La politica è succube della magistratura?

Quante volte sentiamo i nostri politici dire : “abbiamo fiducia nella magistratura”.

Abbiamo visto azioni penali svanire dietro sentenze di assoluzione.

I danni restano.

E’ il “principio di infallibilità” dell’azione del PM.

Principio  che in realtà può nascondere vere e proprie guerre tra i diversi soggetti politici o all’interno dei soggetti politici ovvero schermaglie tra PM e politica.

L’obbligo dell’azione penale porta il PM a dover sempre attivare le procedure. Basta una denuncia.

Se poi esiste la “politicizzazione” dei PM, o la convenienza degli stessi, il risultato è certo.

Esaminiamo, però, il principio di infallibilità.

Il PM è un dipendente pubblico e vive tutte le contraddizioni della Pubblica Amministrazione. Ha una carriera programmata che non prevede “competizione”. Non ha alcuna responsabilità nello svolgimento della propria attività.

Normalmente più vi è competizione più emergono i migliori. Più vi è responsabilità, migliori sono i risultati.

Una vera e propria contraddizione.

Per i mass media l’avviso di garanzia ma anche la sola notizia di reato diventa una macchia indelebile che si protrae per anni.

Anche di fronte ad un’assoluzione alcuni imputati restano  sempre  probabili colpevoli.

E’ come se il principio di infallibilità determini, in alcuni casi, l’impossibilità di criticare o di evidenziare un errore.

Il PM assurge, pertanto, a rango di Dio o Semidio. Rango a cui ha avuto accesso per concorso pubblico e che manterrà a vita.

E la politica?

Le guerre e le schermaglie hanno permesso la sovrapposizione dei poteri costituzionali.

Quanto la magistratura oggi sia politica o la politica si magistratura è difficile dirlo.

Sicuramente non fa bene alla democrazia.

Publio Rutilio Rufo – Il perchè di un titolo

Publio Rutilio Rufo (Rufus)  militare, politico, storico romano del II secolo Avanti Cristo.

Nel 92 a.C. venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi provinciali che lui aveva fatto tutto il possibile per proteggere. L’accusa era sfacciatamente falsa ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis (il tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali accusati di ruberie) a quel tempo erano scelte fra i cavalieri, la sua condanna era cosa certa, a causa del risentimento che essi provavano per lui.

Egli si ritirò a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne, dove trascorse il resto della sua vita (forse un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori: egli fu infatti accolto con tutti gli onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si era comportato da funzionario corrotto), e dove Cicerone lo incontrò non più tardi del 78 a.C. Sebbene invitato da Lucio Cornelio Silla a fare ritorno a Roma, Rufo declinò l’invito.