Category: Napoletani in America
Angelarosa – Ria Rosa
Angelarosa – Ria Rosa
RIA ROSA “stu cazon co tien a ffa”
RIA ROSA ” fresca fresca”
Serenata ‘e ‘na femmena – Ria Rosa
Cinematografo sottotitoli – Ria Rosa
MARIA ROSARIA LIBERTI in arte RIA ROSA
https://nap.wikipedia.org/wiki/Maria_Rosaria_Liberti
CONTRIBUTI ITALIANI IN AMERICA/La Rosa degli emigranti
Ria Rosa è il nome d’arte di Rosaria Liberti (nelle foto), nata a Napoli nel quartiere di Montecalvario il 2 settembre 1899, figlia di Angelo e Anna Carotenuto. Esordì a sedici anni, dopo essere stata allevata da Rodolfo Falvo. Subito diede prova delle potenzialità derivatele dal colore della voce e dal fatto di saper mettere questa al servizio di un’interpretazione teatrale del testo. Di tale stoffa preziosamente sanguigna si accorse anche il pubblico americano, che potette conoscerla durante un giro organizzatole nel 1922 da un impresario. Furono tali i successi, che ella si convinse a restare in America, dove risultò emigrata dal 23 agosto 1933. Pare si sia spenta lì ultranovantenne, lontano dalla sua città, forse nel 1988…
Maria Rosaria Liberti, in arte Ria Rosa, proclamata Cantante degli Emigranti , antagonista di Gilda Mignonette, nonché ironica e divertente Nonna delle Femministe , straordinaria interprete della canzone napoletana approdò nel 1915 (a soli 16 anni) nel mondo dello spettacolo. Dapprima come sciantosa alla Sala Umberto di Napoli (prestigioso Cafè Chantant dove si esibirono le dive più famose come A. Fougez, la Bella Otero, etc), e poi date le sue capacità interpretative (voce scura e teatrale), per le più celebri Piedigrotte, contesa dagli impresari teatrali.
Nel 1922 sbarca a New York con la compagnia di Nicola Maldacea; qui, dato il successo, fonda una sua Compagnia dedicandosi anche alla rappresentazione di particolarissime sceneggiate, quali E’ Pentite , storia e sorte delle ragazze madri napoletane. Ria Rosa suscita scalpore anche per altre sue esibizioni; non si risparmia il travestimento da Guappo per cantare canzoni al maschile come Guapparia , né ha timore di sfidare le autorità americane nel 1927, denunciando con Mamma Sfortunata (primo titolo “A’ Seggia Elettrica”) l’errore giudiziario per la condanna a morte di Sacco e Vanzetti, subendo minacce e rischiando l’espulsione dagli States.
La sua vita fu un continuo viaggio Napoli-New York, dove si stabilì definitivamente nel 1937, anno in cui tornò per l’ultima volta in Italia in occasione della morte del grande compositore suo amico E. Tagliaferri, per il quale cantò per l’ultima volta in pubblico Chitarra Nera a lei dedicata e lasciata incompiuta. Ria Rosa torna così a New York, lascia le scene da quel fatidico 1937, e muore in America nel 1988…
Cara, splendida Ria Rosa, piccola-grande donna degli anni Venti che scegliesti a soli quindici anni di tuffarti nel mondo dello spettacolo, esibendoti come sciantosa nella mitica Sala Umberto di Napoli, come dire il meglio dei Café-chantant di quel tempo. Un escamotage, invero, per farti conoscere, per fare apprezzare a quegli inamidati signori e lustrate signore, il timbro forte della tua voce scura e teatrale. E che non tardasti di mandarli a quel paese per imbarcarti su una nave alla volta della Grande Mela di New York. Alé Ria L’America è tua.
Era il 1922 e tu avevi 23 anni allora e avevi maturato a tue spese cosa voleva dire far carriera in un mondo maschilista, dove ti si chiedeva sempre quella tua cosa lì, accettando o rifiutando o ammiccando a tuo piacimento, ma sempre uscendone a testa alta, come una regina. Ricominciasti a cantare canzoni tue e del repertorio napoletano. Prima accanto a Nicola Maldacea e poi in una compagnia da te formata, esibendoti in particolarissime sceneggiate come “E’ pentite”, sulle ragazze-madri napoletane. Tante altre volte ritornasti nella tua Napoli, ma non ti piaceva il clima di regime che regnava nel paese e non volevi competere con le più accomodanti Lina Cavalieri, Anna Fougez e Maria Campi. Per non parlare di Gilda Mignonette che non rifiutava, al contrario di quanto facesti tu, di affogarsi fra lo champagne offerto dalle camicie nere.
