Poesia e Letteratura

Il Maestro e Margherita


Propongo la lettura o, perché no, la rilettura di un grande romanzo poetico. Metto una pagina che mi è sempre piaciuta molto poi aggiungerò approfondimenti molto piacevoli che si trovano in rete. “Teneva tra le braccia dei disgustosi, angoscianti fiori gialli. Non so che fiori siano, il diavolo lo sa, e lui sa anche come si chiamano, io so solo che per qualche motivo sono i primi a comparire a Mosca. E quei fiori risaltavano nitidi sul suo soprabito nero, primaverile. Tra le braccia, fiori gialli! Non un bel colore. Aveva svoltato dalla Tverskaja in un vicolo e lì si era girata a guardare. Lei sa com’è la via Tverskaja? Passavano migliaia di persone, ma io le assicuro che lei ha visto soltanto me, e mi guardava: non ansiosa, ma addirittura sofferente. E più della sua bellezza mi ha colpito la straordinaria solitudine nei suoi occhi, una solitudine mai vista da nessuno prima. Obbedendo a quel segnale giallo, ho svoltato anch’io nel vicolo e l’ho seguita. Camminavamo per la strada triste e tortuosa, l’una da una parte, l’altro dall’altra, in silenzio. E nel vicolo non c’era un’anima. Se lo immagini. Io soffrivo perché mi sembrava che fosse indispensabile parlarle e mi preoccupavo perché, se non dicevo una parola, lei se ne sarebbe andata e io non l’avrei più rivista. “E invece, si figuri, è stata lei a cominciare a parlare: “‘Le piacciono i miei fiori?’. “Ricordo distintamente com’è risuonata la sua voce, bassa ma con dei picchi, e anche se può sembrare da stupidi, mi è parso che la voce rimbalzasse sul muro giallo e sporco e riecheggiasse nel vicolo. Sono passato in fretta dalla sua parte e nel raggiungerla le ho risposto: “‘No’. “Mi ha guardato meravigliata e io, all’improvviso e in modo del tutto inatteso, ho capito che per tutta la vita avevo amato proprio quella donna! Un bello scherzo, vero? Lei dirà che sono matto”. “Non dico niente,” esclamò Ivan, e soggiunse: “La prego, continui”. E l’ospite continuò: “Sì, mi ha guardato meravigliata e, dopo avermi guardato, mi ha chiesto: “‘Non le piacciono i fiori in generale?’. Nella sua voce c’era, mi è parso, dell’ostilità. Camminavo al suo fianco, cercando di starle al passo e, con mio grande stupore, non mi sentivo affatto intimidito. “‘No, i fiori mi piacciono, ma non questi.’ “‘E quali?’ “‘Io amo le rose.’ “Mi è dispiaciuto subito aver detto così perché lei ha avuto un sorriso colpevole e ha gettato i suoi fiori nel rigagnolo. Un po’ smarrito, li ho raccolti e glieli ho porti, ma lei con una risatina li ha respinti e li ho tenuti in mano io per un momento. “Abbiamo camminato senza dire niente ancora per un po’, finché lei non mi ha tolto di mano i fiori e li ha gettati sul selciato, poi ha infilato nella piega del mio braccio la sua mano, nascosta da un lungo guanto nero con il polso a campana. Abbiamo proseguito l’uno accanto all’altra”. “E poi?” disse Ivan, “La prego, non tralasci niente.” “E poi?” domandò a sua volta l’ospite. “Quello che è successo dovrebbe indovinarlo da solo,” si asciugò una lacrima improvvisa con la manica del braccio destro e proseguì: “L’amore è balzato davanti a noi dal nulla, come un assassino in un vicolo, e ci ha colpiti entrambi, nello stesso istante. Così colpisce la saetta, così colpisce il coltello a serramanico. Ma lei, in seguito, sosteneva che non era successo così, e che noi ci amavamo già da tanto, tanto tempo prima, senza conoscerci, senza esserci mai visti; e che lei viveva con un altro uomo... e anch’io là, con quella, come si chiamava...”.