata finalmente – Tutte le piante sentirono la linfa scorrere più velocemente, risalire lungo i rami fino alle foglie più alte. Il tremito che sentirono percorrere le radici oltrepassò il confine del parco come un’onda, per perdersi nell’ampia pianura.

Il grande ippocastano fece smuovere il terriccio del sentiero che stavi percorrendo ed un piccolo sassolino bianco, protestando vivacemente, rotolò contro il tronco dell’albero. Sbuffò.

L’ippocastano ti sorrise mentre ti avvicinavi. Guardò i tuoi occhi verde acqua, profondi e sereni ed annuì soddisfatto. Protese un ramo verso di te e con una foglia ti fece una carezza spostando poi delicatamente una ciocca di capelli scesa sul tuo viso. Tu lo guardasti e ne abbracciasti il tronco lucido e liscio. Le sue foglie frusciarono sussurrandoti parole d’amore.

Un ciuffo d’erba, preso coraggio, ti sfiorò una esile caviglia, Tutto il parco trattenne il fiato. Sorridesti e con gesti lenti per non spaventare l’erba, ti togliesti le scarpe e restasti a piedi nudi. Il ciuffo d’erba ridacchiò soddisfatto e sospirò dando un colpetto al sassolino prima che tu potessi calpestarlo.

Il sassolino si imbronciò, ma poi alzò lo sguardo su di te. Era levigato e tondo, modellato da decenni di acqua corrente. Trasse un profondo respiro, pensò agli anni immerso nell’acqua, e poi a quelli passati sulla nuda terra ad aspettare.

Ad aspettare te.

Appena si rese conto di questo pensiero, il sassolino capì che la sua attesa era finita. Cominciò a intonare la canzone del fiume, fatta di note limpide e cristalline. Gli altri sassolini pian piano si unirono a lui ed una melodia lenta come la corrente pigra di pianura avvolse il parco. Tu abbassasti lo sguardo e lui, finito il canto, chiuse gli occhi.

Calò per un attimo il silenzio e poi… tutte le creature contemporaneamente si fecero avanti per salutarti. Un misto di cinguettii, di frusciar di foglie e gorgogliar di cascatelle d’acqua. Stupita, allargasti le braccia come a voler abbracciare tutti, ti piegasti a raccogliere il sassolino e tenendolo sul palmo aperto della mano, ti dirigesti verso l’uscita. Prima di varcare il cancello ti girasti – tornerò – dicesti al parco.

– io no – disse il sassolino – io resterò con lei per sempre. Il vecchio ippocastano annuì.

© Il passo

Il pescatore


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Fissa il mare una finestra buia e lei appoggiata al vetro con un braccio e la mano tra i capelli.

“Placati mare che hai la rabbia dentro, chetati furia che non ha colpa chi ha reti da calare. Senti il mio canto portalo a lui vento, perché non si abbandoni alla tempesta.”

Ritornerà lo sa, lo vuole! e nell’attesa che si svegli la luce di una nuova alba, resta a cercare in quel buio che si mescola alle onde, la luce fioca di quella lampara a poppa della barca che ancora non ritorna. Lontane sono le notti d’estate, quando al rientro la portava a ballare, lontane le notti di bonaccia, quando la risacca dolce, danzava al canto dei grilli cullando il loro amore .

“Placati mare, spegni la furia delle tue braccia fatte d’acqua e proteggi il suo rientro tra lo sciaguattio che accarezza le sponde … lui é il mio unico amore.”

Aperta la finestra canta forte per farsi sentire, il vento ascolta e si spegne; l’ascolta il mare che un po’ per volta si calma e s’addormenta. É l’alba. Tornerà e lei sorride.

© L’incanto

 

La lanterna a prua faticò a spandere la propria luce, lasciando sull’acqua una semplice pennellata di giallo subito cancellata dalla spuma nera delle onde. Il pescatore, nella sua cerata nera era ritto al timone con lo sguardo rivolto al buio. Ogni tanto un violento strattone faceva beccheggiare l’imbarcazione. Guardò ai suoi piedi la rete ancora arrotolata e scosse la testa, se l’avesse calata il mare l’avrebbe strappata. Un’onda più alta spazzò la barca trascinando tutto ciò che non era fissato allo scafo. Il pescatore afferrò la bitta un attimo prima che scivolasse fuori bordo.

Impassibile, con l’altra mano raddrizzò la barca prima che una montagna d’acqua la travolgesse. Ne cavalcò la cresta e si trovò per un attimo sospeso sopra la nuvola d’acqua e nebbia e vide il cielo stellato e la luna che brillavano in cielo indifferenti.

Sorrise. Era solo questione di tempo, il mare si sarebbe calmato.

© Il passo

La lacrima e L’ Attesa

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lenta e salata.

La lacrima riflette
il suono della porta

di un ascensore che si chiude.

 

© Il passo

Attesa
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Un ascensore che parte ed un cuore che resta davanti ad una porta.

Una lacrima ed un’ altra… e ancora, si specchiano nel loro danzare tra le ciglia, sullo specchio di una cabina che scende; ma le mie braccia sono vuote.

Stringono solo un ricordo ormai lontano e sono passi senza impronte i miei, che ripercorrono ogni minuto accanto a te. Passi che non hanno suono, non più.

Sapresti riconoscere il nome di ogni passo?

Io si… conosco il nome di ogni mio e nel pronunciarlo… mi avvicino a casa, ci entro e ti cerco.             

Casa… non di tetto, pareti, finestre, balconi, Casa fatta di amore e lì ti attendo… Dondolandomi su di una sedia mossa dallo scandire del tempo. Arriverai quando in giardino fiorirà la neve e sui rami, sarà maturo il ghiaccio. 

Ne riempirò bicchieri di freddo e davanti al fuoco disseteremo il cuore e l’anima… che adesso bruciano e… brucia.

 

©L’ incanto