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LE INDAGINI DI UN MAGISTRATO DRAMMATURGO E L'ITALIA D'OGGI


Una ventina di anni fa comperai, nella edizione TASCABILI ECONOMICI NEWTON, "Corruzione al Palazzo di Giustizia" l'opera più famosa di Ugo Betti, magistrato e drammaturgo morto a Roma il 9 giugno 1953. Lo ricordo perchè, al di di là dell'importanza del dramma, ritengo assolutamente appropriato ai nostri giorni    il breve commento riportato nella quarta di copertina, che di seguito integralmente trascrivo: "Rappresentato per la prima volta nel 1949 e presto diventato un successo mondiale, Corruzione al Palazzo di Giustizia é oggi una lettura di straordinaria attualità nell'Italia della mafia, della camorra e di Tangentopoli, il dramma di Ugo Betti indaga nei rapporti fra magistratura e politica, fra diritto e dignità umana, fra giustizia e potere. Ma soprattutto si pone l'interrogativo: chi sono i giudici? Sono esseri superiori e migliori di quelli che devono giudicare? Sanno realmente che cos'é il bene e il male? Betti, che fu per gran parte della sua vita un magistrato, risponde non con astratte formulazioni, ma con un dramma avvincente che affonda nei meandri della giustizia umana, nei suoi intrighi e nelle sue miserie." Oggi, a sessantasette anni di distanza, con la continua osmosi fra magistrati e politici e  la latente contrapposizione tra le due funzioni, che finisce per renderle partecipi del medesimo potere, con la facilità di diffusione delle notizie,vere e false, filtrate per interessi insondabili e spesso inconfessabili, l'indagine su quei rapporti e la loro corretta definizione appare e sarebbe ancora più necessaria, specialmente a tutela di quella maggioranza silenziosa, immiserita ed insicura, che porta il peso dell'esistenza di tutti.