
E’ finita l’estate e si fanno i conti, che per albergatori, villaggi turistici, lidi balneari tornano sempre, ma i conti che non tornano sono quelli dei pescatori che progressivamente dal mese di luglio in poi la pesca non è andata per niente bene. A novembre il colpo finale, la moria di cernie ed altre specie di pesci colpite anche queste, dicono, dal surriscaldamento del mare. Poi ecco le analisi prodotte dagli istituti ittiologici ed ecco la risposta rassicurante per tutti, trattasi di un virus, il betanodavirus, un patogeno virale responsabile della encefalo-retinopatia virale, una malattia che attacca il sistema nervoso dei pesci, spesso risultando letale. Non si danno contromisure né si organizzano maggiori analisi sui sedimenti e sulle acque. I politici stanno zittti, così il Presidente della Regione Occhiuto. Chiusa la partita. I pescatori possono tirare le reti in barca e tornarsene a casa tranquillamente in attesa che il mare si riaffreddi e che tutto torni alla normalità. “Non avremo più il mare di prima – mi dice un pescatore al porto di Cetraro- non è che ci sia solo il problema del virus, il problema vero è che il mare è vuoto, è disabitato dai pesci”.
E la conferma mi arriva anche da altri pescatori del tirreno che dicono che è come se ci fosse stata un’emigrazione di pesci verso il nord della Calabria, in aree vicine, e che pesci che prima nelle zone di Maratea e Policastro non si vedevano oggi si vedono e vengono tranquillamente pescati dai pescherecci locali.
Allora bisognerebbe chiedersi, non è che le cause possano essere altre ? Cause che fanno paura a dirsi ? Cause che potrebbero suscitare un allarme che già è stato fatto nel 2009 per poi essere stato sedato ed oggi dimenticato?
Ed eccoci di nuovo a parlare di navi dei veleni.
Le rivelazioni sulle navi dei veleni sono tantissime, sono stati fatti servizi giornalistici, libri, documentazioni, interviste. Ma quella più importante, quella che ha cercato di scavare fino in fondo, quella rivelazione è stata tenuta quasi in disparte ed è giusto vista la situazione attuale riprenderla. Si tratta della confessione dell’unico pentito di mafia riguardante le navi dei veleni. Quella di Francesco Fonti, ‘ndranghetista di primo ordine , pentito, messo in sicurezza in una casa in Emilia Romagna e lì trovato morto dal figlio , si dice per cause naturali. Fonti, scrisse un dossier, che riportò poi in un libro dove parlò della sua carriera di ‘ndranghetista . Un dossier con tutte le rivelazioni del pentito venne pubblicato dall’Espresso ed anche in quel caso i riferimenti furono precisi, così come le responsabilità di persone legate alla mafia locale. Il pentito , parlava della mafia di Cetraro e del boss Franco Muto . Testualmente il pentito dichiarò di essere stato contattato da una società armatrice di navi a perdere regolarmente iscritta all’albo commerciale e ben conosciuta dai governi in carica e che assieme ad un altro boss di san Luca organizzò l’affondamento di tre navi aiutato da un boss della mafia cetrarese.
«Io stesso»,dice il pentito Fonti, «mi sono occupato di affondare navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Nel settore avevo stretto rapporti nei primi anni Ottanta con una grande società di navigazione privata . La Yvonne A, ci disse la società , trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunski 120 bidoni di scorie radioattive e la Voriais Sporadais 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive, erano queste le tre navi da affondare.
La società ci informò anche che le imbarcazioni erano tutte al largo della costa calabrese in corrispondenza di Cetraro, provincia di Cosenza. “
Fonti quindi si recò a Cetraro assieme al boss di san Luca prese contatto con il boss di Cetraro e assieme organizzarono gli affondamenti. “La Yvonne A , continuò Fonti, andò per prima al largo di Maratea, la Cunski si spostò poi in acque internazionali in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Sporadais la inviammo per ultima al largo di Genzano. Poi facemmo partire tre pescherecci forniti dalla famiglia del boss cetrarese e ognuno di questi raggiunse le tre navi per piazzare candelotti di dinamite e farle affondare, caricando gli equipaggi per portarli a riva.
“Gli uomini recuperati», si legge nel memoriale, «sono stati messi su treni in direzione nord Italia. Finito tutto, io tornai a Milano, mentre il boss di san Luca si recò dalla società a prendere i 150 milioni di lire per nave che erano stati concordati». “ So per certo», racconta l’ex boss della ‘ndrangheta, «che molti altri affondamenti avvennero in quel periodo, almeno una trentina, organizzati da altre famiglie, ma non me ne occupai in prima persona.”
