Di questo lungo periodo della civiltà greco-romana, Napoli conserva molti avanzi archeologici, il più cospicuo dei quali è da considerarsi, senza dubbio, il corpo originario di Neapolis, che si può ancor oggi, senza troppo sforzo ricostruire mentalmente, nonostante le brutte sovrapposizioni edilizie e le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. E' ancora possibile individuare i tre decumani paralleli, e i cardini ad essi corrispondenti in senso perpendicolare, seguendo via Tribunali, corrispondente al decumano centrale, la piazzetta di San Gaetano, la Chiesa di San Paolo, dove due colonne corinzie scanalate rappresentano le vestigia del tempio dei Dioscuri, che occupava il sito dell'attuale basilica cristiana, la chiesa di San Lorenzo, e, più in là, gli archi dell'Anticaglia, appartenenti alle terme e al teatro coperto (l'Odeon). Tutto l'insieme costituisce un grandioso complesso monumentale, che suggerisce alla fantasia del visitatore un'immagine suggestiva di ciò che fu, un tempo, il Corpus di Neapolis. Avanzi delle mura di Neapolis, di costruzione greca, consistenti in grossi blocchi rettangolari di granito, racchiusi, purtroppo, in una cancellata, si possono osservare nella piazzetta dell'attuale cinemateatro Splendore, dove si trova l'ospedale Ascalesi, allo sbocco di via Forcella, e in Piazza Bellini, tra San Sebastiano e via Costantinopoli. Dette mura solide ed imponenti, di cui non si conosce l'esatto perimetro, dovevano però estendersi da Foria a Costantinopoli, a San Domenico Maggiore, fino all'attuale Corso Umberto e prolungarsi sino a Forcella e ai Tribunali, includendo anche nella loro cerchia Santa Maria La Nova. I moderni archeologi danno per sicuro che l'attuale via Forcella e i vicoli circostanti e quelli che sboccano in essa, corrispondono esattamente al primitivo tracciato greco. Notevoli, per il tipico carattere architettonico degli acquedotti romani, sono pure le arcate superstiti in mattoni rossi, dette, perciò « Ponti rossi » di un'antica conduttura d'acqua romana. Ma, più che nella città, dove il sovrapporsi tumultuoso e violento di dominazione a dominazione si accaniva a distruggere e a cancellare fin le ultime tracce di quanto il dominatore precedente aveva costruito di buono, le tracce gloriose e stupende della civilizzazione greco-romana s'impongono all'ammirazione del mondo nelle dissepolte e redivive città di Pompei, di Ercolano, di Stabia, di Cuma, di Baia, di Pozzuoli, di Miseno e nei tesori archeologici, raccolti nel Museo Nazionale, fondato da Carlo III di Borbone. Opere di scultura, di pittura, d'architettura, opere di ingegneria idraulica, di cui non si sa se più ammirare l'ardimento del genio che le ha create o la imponenza della mole, la solidità delle strutture che sfidano il tempo, o la raffinata eleganza e la suprema grazia che le ravviva. Il mondo classico rivive soprattutto a Napoli, città solare, nello spirito dei suoi abitanti e nel loro culto della bellezza. Insieme coi monumenti della classicità greco-romana, mentre il paganesimo si va lentamente spegnendo, a Napoli si ritrova anche la prima fioritura della monumentalità del cristianesimo, di cui sono antichissimo documento le catacombe di San Gennaro, che forano le colline a settentrione della città. Esse, risalenti al II secolo, contengono sepolture di martiri in stile primitivo, vestigia di altari, di cattedre episcopali, di fonti battesimali, di epigrafi e presentano un quadro eminentemente suggestivo ed emotivo, non solo per chi ha fede nella vita misteriosa, difficile ed eroica dei primi cristiani. Generalmente trascurate dal turismo, che preferisce le aure vivificanti del mare e dei colli di Napoli, le catacombe napoletane meritano, proprio per il loro valore artistico e per ciò che rappresentano della vita sotterranea dei primi cristiani, di essere ricordate con particolare insistenza. Esse si trovano sotto le pendici di Capodimonte e penetrano, coi loro misteriosi cunicoli, nel masso tufaceo, dalle Fontanelle alla Sanità e dai Miracoli a Miradois. La più importante (quella che qui ci limitiamo a descrivere invitando i lettori a scoprire le altre da sé) è la catacomba di San Gennaro, che risale al II secolo d. Cr.. In essa, benché in parte guaste dal tempo e dall'incuria, si ammirano molte e belle pitture paleocristiane. In origine, era una tomba gentilizia, che, man mano ingranditasi, divenne il cimitero della chiesa cristiana napoletana. Vi furono sepolti S. Agrippina, e, nel V secolo, il martire S. Gennaro. Quando, nel IX secolo, il principe di Benevento, Sicone, rapì il corpo del Santo, la catacomba perdette importanza, finché nel secolo XIII fu abbandonata e devastata. Consta di due piani: quello inferiore è costituito dalla Basilica cimiteriale di San Gennaro, con in fondo l'altare, e, dietro di esso la cattedra episcopale. A destra dell'altare, si vedono due arcosolii con pitture del IX secolo, raffiguranti vescovi napoletani; nella cripta, avanzi di mosaici e di affreschi sulle pareti. Le catacombe — a giudizio di Ferdinando Gregorovius — sono gli unici monumenti del tempo antico posseduti da Napoli, che, insieme con la strana grotta di Posillipo, conservino, quasi intatta, la loro struttura antichissima. I due monumenti sono ambedue sotterranei: ed è questa, forse, la causa per cui hanno meno sofferto della manomissione degli uomini.
