Res Nullius

L'erba e il cielo


  All'angolo nascosto del cortile, come un inghiottitoio, le scalette scendono nell'autorimessa. Sopra, altissimo, squadrato dagli spigoli dei palazzi, il cielo. Loro crescono là, da sotto il muro, ai lati del pianerottolo. Il timido verde emerge sul biancore della lastra di marmo che fa da cornice al pavimento. Non so quale terra, quale humus, quale segreto nutrimento si celi in quelle fessure troppo piccole anche per una formica. Ma forse basta la macchia di umidità che insiste sul muro e fa talvolta filtrare fuori gocce d'acqua in un rivolo quasi invisibile. Per qualche ora al giorno il sole scorre giù per le scalette, riversando un calore opprimente ma effimero. Crescono isolate, e di forme diverse: a fili, a foglie, a microscopici arbusti prostrati sulle ruvide mattonelle. Insieme ad una striscia di muschio, più rado ed anemico. Al mio passaggio, le vedo piegarsi alla corrente di vento, che sprofonda calda e sinuosa, o sgorga insistente e sempre fresca, portando con sé i fumi dei motori e l'odore del sottosuolo. L'aria mi investe, quasi a dar fastidio, e penetra nelle cantine da una grata arrugginita coperta da un retino consunto e intriso di polvere, fili di tessuto e insetti. E mentre distratto dimenandomi sopravvivo allo scorrere dei giorni, qualcosa accade. La prima a cedere fu quella lunga e sottile. I fili improvvisamente si ingiallirono, persero la viva rotondità piegandosi ad angolo, divenendo anche meno mobili al vento. Poi le altre, in un'inutile agonia. Scomparse nell'inesistenza, e ormai presenti solo nel ricordo di ogni gradino calpestato dal mio piede.