La sdraio

La casa di Jack (The House That Jack Built), 2018


Provare a capire cosa abbia nel cervello Von Trier è un esercizio che ancora appassiona ma, va detto,  tanti hanno gettato la spugna, poiché l'età dei suoi seguaci non è più tanto fresca. La cosa certa di quest'ultima opera, forse il capolavoro (per esserne certo devo rivedere un paio di film), è che il pazzoide danese ha davvero speso tanta energia per infilarvi dentro quanta più roba possibile dello scibile umano avesse a che fare con i concetti di morte, decadenza e putrefazione (pare che il progetto iniziale dovesse essere una serie tv). Al di là del risultato (il giudizio unanime non è cosa SUA) si ha la certezza assoluta che Matt Dillon abbia superato tutti gli assassini della storia dell'audiovisivo. Davvero, al suo posto avrei terrore della mia ombra, nessuno specchio in casa e nessun documento pur di non dovermi vedere in una fototessera. Tutto scorre in maniera lucidamente folle, con espedienti di montaggio, musiche e qualche effetto teso ad alleggerire la puzza perenne di obitorio, con quel tocco sublime di Bruno Ganz che accompagna il nostro terribile eroe fino alla destinazione finale, senza scampo alcuno. Estenuante e (almeno finora) definitivo. Ripeto, capolavoro (forse).