Amore come malattia, fissazione politica


Faccio seguito alla mia lettera del 27 marzo, "Amore come malattia, la colpa è di Catullo". Era d’accordo anche Baldassar Castiglione (1478-1529): il suo "Cortegiano" dovrebbe pensare soltanto all’amor platonico perché quello sensuale provoca "continue lacrime e sospiri", come aveva già dimostrato Ovidio ("Ars Amatoria").

Al Cortegiano, Castiglione suggerisce di non aver un aspetto "molle e femminile" simile a quello delle più lascive e disoneste donne del mondo, con i capelli arricciati e le ciglia spelate.

Ovidio è il maestro da cui Castiglione riprende il tema: "Stieno lungi da noi i giovani adorni come femmine. Parcamente deve adornarsi la forma dell’uomo". Ma Ovidio distingueva fanciulle tenuta alla castità e quelle "a cui la legge e la condizione sociale permettono di poter apprendere" i suoi precetti d’amore, come si legge nella "Storia erotica d’Italia" di Cinzia Giorgio (2014).

In questo testo si ricorda che Ovidio pagò cara l’esortazione alla libertà ed all’amore: Augusto non volle graziarlo (lo aveva condannato all’esilio sul Mar Nero, nell’attuale Costanza in Romania), perché egli "aveva descritto l’élite romana come prigioniera nella gabbia dorata del principato, e tutta presa da giochi artistici ed erotici".

Se l’amore è una malattia, anche la politica lo è lungo la Storia perché nega il libero pensiero.

Lontano da Ovidio, papa Pio II da giovane aveva avuto due figli: da una donna maritata in Germania ed un altro in Scozia. Pio II fu colui che accusò il nostro Sigismondo dei Malatesti di aver ripudiato la prima moglie, avvelenata la seconda, strangolata la terza.

Jeanne C. Granese
Rimini

politica04052018

Lettera pubblicata sul “Corriere Romagna” il 4 maggio 2018