La lettera di Mimmo Lucano al senatore Luigi Manconi

Un documento che pubblichiamo integralmente , un atto d’accusa al Potere assoluto e una difesa del proprio operato che testimonia ancora una volta l’assoluta innocenza di un perseguitato politico di questi ultimi anni. Oggi celebriamo Pier Paolo Pasolini dopo che questi è stato perseguitato per decenni e molto probabilmente ucciso per fermare una voce scomoda a tanti. Oggi non si vuole uccidere materialmente un uomo come Lucano, ma lo si vorrebbe zittire, imprigionare, isolare, rendere innocuo, ma non sarà per niente facile perché Lucano è certo della sua innocenza, perché non ha rubato un solo euro, non ha approfittato di alcuna situazione , non ha arricchito la sua vita che continua invece nell’assoluta umile vita quotidiana. Mimmo continua a vivere a Riace, in una casa non di sua proprietà, con una vecchia auto scassata e avendo rapporti solo con la piccolissima comunità che ancora vive nel Villaggio Globale e attende con pazienza l’appello presentato dai suoi due validi avocati Giuliano Pisapia del Foro di Milano e Andrea Dacqua del foro di Locri.

Francesco Cirillo

Murale Marruzzo CirilloCaro Luigi,

ti scrivo questa lunga lettera innanzitutto per ringraziare te e le numerose persone che hanno sostenuto la raccolta fondi di cui sei uno dei promotori. All’indomani della sentenza del 30 settembre, tu e moltissimi altri vi siete immedesimati in me, non avete creduto che io potessi essere capace di ciò di cui sono accusato. Raccogliere fondi per pagare una multa è un grande atto di solidarietà che non si fa a un criminale, ma solo se c’è una condivisione sociale e politica, o comunque di un ideale di giustizia. E per questo vi ringrazio davvero di cuore.Non posso accettare questa generosa offerta, che mi commuove, per una precisa ragione:  non intendo pagare quella multa, in nessun caso, perché non la riconosco, è un’ingiustizia. Accettare quei soldi, pagare quella multa significherebbe riconoscere la sentenza, riconoscere l’ingiustizia.  Se questa vicenda si risolverà con un’assoluzione avranno comunque raggiunto l’obiettivo di interrompere un processo non solo di accoglienza, ma di un modello di società che stava andando avanti da vent’anni, dove i valori umani e la solidarietà sono fondanti. E, in fin dei conti, sono convinto che sia stata proprio questa condivisione la ragione per cui i sostenitori hanno voluto contribuire a questa sottoscrizione.  È vero, infatti, che nella raccolta è previsto l’impiego della somma nel sostegno al “modello Riace” in caso di assoluzione o riduzione della multa, a fine processo, e cioè tra chissà quanti anni. Se aspetteremo ancora, tra 3 o 4 anni Riace non ci sarà più, non ci sarà più cosa sostenere. È adesso che bisogna ripartire.  Oggi a Riace non vogliamo pagare quella multa ma vogliamo resistere alla lenta morte che sta assediando il nostro borgo. Dico noi, perché parlo anche degli abitanti e di chi è vicino a Riace, come i comboniani di Alex Zanotelli, come l’associazione e la fondazione Giuseppe Impastato di Cinisi, come i promotori del comitato 11 giugno (11 giugno 2019 data di inizio di questo assurdo processo) come tutti coloro che sono stati a Riace il 6 e 7 novembre, come tutti quelli che hanno una visione comune di un ideale di giustizia,  libertà, rispetto dei diritti umani, soprattutto di quelli che rivendicano a volte il solo diritto di esistere.

Per tutte queste ragioni, e soprattutto dopo le motivazioni che conosci bene, mi sento vittima di un’ingiustizia severa. Perciò non posso accettare questi soldi. Sono pronto a scontare la mia pena, se sarà necessario. Sono un nullatenente, e tale voglio rimanere. Sento l’esigenza, perciò, di proseguire questa lettera spiegandoti le mie ragioni dell’ingiustizia e la mia idea di via d’uscita da questa situazione. Innanzitutto, perché non sono colpevole.   Sul punto  sia tu che tantissimi altri autorevoli giuristi Italiani ( che avete seguito la vicenda, letto le accuse e, soprattutto,  le aberranti motivazioni della sentenza) avete capito la “stranezza” di questa amara vicenda e, soprattutto,  avete intuito la  mia assoluta INNOCENZA.