Napoli: l'età paleocristiana
Di questo lungo periodo della civiltà greco-romana, Napoli conserva molti avanzi archeologici, il più cospicuo dei quali è da considerarsi, senza dubbio, il corpo originario di Neapolis, che si può ancor oggi, senza troppo sforzo ricostruire mentalmente, nonostante le brutte sovrapposizioni edilizie e le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. E' ancora possibile individuare i tre decumani paralleli, e i cardini ad essi corrispondenti in senso perpendicolare, seguendo via Tribunali, corrispondente al decumano centrale, la piazzetta di San Gaetano, la Chiesa di San Paolo, dove due colonne corinzie scanalate rappresentano le vestigia del tempio dei Dioscuri, che occupava il sito dell'attuale basilica cristiana, la chiesa di San Lorenzo, e, più in là, gli archi dell'Anticaglia, appartenenti alle terme e al teatro coperto (l'Odeon). Tutto l'insieme costituisce un grandioso complesso monumentale, che suggerisce alla fantasia del visitatore un'immagine suggestiva di ciò che fu, un tempo, il Corpus di Neapolis. Avanzi delle mura di Neapolis, di costruzione greca, consistenti in grossi blocchi rettangolari di granito, racchiusi, purtroppo, in una cancellata, si possono osservare nella piazzetta dell'attuale cinemateatro Splendore, dove si trova l'ospedale Ascalesi, allo sbocco di via Forcella, e in Piazza Bellini, tra San Sebastiano e via Costantinopoli. Dette mura solide ed imponenti, di cui non si conosce l'esatto perimetro, dovevano però estendersi da Foria a Costantinopoli, a San Domenico Maggiore, fino all'attuale Corso Umberto e prolungarsi sino a Forcella e ai Tribunali, includendo anche nella loro cerchia Santa Maria La Nova. I moderni archeologi danno per sicuro che l'attuale via Forcella e i vicoli circostanti e quelli che sboccano in essa, corrispondono esattamente al primitivo tracciato greco. Notevoli, per il tipico carattere architettonico degli acquedotti romani, sono pure le arcate superstiti in mattoni rossi, dette, perciò « Ponti rossi » di un'antica conduttura d'acqua romana. Ma, più che nella città, dove il sovrapporsi tumultuoso e violento di dominazione a dominazione si accaniva a distruggere e a cancellare fin le ultime tracce di quanto il dominatore precedente aveva costruito di buono, le tracce gloriose e stupende della civilizzazione greco-romana s'impongono all'ammirazione del mondo nelle dissepolte e redivive città di Pompei, di Ercolano, di Stabia, di Cuma, di Baia, di Pozzuoli, di Miseno e nei tesori archeologici, raccolti nel Museo Nazionale, fondato da Carlo III di Borbone. Opere di scultura, di pittura, d'architettura, opere di ingegneria idraulica, di cui non si sa se più ammirare l'ardimento del genio che le ha create o la imponenza della mole, la solidità delle strutture che sfidano il tempo, o la raffinata eleganza e la suprema grazia che le ravviva. Il mondo classico rivive soprattutto a Napoli, città solare, nello spirito dei suoi abitanti e nel loro culto della bellezza. Insieme coi monumenti della classicità greco-romana, mentre il paganesimo si va lentamente spegnendo, a Napoli si ritrova anche la prima fioritura della monumentalità del cristianesimo, di cui sono antichissimo documento le catacombe di San Gennaro, che forano le colline a settentrione della città. Esse, risalenti al II secolo, contengono sepolture di martiri in stile primitivo, vestigia di altari, di cattedre episcopali, di fonti battesimali, di epigrafi e presentano un quadro eminentemente suggestivo ed emotivo, non solo per chi ha fede nella vita misteriosa, difficile ed eroica dei primi cristiani. Generalmente trascurate dal turismo, che preferisce le aure vivificanti del mare e dei colli di Napoli, le catacombe napoletane meritano, proprio per il loro valore artistico e per ciò che rappresentano della vita sotterranea dei primi cristiani, di essere ricordate con particolare insistenza. Esse si trovano sotto le pendici di Capodimonte e penetrano, coi loro misteriosi cunicoli, nel masso tufaceo, dalle Fontanelle alla Sanità e dai Miracoli a Miradois. La più importante (quella che qui ci limitiamo a descrivere invitando i lettori a scoprire le altre da sé) è la catacomba di San Gennaro, che risale al II secolo d. Cr.. In essa, benché in parte guaste dal tempo e dall'incuria, si ammirano molte e belle pitture paleocristiane. In origine, era una tomba gentilizia, che, man mano ingranditasi, divenne il cimitero della chiesa cristiana napoletana. Vi furono sepolti S. Agrippina, e, nel V secolo, il martire S. Gennaro. Quando, nel IX secolo, il principe di Benevento, Sicone, rapì il corpo del Santo, la catacomba perdette importanza, finché nel secolo XIII fu abbandonata e devastata. Consta di due piani: quello inferiore è costituito dalla Basilica cimiteriale di San Gennaro, con in fondo l'altare, e, dietro di esso la cattedra episcopale. A destra dell'altare, si vedono due arcosolii con pitture del IX secolo, raffiguranti vescovi napoletani; nella cripta, avanzi di mosaici e di affreschi sulle pareti. Le catacombe — a giudizio di Ferdinando Gregorovius — sono gli unici monumenti del tempo antico posseduti da Napoli, che, insieme con la strana grotta di Posillipo, conservino, quasi intatta, la loro struttura antichissima. I due monumenti sono ambedue sotterranei: ed è questa, forse, la causa per cui hanno meno sofferto della manomissione degli uomini.