Ciao, Napoli

Napoli: il periodo svevo


Napoli non fu mai benigna verso gli Svevi. Eppure — senza dubbio — mol­ti e grandi furono i benefici alla città concessi sia da Federico II che da Man­fredi. Valga, per tutti, la fondazione dello Studio generale (Università), don­de si effuse tanta luce di dottrina e tanto prestigio e decoro per la città, oltre ai molteplici vantaggi morali, in­tellettuali e materiali, che Pietro Giannone potè scrivere: « Lo Studio fece che Napoli si levasse sopra tutte le altre città e questo fu la pietra fonda­mentale onde poi si rendesse metropoli del regno ». Facciamo la storia dello Studio, Le Lettere Generali, che lo istituirono, so­no datate da Siracusa, il 5 giugno 1224. Pare che ne siano stati ispiratori Pier della Vigna, secondo alcuni, il bene­ventano Roffredo, secondo altri. Nello ottobre dello stesso anno, lo Studio era già in attività, ma non si è potuto mai stabilire in quale edificio della città. E subito si rese famoso per la valentia dei maestri, che vi furon chiamati a insegnare, tra i quali ricordiamo: Roffre­do da Benevento, Piero da Isernia, Bar-tolomeo Pignatelli da Brindisi, inse­gnante di decretali, Matteo da Pisa, di diritto civile, il grammatico Gerardino, il filosofo Arnaldo Catalano, morto sul­la cattedra mentre discuteva sulla natu­ra dell'anima. Nonostante tutto, le cose, sul princi­pio, non dovettero filar bene tanto che l'imperatore pensò di chiuderlo. Ma ce­dette alle suppliche di professori e sco­lari, che gli inviarono a Lodi una dele­gazione. E, nel 1293, tra altre provvi­denze, decretò che studenti di ogni par­te d'Italia e anche stranieri vi fossero ammessi, ciò che accrebbe di molto la importanza e la fama dello Studio na­poletano in Europa. Dopo la morte di Federico II i suoi deboli successori non lasciarono un ri­cordo durevole se si esclude la patetica storia di Corradino, ultimo rampollo di Casa Sveva che lasciò la sua testa bionda sul patibolo tra la folla assie­pata in Piazza del Mercato.