L’Ospite

Esiste un piacere che risiede nell’ospitalità: ospitare ed essere ospitati.

Nel sostenere: – fai come fossi a casa tua – si poteva rischiare di cadere banalmente in un luogo comune se non per un’effettiva partecipazione; accadde diversamente infatti, ricordo che lei ne catturò tutta la verità.

– A casa mia io cucino, a casa mia apro una bottiglia e mi verso da bere…. a casa mia prendo un libro dalla libreria e mi metto a leggere sul divano… a casa mia ci dormo… – le dicevo ponendo distanze.
– Fai come fossi a casa tua – mi ripeteva con insistenza e risolutezza. – Ti dico dove sono le pentole, dove trovi il carrello dei liquori, dove sono i libri migliori… –

Ho iniziato così a comprendere il piacere dell’ospitalità, sì… essere ospite, in quella casa che non mi apparteneva e che giorno per giorno ne scoprivo il piacere di soggiornare.
Tutto l’ambiente restituiva una sorpresa differente: l’odore del muschio, il tatto con il velluto delle tende, le musiche della Callas che suonavano, i libri di suo padre, il pianoforte, l’insieme delle tonalità di colori accesi differenti da quelli di casa mia.

– Dunque dove dormo? –
– In camera di mia figlia grande che ormai si è trasferita dal padre, sai scelte di convenienza… –

Mi diceva che le faceva piacere ospitare un poeta e finì che la stessa stanza la battezzò così: “la stanza del poeta”. Il patto era lasciarle sempre un foglio di carta scritto.
Dunque, che fosse una poesia, che fosse un racconto… che fosse anche solo una frase che racchiudeva tutto il significato della giornata – mi concedevo questo spazio accogliente. Andavo da lei.

Trovavo il mio tavolino di legno su cui lavorare e le matite temperate, sapeva che mi attraeva il legno vivo e ci spianavo un dito prima di iniziare. Mi preparava il caffè con la moca e un biscotto nel piattino scelto attentamente all’interno di uno scaffale dei sapori. Gli stessi suoni e odori del pranzo sembravano differenti, i vapori della cucina nell’inverno impallidito e arrossato e il suonare dei mestoli.

E il vino? Ero io stesso a scendere in cantina per prendere una bottiglia con un soffio di polvere sopra, qualcosa di amabile, certamente, perché nulla poteva sottrarsi dall’essere amabile in quel luogo, fuori dal tempo e da tutto il mondo.

Qualche volta la osservavo di nascosto, mi credeva concentrato allo scrittoio, invece io mi alzavo separandomi dalla matita. Mantenevo la mia espressione curiosa di intelletto e con un leggero filamento di sorriso in viso, prendevo ad aprire le stanze senza far rumore nell’intento di cercarla. Schiudevo quel leggero passaggio di visione tra la porta ed il telaio, lavanderia, cucina, stanzino, qualche stanza più buia, in altre le imposte facevano entrare più luce, era come se anche lei si nascondesse per il gioco di essere trovata…

E mentre la casta diva cantava, una luce di sorpresa si accendeva in una stanza.
La vedevo sfilare in accappatoio con i capelli bagnati fatiscenti sulle spalle scoperte, in punta di piedi e un barattolo di crema in mano. Poi puntava un gamba sul letto, lentamente la coscia nuda si faceva varco tra le due pieghe di spugna, iniziava così a addolcire la pelle, carezza dopo carezza, e la Callas stranamente mi sembrava salisse su una maggiore tonalità acuta.

Chiudevo silenziosamente la porta, pensando ogni volta ad un dubbio: ma davvero non lo sapeva che l’osservavo?

E poi mi chiedevo se in fondo non si compiacesse anche di questo piacere d’intimità che si era venuta a creare spontaneamente e senza forzature, del resto a me attraeva vivere quell’intimità distaccata e cortese, quelle sensazioni equilibrate con tutto ciò accadesse in quella casa.
Così un giorno le lasciai sul foglio la poesia che descriveva in poche righe tutti i giorni trascorsi in quella casa.

La corda di spugna rosa allentata lungo i fianchi
lascia libero un firmamento di pelle
trattenendo ancora tutti i segreti sull’orlo dell’inguine;

non perché ci sia pudore
bensì per dare vita ad un’attrazione insondabile,
quell’attrazione intima e distaccata che condivido
propria di questa tua ospitalità.

Negli inverni rigidi, mi torna nostalgia di quel tempo, ma so benissimo che è qualcosa che non può ritornare da un semplice invito.

Riconosco che le emozioni di quella accoglienza, erano racchiuse in una sublimazione d’intento, nella raffinatezza delle attenzioni e nel buon gusto di non arrendersi mai a tutto ciò che potesse, banalmente, trasformarsi in qualcosa di scontato e povero.

Il segreto era tutto lì, nel piacere di vivere e condividere attraverso lo spazio ed il tempo circoscritto, senza stabilire mai che le due linee emotive, potessero condursi verso un’intersezione predestinata e fatale.

sublimazione in sottoveste

L’Ospiteultima modifica: 2017-05-13T08:40:44+02:00da RiccardoPenna
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Un pensiero su “L’Ospite

  1. Lasciare una poesia per la gradita bellezza e…ospitalità. Ascolto le note aggiunte ….Tutto questo è molto elegante 🙂 Bel post

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