Quando è iniziata a Riace questa esperienza non ero Sindaco, ma un cittadino impegnato sul piano sociale e politico, mi sono concentrato su questo progetto non perché era il mio paese, ma seguendo l’idea di ripartire dalle periferie. E la Calabria, la sua area Jonica, sono periferie per eccellenza. In tutta Italia c’erano rivolte,  noi abbiamo provato a non rimanere in disparte. Era l’epoca dei movimenti studenteschi , a quel tempo cominciammo a domandarci se nella politica locale si potesse  dare sfogo alle nostre idee e alla nostra visione della società e della politica. Qual’era il contributo che proveniva dai paesi semi-abbondonati delle aree interne della Calabria ulteriore. Luoghi estremi stretti tra antiche e nuove oppressioni mafiose in cui l’unica alternativa rimane l’emigrazione.  Dopo una lunga attesa, siamo entrati negli enti locali e sono diventato sindaco di Riace. Negli anni ho sempre pensato di non sprecare nel vuoto formalismo un’occasione straordinaria. Non vale solo nel governo locale, ma purtroppo vale a livello globale: quando la sinistra e le istanze rivoluzionarie diventano potere, disattendono sistematicamente la mission originaria. A Riace, l’esperienza di governo locale, si è centrata sul destino degli esseri umani. Abbiamo costruito una piccola “utopia”, un’esperienza diretta sul nostro territorio Poi è arrivata la storia giudiziaria.  Io  non sono un tecnico del diritto per cui è inutile addentrarmi in argomentazioni giuridiche ma mi limiterò, soltanto,  ad alcune brevi osservazioni  sulle principali contestazioni che mi sono state mosse:

Riace solidarietàSull’Associazione a delinquere:

Sono accusato di avere agito per “interesse politico” e di avere messo in piedi a questo fine un’associazione a delinquere con altre persone coinvolte in questa esperienza. Tutti gli addetti ai lavori che hanno letto la sentenza rilevano  l’assoluta infondatezza della condanna rispetto all’associazione a delinquere. In questi anni ci siamo sempre limitati a collaborare, di volta in volta, con le persone e organizzazioni che sono arrivate quaggiù. Tantissimi si sono occupati di questa storia, in Italia, in Europa e non solo. Questa esperienza non sarebbe esistita senza la contaminazione con altre esperienze. Sono quindi tutti complici? Penso a due persone in particolare: monsignor Bregantini, all’inizio, e il missionario comboniano Alex Zanotelli che ci sostiene negli ultimi anni. La storia del villaggio globale che resiste nonostante tutto è diventata una missione come le tante che ci sono in Africa, in America Latina e nei sud del mondo. Nel corso degli anni ho imparato che uguaglianza, giustizia e riscatto sociale degli oppressi sono parte integrante e sostanziale del messaggio evangelico.

Sui lungo permanenti: 

Tutto nasce da una norma secondo la quale  i rifugiati potevano rimanere nei progetti massimo sei mesi. Intanto, dalle carte processuali emerge, chiaramente,  che  SPRAR e CAS erano a perfetta conoscenza dei lunghi permanenti. Ho sempre pubblicamente sostenuto che sei mesi sono insufficienti per garantire l’integrazione  dei rifugiati prevista dalla medesima  legge;  non ci può essere una regola che stabilisce la fine di un progetto uguale per tutti, perché non tutti gli individui hanno lo stesso tempo di “integrazione”, non tutti i rifugiati necessitano dello stesso tempo per imparare l’italiano per esempio. Ho sempre considerato disumano ed ingiusto  eliminare  dal progetto un bambino che a marzo sta  frequentando la scuola solo perché erano scaduti i 6 mesi dal suo inserimento.  Fare ciò significa “violentare” quel bimbo al quale sei mesi prima  avevamo dato l’illusione di una vita nuova.  Hanno fatto il calcolo dei 35 euro per ognuno dei tanti che sono rimasti nei progetti oltre quei sei mesi, valutandola una truffa allo Stato. Io questo ragionamento vorrei farlo non tanto davanti a un giudice, ma davanti a un economista: è antieconomico interrompere un progetto dopo sei mesi, perché sarebbe come un albergo in cui un beneficiario entra ed esce e il suo passaggio non è servito a nulla o quasi. Quindi lo Stato ha pagato dei soldi che non sono serviti a nulla o quasi. A Riace si è dato valore al denaro che lo Stato ha investito per l’accoglienza, perché l’obiettivo è stato aspettare che fossero pronti per essere davvero integrati nella società. Si tratterebbe, quindi, di una “truffa” che avrei consumato per aver valorizzato i fondi. Quindi il calcolo è relativo ai rifugiati che hanno beneficiato dei fondi oltre i sei mesi. Mi fa pensare che il Sistema centrale metta in piedi i progetti perché deve farlo, disinteressandosi che siano davvero efficaci e funzionali.

