La sdraio

DOGMAN - Quando a recitare non sono (solo) i cani


[caption id="attachment_241" align="alignleft" width="210"] Locandina[/caption] Per l'ennesima volta ci troviamo a dover annotare un'opera del buon Garrone, regista che continua imperterrito a ritrarre umanità varia e luoghi malsani,  fuori dai temi ipersofisticati, bisbigliosi e finti trattati dal nostro triste e povero cinema. Ci piace pensare all'effetto disturbante che potrà avere un film come questo sulle nostre genti e sulla loro bocca buona; su quello stesso pubblico che plaude sguaiatamente alle glorie della storia del cinema italico senza avere bene presente cosa fosse QUEL cinema, cosa fosse la sua capacità di ritrarre attraverso il grottesco la mostruosità della Patria e dei suoi miserabili frequentatori (su quella scia lavora con buoni risultati - talvolta davvero troppo grotteschi - Sorrentino). Qui c'è meno violenza rispetto al fatto di cronaca a cui l'opera si ispira. Qui si declina maggiormente su quel buon diavolo di Marcello ma è inevitabile, perché noi siamo Marcello, e non sarebbe stato giusto indugiare sulla tortura fine a sé stessa. Peccato che pari gloria mediatica non abbia ricevuto l'attore che impersona Simone: un mugugnatore di periferia dotato di ingranaggio singolo al posto del cervello, tipologia sempre più comune presso le migliori sale scommessa. Le sequenze col piccolo, ossuto Marcello e il gigantesco Simone sono come dei mostruosi balletti dell'orrido, scambi agitati che non possono non finire in violenze urlate e vibranti. Grande cinema. dove una volta tanto i cani fanno soltanto i cani, e null'altro.