DISCIPLINARE PER LA DEFINIZIONE DI STANDARDS INTERNAZIONALI PER L’OTTENIMENTO DEL MARCHIO
“PIZZA NAPOLETANA”
1. Campionatura randomizzata
Per poter definire esattamente le caratteristiche che dovranno avere sia le materie prime che il prodotto finito, abbiamo ritenuto di dover avere cognizione più meno esatta delle materie prime che più frequentemente vengono utilizzate per ottenere il prodotto finito “pizza napoletana”.
Abbiamo pertanto proceduto a selezionare un certo numero di pizzerie della città di Napoli e, in alcuni casi, della sua provincia.
Durante il sopralluogo, sono state sottoposte al pizzaiolo alcune domande sia sulla tecnica individuale di lavorazione, che sui prodotti che venivano utilizzati di solito nella pizzeria.
In accordo con gli stessi pizzaioli, abbiamo, inoltre, proceduto a prelevare un campione delle materie prime (farina, olio ecc.) sulle quali sono stati eseguiti degli esami merceologici che verranno descritti di seguito.
A tutti i pizzaioli è stato garantito che quanto emerso sia dalle interviste che dagli esami merceologici sarebbe restato coperto da anonimato, ed i risultati sarebbero stati utilizzati esclusivamente per ottenere alcune informazioni sulla base delle quali procedere alla stesura del disciplinare.
Farina
Sono stai misurati i seguenti indici:
– umidità
– indice di Zeleny
– prova del rigonfiamento al calore
– farinogramma secondo Brabender
– alveogramma secondo Chopin
Olio
Sono stati eseguiti:
1. la determinazione dell’acidità,
2. del numero di perossidi,
3. la misura dell’assorbimento di della composizione luce ultravioletta,
4. l’analisi della composizione in acidi grassi (attraverso gascromatografia degli esteri metilici)
5. l’analisi della composizione in trigliceridi e la determinazione del contenuto di trilinoleina (attraverso la cromatografia in fase liquida HPLC)
6. una valutazione organolettica (senza i requisiti ufficiali del Panel Test).
Impasto
Su un impasto a mano eseguito nei nostri laboratori e su un impasto gentilmente fornitoci da uno dei pizzaioli intervistati, appena preparato e a vari tempi di lievitazione, sono stati eseguiti:
– temperatura di lievitazione
– determinazione del pH
– acidità totale titolabile (A.T.T.)
– densità
– esame al microscopio elettronico a scansione
2. Aspetti merceologici e legislativi del prodotto
Scopo della presente formulazione tende a stabilire le caratteristiche del prodotto tipico “pizza napoletana”.
Ogni operatore che sia in grado di offrire un prodotto con tutte le caratteristiche richieste dal presente disciplinare potrà, quindi, acquisire il diritto di apporre sul proprio esercizio il “logo” e la “dicitura” caratterizzante del marchio doc, proprietà del COMUNE DI NAPOLI solo o con altri ENTI.
Il Comune può riservarsi il diritto per mezzo di una sua Commissione di Esperti di controllare che gli operatori iscritti nell’albo degli utenti del marchio seguano il disciplinare per l’elaborazione di questo “piatto tipico”.
Art. 1
E’ riconosciuta la “denominazione di origine controllata” del prodotto tipico “pizza napoletana”, il cui uso è riservato ai due tipi di pizza marinara (pomodoro, olio, origano e aglio) e margherita (pomodoro, olio, mozzarella, formaggio e basilico) aventi i requisiti fissati con il presente decreto, con riguardo ai metodi di lavorazione ed alle caratteristiche organolettiche e merceologiche del prodotto finito e derivanti dalla materia prima e dai metodi di preparazione e cottura.
Art. 2
Il prodotto tipico “pizza napoletana” deve avere le seguenti caratteristiche nelle sue due varianti:
a) marinara: supporto di pasta condita con pomodoro, olio, aglio, origano e sale.
b) margherita: supporto di pasta condita con pomodoro, mozzarella o fior di latte, olio, sale e basilico.
