Prologo.
Muse, che in canti e danze sul Parnaso
gioite eterne, storcereste il naso
se vi invocassi propizie e benigne
a questi versi, e guardereste arcigne
alle lor molte pecche e ai pochi pregi,
all’umil gente, ai fatti non egregi,
alle insolite ottave, tutte in rima
baciata, cosa mai più vista prima.
E non eroi qui lottano o titani,
né dei né dee contendon con gli umani
o fra di loro in beghe e gelosie
per tributi negati o gerarchie,
né si rimembran donne e cavalieri,
affanni ed agi in turriti manieri.
La sola musa che potrei invocare
è l’ava, che, cessato il ciabattare,
poggiati i piedi sulla lignea ruota
del bracier gaio, dopo la devota
serotina orazione, aguzzi gli occhi
ai rammendi posati sui ginocchi,
alla famiglia intorno a lei raccolta
diceva fatti e conti d’una volta.
Fra i più richiesti dai nipoti all’ava
uno ce n’era, e così cominciava:
I
C’era una volta in un bel paesino
della Calabria bella, un ciabattino,
celebre non per l’umile mestiere,
ma per le meraviglie che vedere
faceva a chi dall’ozio della via
fuggisse per entrar nell’osteria;
meraviglie non già d’arcana origine,
ma flusso da geniale scaturigine.
Era alto e forte e pieno di talenti,
anche se sotterrati e quasi spenti;
con occhi grandi di color castano,
bruno all’aspetto e nell’indole umano.
Aveva nome Rocco, che è abbastanza
ivi comune per antica usanza;
e, come amava il ‘don’ ogni scrivano,
‘mastro’ si presumeva ogni artigiano.
Aveva avuto moglie, un figlio e amici,
negli anni suoi passati, assai felici;
ma poi la morte, a poco a poco, preso
gli aveva tutto e lasciato indifeso,
come, nel vento, al passo, a sera, il tordo
dal fuoco franco di drappello ingordo;
o come giunco al gioco delle onde,
al cui trastullo perenne risponde.
Allora mastro Rocco, dal dolore,
la bontà perse, e diventò peggiore
di tutti quei che vide Gerocarne
spititi in lei vestire umana carne.
Prima faceva carità, ma adesso
odiava ricchi e poveri lo stesso;
amava prima il cielo e riveriva,
adesso santi ed angeli aborriva;
sperava prima andare in paradiso,
ora volgeva tutto quanto a riso;
guardava prima con occhio incantato
tutte le meraviglie del creato,
adesso odiava i fonti e le colline,
pensava “rose” e sentiva le spine.
Ed il lavoro suo di ciabattino
lasciato aveva per l’ozio ed il vino.
(Segue…)