Padre AlexSul peculato:

non è altro che il modello Riace. Nella stragrande maggioranza dei progetti di accoglienza in Italia i 35 euro sono stati impiegati per la sola fase ordinaria, nel centro storico di Riace – al Villaggio globale, dove abbiamo messo in piedi il modello Riace – invece abbiamo capito presto che l’accoglienza non è una cosa passiva, i rifugiati non sono soggetti da mantenere come in un allevamento di animali, sono cittadini che cercano riscatto, futuro, dignità. Questo lo abbiamo imparato dai curdi sbarcati a Riace nel 1998. Perciò vorrei ribaltare la domanda e chiedere: dove non hanno fatto nulla o hanno fatto molto meno di noi con gli stessi soldi, dove sono finite quelle economie? Sono state rendicontate bene, evidentemente, quindi è la fase formale e burocratica quella che conta, ci preoccupiamo solo di quello.

Questi i fatti che, sostanzialmente, hanno determinato la condanna. La Procura  aveva chiesto 7 anni e 11 mesi, inclusa la concussione (reato più grave tra quelli contestati) e dal quale sono stato assolto   in quanto l’attendibilità della persona (RUGA) che mi ha accusato di concussione  è completamente vacillata in udienza. Ciò significa che senza detto reato  la Procura avrebbe chiesto  al massimo 2 anni. Tutto questo è qualcosa di inspiegabile! Il frantoio, la fattoria sociale, il parco giochi, le case del turismo solidale e dell’accoglienza, i laboratori di artigianato multietnico, il banco alimentare: tutto questo oggi sta permettendo ancora a delle persone di rimanere a Riace, anche se dal 2018 a oggi non ci sono più progetti. L’amministrazione comunale attuale non ha voluto proseguire, nonostante il Consiglio di Stato ci abbia dato ragione. E lo stiamo facendo ugualmente, senza progetti finanziati e con tutte le avversità immaginabili. Ecco, il peculato non riguarda me ma una dimensione sociale e collettiva. Come scrive Luigi Saraceni, è gravissimo che scrivano che non ho toccato un euro ma mi condannino ugualmente per peculato. Lo hanno capito tutti, solo la Procura di Locri e il Tribunale non lo hanno capito. E lo dimostra la solidarietà spontanea, enorme e immediata ricevuta dopo la condanna del 30 settembre.

Resistere, adesso

Quando sarà la sentenza definitiva? Non lo so, potrebbe essere già in appello o potrebbe essere necessario arrivare in Cassazione, potrebbero volerci ancora anni, 3 o 4 anni. E allora non ci sarà più nulla. È adesso che dobbiamo reagire. Nella nuova sede di Palazzo Pinnarò abbiamo già l’asilo e la mensa per i dodici bambini ancora presenti a Riace, questi lavori li stiamo sostenendo grazie a un premio in denaro che mi è stato dato in Svizzera.  Ma abbiamo ancora la scuola del pomeriggio da riaprire, il turismo solidale, il banco alimentare, la biblioteca, i laboratori da far ripartire: quello della tessitura con i telai manuali, della ceramica, del cioccolato, del legno, del vetro. E, da ultimo, una radio che sarà il cuore delle attività culturali, politiche e sociali. Il luogo di raccolta per chi vede in Riace un centro di giustizia e libertà. Una delle ultime esperienze che potrebbe vedere la luce, infatti, è la nascita di una web radio,  indipendente ma che è parte integrante del circuito di Riace.  La nascita di una web radio, sull’asse Cinisi-Riace, insieme ai compagni di Peppino Impastato che hanno organizzato una raccolta fondi finalizzata a sostenere le spese legali del mio processo (sono stati raccolti circa 7.000,00 euro da utilizzare per i costi iniziali della radio, non necessari per le spese legali, in quanto gli avvocati non hanno mai chiesto compensi)   è un’idea che nasce proprio da questa esigenza: protestare contro un ingiustizia e impedire che a Riace tutto finisca  La radio nasce come atto di protesta per quella vecchia accusa del 19 dicembre 2016, da cui tutto è partito. Da quella denuncia di un esercente di una piccola attività che ha accusato di concussione me e chi lavorava con me. La nascita di questa radio ci dà molta forza per resistere, per raccontare al mondo cosa sta succedendo. E per accorciare le distanze con tutti quelli che in questi anni e ancora oggi sono vicini a Riace. Quello che chiediamo oggi è un atto di comprensione e di condivisione:  riaprire, tornare alla vita;  è questa la risposta che dobbiamo dare più che pagare una multa. Non voglio soldi per me ma per fare ripartire una storia che è stata brutalmente  interrotta.  Ancora un grazie e un abbraccio a te e ad ogni sostenitore

Domenico  Lucano

La lettera di Mimmo Lucano al senatore Luigi Manconiultima modifica: 2022-03-16T17:40:08+01:00da sciroccorosso