Art. 3
I prodotti che dovranno essere utilizzati per la produzione della “pizza napoletana” dovranno avere le caratteristiche che vengono riportate nel presente disciplinare.
Impasto
La tecnica di impasto utilizzata è riconducibile al sistema diretto. Tutta l’acqua necessaria viene posta nell’impastatrice e si aggiungono in successione il sale ed il lievito (stemperato direttamente nell’impastatrice); si avvia la macchina e si aggiunge la farina a pioggia sino al raggiungimento della consistenza desiderata (punto di pasta). L’introduzione della farina per evitare la formazione di grumi dura circa 10 minuti; l’impasto viene quindi lavorato per 30 minuti (ossidazione).
Per garantire l’uniformità del prodotto, al variare delle condizioni stagionali, sarebbe consigliabile l’uso di celle di fermentazione a temperatura ed umidità controllabili.
Le impastatrici utilizzate sono, in genere, del tipo a “forcella” o a “spirale” a doppia velocità: adatte quindi alla realizzazione di impasti medio-duri o teneri. L’impastatrice a spirale rispetto a quella a forcella consente una minore aerazione (ossidazione) dell’impasto e sviluppa una maggiore quantità di calore. L’uso delle impastatrici a “bracci tuffanti” consentirebbe tempi di lavorazione più brevi ed un’ottima aerazione dell’impasto. Una eccessiva lavorazione (con il conseguente riscaldamento meccanico) comporta “incordatura” dell’impasto cioè l’organizzazione sotto forma di fibra della maglia glutinica con grave pregiudizio delle proprietà meccaniche.
Componenti:
Farina
I campioni di farina 00 prelevati, come detto all’inizio, presentavano un buono stato di conservazione (valutato sulla base del grado di acidità) e valori di umidità nei limiti della vigente normativa. In quei casi in cui le farine 00 risultavano mescolate con farine di forza, le analisi chimiche e merceologiche sono state effettuate sulla miscela realizzata in base alle percentuali indicate.
Lievito
Dovrà essere utilizzato un lievito di birra fresco di uso casalingo in confezioni da 25 – 500 grammi (Saccharomices cerevisiae) (D.M. 21/03/1973 e 18/06/1996).
Sale
Dovrà essere utilizzato sale marino
Dosi di impasto
Si riporta un valore dei vari ingredienti ottimale raccomandato rapportato a litro di acqua.
Acqua = 1 lt
Sale = 50 g
Lievito = 5 g
Farina = 1,8 Kg
Tempo di impasto = 10 minuti per agg. farina
20 minuti lavorazione
(deve raggiungere il punto di pasta)
Lievitazione = in macchina o madia legno 4 h
“Staglio” = in panetti 180 g circa
Lievitazione = in cassette legno 1 h
Temperatura = ambiente (T: 25 °C)
Umidità =
Conservazione = 2-3 ore temperatura ambiente
L’impasto, a fine lavorazione, tolto dall’impastatrice e posto a riposare su di un marmo o in una madia di legno, viene ricoperto da un panno umido onde evitare l’indurimento della superficie per evaporazione. L’impasto risulta “grasso” all’aspetto e “liscio” al tatto; dal punto di vista delle proprietà meccaniche risulta “molto estensibile” e “poco elastico”.
L’impasto viene quindi sagomato (formatura o staglio) sotto forma di palline di 180 grammi circa con una tecnica che ricorda la preparazione delle mozzarelle (mozzatura).
Caratterizzazione dell’impasto durante la lievitazione
Temperatura di fermentazione 25 °C
pH finale dell’impasto (8 ore) 5,871
A.T.T. a 8 ore di lievitazione 0,14
Densità 0,79 g/cc (+ 34 %)
Olio
La preparazione della pizza prevede l’aggiunta di uno strato di olio sopra gli ingredienti disposti nella zona centrale in modo da consentirne una cottura uniforme, evitando la perdita di umidità e dei componenti volatili e permettendo la formazione di bolle di aria solo nel bordo esterno della pizza (il cosiddetto “cornicione”).