Oramai il boss Fonti è morto, ma restano interrogatori suoi e altra documentazione sparsa nelle procure di Reggio Calabria, La Spezia, Paola, Genova qualcuno oggi potrebbe scavare e tirare fuori verità che sono rimaste nascoste, come quella sull’ordinanza della capitaneria di porto di Cetraro emanata nell’aprile del 2007. resta la morte misteriosa, ma non troppo , del Capitano di corvetta De Grazia, avvenuta il 13 dicembre del 1995, che indagava su queste navi e che passò proprio da Cetraro prima di morire in auto accompagnato da due militari dei quali probabilmente uno di questi legato ai servizi segreti. Ma torniamo a Cetraro.
Nell’ordinanza , la n. 03/2007 il comandante Sergio Mingrone ordinava il divieto di pesca in due specifiche zone nei fondali davanti Cetraro corrispondenti a quelli dove il pentito Fonti asseriva di aver affondato la nave Cunski. La capitaneria affermava di aver fatto dei rilievi nei fondali che avevano rilevato la presenza e il superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nei predetti sedimenti marini, relativamente all’arsenico (area 1 e 2) e al cobalto (area 2), nonché un valore molto alto per l’alluminio e valori del cromo di attenzione nelle aree 1 e 2.
Questa ordinanza è ancora in vigore o la capitaneria ha fatto fare altre analisi dei sedimenti per scacciare ogni dubbio . E comunque quel cobalto, quel cromo, quell’alluminio come sarebbe arrivato in quelle aree? E perchè quelle analisi vennero fatte in quel punto preciso ?
La Cunski come disse il pentito Fonti conteneva 120 bidoni di rifiuti radioattivi e sono proprio i bidoni filmati dalla navicella che l’allora presidente della regione Oliverio fece calare in mare per perlustrare la zona. Un’operazione che costò allora 70 mila euro e che dimostrò la presenza di una nave che aveva attorno un grosso cerchio nero come se fosse esploso qualcosa al momento dell’affondamento. Le misure corrispondevano a quelle della Cunski, poi sappiamo come finì. La grande manifestazione ad Amantea di 30 mila calabresi per chiedere la verità, l’arrivo di una nave fornita da un amico di Berlusconi , allora capo del governo e le dichiarazioni della ministra dell’ambiente Prestigiacomo che asserì che quella nave era una nave da guerra , la Catania, che invece nei registri militari risultava essere stata affondata nei pressi di Napoli.
Ma rimane anche la testimonianza che il 22 settembre del 2009 rese alla Commissione Ecomafie presieduta dall’on. Pecorella, dall’allora Procuratore Capo di Paola Bruno Giordano, – deceduto il 28 dicembre del 2018 – e tenuta segreta fino a che venne desecretata e resa pubblica nel 2014 .

Durante l’audizione, Giordano raccontò l’iter delle sue indagini:
“A circa 11 mila e 800 metri dalle coste di Cetraro, all’interno delle acque territoriali italiane, sono stati fatti diversi rilievi a seguito delle segnalazioni di numerosi pescatori che riferivano come le loro reti rimanessero continuamente impigliate” si legge nel documento.
Il magistrato racconta che da alcuni rilievi dell’ARPACAL – agenzia regionale per l’ambiente della Calabria – in quella zona era visibile una “impronta di 50 m x 8 m sul fondo marino”. Giordano aggiunse anche di aver chiesto aiuto alla Marina Militare che si negò. In soccorso al lavoro della Procura arrivò l’impegno diretto dell’allora Assessore Regionale all’Ambiente Silvio Greco, che coinvolse la società Nautilus di Vibo Valentia che mise a disposizione un ROV, un robot subacqueo, in grado di scendere a 483 metri di profondità dove si sarebbe trovato il relitto. Le verifiche avvennero il 12 settembre 2009, quindi pochi giorni prima dell’audizione di Giordano in commissione del 22 settembre.
Eccolo il racconto del magistrato su quello che vide il 12 settembre 2009: “Ci siamo trovati davanti una nave di 120 m x 20 m, con una fiancata alta 10 metri ed un evidente squarcio a prua dall’interno verso l’esterno come aveva raccontato nelle sue dichiarazioni il pentito Fonti […]. Si tratta di una nave costruita tra gli anni ’50 e ’60 e sembrerebbe corrispondere al Cunski […]. Dai registri abbiamo verificato che non ci sono stati affondamenti bellici in quel punto”.
“Dallo squarcio di prua fuoriescono due bidoni, uno dei quali seminsabbiato e secondo i tecnici del Rov la stiva risulterebbe parzialmente piena”. Fa inorridire chiunque guardi quel filmato” precisa Giordano: “Da uno degli oblò sembrerebbero visibili due forme fisionomiche umane, sembrerebbero proprio due teschi in aderenza all’oblò”.
Domanda e se uno di quei fusti fosse esploso usurato oramai dalla pressione ? Se la contaminazione dei pesci partisse da quei luoghi ? E’ così difficile poter constatare cosa stia succedendo aiutati anche dalle moderne tecnologie che permetterebbero di poter scendere a quella profondità e stabilire cosa succede attorno a quella nave ripartendo da tutte le testimonianze avvenute?
Buon cenone di Capodanno a tutti .