Nonostante che la temperatura e la durata della cottura per la pizza non siano drastiche, la scelta dell’olio da utilizzare ricade su quello con maggiore resistenza alla ossidazione e con stabilità ad alte temperature, cioè sull’olio di oliva.
L’olio di oliva ottenuto da pressione a freddo che non ha subito processi di raffinazione, cioè l’olio extra vergine e quello vergine, contiene inalterati gli antiossidanti naturali quali i tocoferoli. Pertanto l’olio che si presta meglio alla cottura è l’olio di oliva, in particolare l’extravergine.
L’olio extra vergine di oliva da utilizzare nella preparazione della pizza deve essere assenti da difetti, alla analisi sensoriale prevista dal Panel Test. In particolare sono da escludere quelli con gusto grossolano o particolarmente amaro, retrogusto aspro-pungente, flavor cetriolo o cotto o rancido o riscaldo o vecchio.
Tra gli oli extra vergini di produzione regionale risultano perticolarmente adatti quelli dal flavor fruttato o mandorlato, entrambi preferibili dolci piuttosto che amari.
Tra gli extra vergini che risultano accettabili al Panel Test, quelli che potrebbero comunque incontrare diffidenza da parte dei pizzaioli sono dal flavor particolarmente intenso di fruttato (tipico di alcuni oli pugliesi) o di foglia verde e/o erba (tipo degli oli calabresi).
Si consiglia l’uso di olio extra vergine di oliva di produzione Campana del flavor fruttato o mandorlato.
Pomodoro
L’utilizzazione del pomodoro fresco, anche se auspicabile specie in regioni nelle quali la sua produzione raggiunge buoni livelli sia quantitativi che qualitativi, non viene, in genere, utilizzato perchè risulta con elevato contenuto in acqua. D’altra parte, il tempo di “campagna” del pomodoro garantirebbe l’utilizzazione del prodotto solo per un limitato e ben definito periodo dell’anno.
Riteniamo, pertanto, che possa e debba essere utilizzato un prodotto presente sul mercato in ogni periodo dell’anno e che non presenti un elevato grado di variabilità nell’arco di uno stesso anno di produzione o tra un anno e l’altro.
Il pomodoro, specie se sotto forma di pelati dovrà, per il possibile, essere sgocciolato e poi frantumato ed omogeneizzato a mano.
Il pomodoro che, sulla base del presente disciplinare, dovrà essere utilizzato nella preparazione della “pizza napoletana” è il “pomodoro S. Marzano”. La denominazione di “pomodoro S. Marzano” senza altra qualificazione è riservata al pomodoro ottenuto dall’ecotipo S: Marzano nell’Agro Sarnese-Nocerino. Possono concorrere alla produzione di detto pomodoro, linee ottenute a seguito di miglioramento genetico dell’ecotipo S. Marzano sempre che siano state coltivate nell’ambito di un territorio esattamente definito.
Per la preparazione della “pizza napoletana” è opportuno l’uso di pomodori in pezzi. In tal caso, fermo restando tutto quanto specificato precedentemente e l’uso esclusivo di pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino, i pezzi dovranno avere un calibro di 8 mm di lato.
E’ consentita l’aggiunta di succo di pomodoro, succo di pomodoro parzialmente concentrato, semiconcentrato di pomodoro ottenuto esclusivamente da frutti di pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino.
Un discorso completamente a parte merita l’uso dei pomodorini di Corbara o il pomodorino “tondo col pizzo” delle pendici del Vesuvio e Monte Somma (il “piennolo” napoletano); si tratta, infatti, di un tipo di pomodoro prodotto, in genere, in regioni collinari, a basso contenuto d’acqua. E’ possibile l’approvvigionamento del prodotto fresco o conservabile appeso, negli stessi locali della pizzeria, in ogni periodo dell’anno.
Mozzarella
E’ consentito l’uso esclusivamente di “Mozzarella di Bufala Campana”.
Le caratteristiche della “Mozzarella di Bufala Campana” sono quelle riportate nel Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 10 maggio 1993, confermato nel decreto CEE di attribuzione del marchio DOP.
Formaggio
Nella storia della “pizza”, probabilmente, il formaggio “tipico” che veniva utilizzato era il “caciocavallo” invecchiato e grattugiato. Altro possibile formaggio “tipico” da pizza era il “pecorino”.
Nella formulazione della ricetta della pizza è entrata nell’uso l’utilizzazione del “parmigiano reggiano” e del “grana padano” da soli o miscelati con pecorino.
In genere viene utilizzato il “parmigiano reggiano” o il “grana padano” unitamente alla “mozzarella”, mentre si preferisce utilizzare il “pecorino” solo o miscelato ad uno dei due precedenti nel caso che nella formulazione della ricetta entri il fior di latte.
Comunque riteniamo che il formaggio non debba essere messo sulla pizza napoletana.
Basilico
Aglio
Origano
3.Tecnica di preparazione
Impasto:
Su un piano di marmo verrà posto il panetto cresciuto e, aiutandosi con un poco di farina, per evitare che parte della pasta possa aderire al piano di lavoro, con un movimento dal centro verso la periferia, la pasta verrà stesa fino a raggiungere uno spessore al centro di 1 centimetro. Questo lavoro con le mani in funzione dell’abilità del pizzaiolo determinerà lo spostamento dell’aria, contenuta nelle alveolature della pasta, verso la periferia del disco, che resterà più gonfio. Sarà quest’ultimo che, a termine di lavorazione, darà il così detto “cornicione” che manterrà gli ingredienti all’interno (fig. 18-21).
E’ esclusa, per la preparazione della pizza napoletana l’uso di strumenti per la stesura come macchine a disco o matterello di legno. L’uso, infatti, di tali strumenti determinerà il non omogeneo spostamento dell’aria dell’alveolatura; si otterrà, quindi, la formazione al centro del disco, di una zona stratificata di pasta, divisa da aria nell’intercapedine.
Guarnizione:
marinara
pomodoro g 30
olio extra vergine di oliva g 7
aglio 1 spicchio
origano 0,5 g (un pizzico)
sale quanto basta
Con una “cucchiaia” di legno si deposita il pomodoro al centro del disco di pasta e, con movimento rotatorio, si provvede a distenderlo uniformemente in tutta la zona centrale.
Lo spicchio d’aglio, privo della corteccia dura, viene tagliato in fettine sottili con un “raschietto”; le fettine vengono sparse sulla superficie del pomodoro.
L’origano e il sale vengono distribuiti sulla superficie del pomodoro con movimento ordinato, facendo in modo che la distribuzione sia la più omogenea possibile.
L’olio extra vergine di oliva viene deposto con movimento a spirale, partendo dal centro verso la periferia, utilizzando un orciuolo in rame con becco sottile.
margherita classica
pomodoro g 30
olio extra vergine di oliva g 7
mozzarella di bufala g 50
basilico un ciuffetto
sale quanto basta
oppure
pomodoro g 30
olio extra vergine di oliva g 7
fior di latte g 50
pecorino g 10
basilico un ciuffetto
sale quanto basta
Con una “cucchiaia” di legno si deposita il pomodoro al centro del disco di pasta e, con movimento rotatorio, si provvede a distenderlo uniformemente in tutta la zona centrale.
La mozzarella o il fior di latte, tagliati in pezzetti non molto spessi, verranno distribuiti uniformemente sulla superficie del pomodoro.
Il formaggio, se usato, verrà sparso sulla superficie della pizza con movimento rotatorio in modo che sia sparso uniformemente.
Il sale, a seconda del gusto, verrà sparso uniformemente sulla superficie della pizza.
L’olio extra vergine di oliva viene deposto con movimento a spirale, partendo dal centro verso la periferia, utilizzando un orciuolo in rame con becco sottile.
margherita “extra”
pomodoro g 20
pomodorini freschi “Corbara” o “col pizzo”
(piennolo) g 60
olio extra vergine di oliva g 7
mozzarella di bufala g 80
basilico un ciuffetto
sale quanto basta
Con una “cucchiaia” di legno si deposita il pomodoro al centro del disco di pasta e, con movimento rotatorio, si provvede a distenderlo uniformemente in tutta la zona centrale.
La mozzarella, tagliata in pezzetti non molto spessi, verrà distribuita uniformemente sulla superficie del pomodoro.
I pomodorini verranno prima spezzati con le mani, quindi disposti uniformemente sullo strato di mozzarella.
Il sale, a seconda del gusto, verrà sparso uniformemente sulla superficie della pizza.
L’olio extra vergine di oliva viene deposto con movimento a spirale, partendo dal centro verso la periferia, utilizzando un orciuolo in rame con becco sottile.
L’interposizione del pomodoro tra il disco di pasta e lo strato di mozzarella Ë essenziale per impedire che dal contatto tra i carboidrati presenti nella farina e le proteine presenti nella mozzarella al calore possano generarsi complessi di Maillard, dannosi e che potrebbero alterare il sapore della pizza.
Cottura:
Prima di poter parlare della cottura della “pizza napoletana”, ci sembra essenziale descrivere sia il forno che gli attrezzi necessari non solo dal punto di vista della memoria storica, o, come direbbe qualcuno, del folclore.
Il forno così come utilizzato e tramandato dalla storia delle pizzerie napoletane rappresenta parte integrante del disciplinare, perchè, solo se cotta in un forno a legna come verrà descritto in seguito, la pizza potrà conservare le sue caratteristiche salienti in qualsiasi parte del mondo venga preparata.
Il forno
Il forno da utilizzare per la cottura della pizza è il forno a legna tipico delle pizzerie di Napoli e della Campania.
Esso Ë costituito da una base di mattoni refrattari e da una cupola anch’essa di materiali refrattari.
Il forno viene preriscaldato utilizzando legna che non dia fumo o odori che potrebbero modificare l’aroma della pizza stessa (quercia e ulivo).
Le pizze verranno deposte con la pala in legno distribuite nella zona del forno dove non c’è legna che arde; il pizzaiolo, utilizzando la pala in acciaio provvederà a spostare le pizze sia come posizione, sia ruotandole in modo da farle cuocere in maniera uniforme.
Le pale
Normalmente le pale sono due:
pala in legno: serve per infornare la pizza. Il pizzaiolo cosparge la pale con un poco di farina, per consentire il facile scivolamento della pizza dalla pala nel forno. Questo avviene con un rapido colpo di polso, tenendo la pala ad un angolo di 20-25° rispetto al piano del forno stesso.
pala in acciaio: serve a spostare la pizza nel forno e a sfornarla dopo la cottura.
La temperatura
Le temperature che vengono raggiunte nel forno a legna sono piuttosto alte; esse oscillano tra i 450 e i 485 °C .
La temperatura di esercizio viene raggiunta preventivamente, accendendo il forno alcune ore prima dell’inizio della preparazione delle pizze. In genere si ritiene raggiunta questa temperatura quando il soffitto scuro assume prima un colore rossastro e successivamente bianco.
La cottura avviene direttamente sulla platea del forno e la pizza viene rigirata in modo da esporre l’intera superficie al calore raggiante.
In qualche caso il pizzaiolo aumenta la temperatura interna del forno mediante l’aggiunta di “pampuglia” di legno che consente di ottenere una rapida fiammata ed un istantaneo innalzamento della temperatura.
Aspetto finale della pizza
La pizza a fine cottura presenta un cornicione regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico di pane; la parte centrale risulta morbida (in quanto il condimento ostacola l’evaporazione).
La pizza è agevolmente ripiegabile su se stessa (a libretto o a portafoglio)