Tornavi a New York e ti esibivi, travestendoti da maschio e lobbia in testa, in canzoni come “Guappo”, “O zappatore”, “Guappa”ria e sfidavi pure le autorità americane denunciando con “Mamma sfortunata”, ma il primo titolo che gli desti era “A seggia elettrica”, l’errore giudiziario per la condanna a morte di Sacco e Vanzetti. E per questa tua canzone rischiasti pure d’essere espulsa dagli States, per non dire delle gravi minacce che subisti temendo pure per la tua incolumità personale.
Tornasti l’ultima volta in Italia quando morì il tuo fraterno amico e maestro Ernesto Tagliaferri, cantando la sua bellissima “Chitarra nera”, e non volesti più rivedere questa terra del sole e del mare, stabilendoti definitivamente a New York dove anche tu scomparisti nel 1988.
Di te si dissero tante cose e tante altre che non si sanno ancora. Che fosti una donna tutta pepe e che anticipasti il movimento femminista, inneggiando alla tua libertà di donna forte e volitiva e dell’essere pari e uguale all’uomo. Lo scrivesti chiaramente nelle tue canzoni lì dove cantavi che la donna d’oggi, è inutile negarlo, non è più la vile ancella, abolisce in pieno la gonnella, e sta gonnella ‘a metto ‘ncuollo a te… comme è bella ‘a libertà . Oppure in quell’altra canzone che faceva: Quando l’uomo passeggia lo senti desclamar – oh quant’è bbona chella, che carnalità – a noi non è permesso, ne’ scusate, ma perché?
Fosti spregiudicata e protofemminista rinfacciando all’uomo la sua imbecillità gridandogli in viso: Stupido, stupido, non sei per niente scaltro, il mio cuore lo tiene un altro e le mie foto le tieni tu . Il tuo nome non compare su Il dizionario della Canzone italiana , edita da Curcio, curata da Gino Castaldo e presentata alcuni anni fa da Renzo Arbore. Ma il tuo nome, nel centenario della tua nascita, è tenuto alto da un’attrice di Gaeta. Si chiama Fatima Scialdone ed è da anni che canta le tue canzoni, scoprendone sempre di nuove e titolando adesso il suo spettacolo col tuo nome, “Ria Rosa, diva eccentrica From Italy”, appunto. Ed è brava la Scialdone.
Non ti avrebbe fatto sfigurare. Anzi tutt’altro. Certo lei è bionda e tu eri d’un nero corvino. Ma c’è una cosa che ha in comune con te: la simpatia, il desiderio di comunicare sentimenti veri a chi vede e ascolta. Certo io non t’ho conosciuto, ma conosco bene Fatima Scialdone e t’assicuro che cercherà di rendere sempre più bello e accattivante il suo spettacolo. Lei qui, alla Sala Laudamo, l’ha suddiviso in due parti. Una prima più canterina, da sciantosa appunto, innestandovi ruffiane canzoni del tipo “Nini Tirabusciò” e qualche poesia di Di Giacomo e altre di verace stampo napoletano. E una seconda parte più drammatica, più teatrale.
Anche perché devi sapere, cara Ria, che la Scialdone è uscita fuori dall’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico e che deve far vedere che è pure una brava attrice di teatro. E invero se la cava benissimo in questa seconda parte, vestita d’un cappottino nero straniante, alla Brecht insomma, mentre sotto aveva un bellissimo abito anni ’20 che le aveva confezionato la sorella Isabella e mentre prima aveva indossato il suo abituale costume da sciantosa verde smeraldo e nero, come piuma verde sui capelli tirati, somigliante ad una figurinetta del Moulin Rouge.
Non so cara Ria se tu facevi la famosa mossa ma qui la Scialdone a gran richiesta l’ha fatta, anzi ne ha fatte tante, sempre accompagnata dal mite pianista Marco Scimone, spesso da lei redarguito, ma solo a fini teatrali, per non essersi sintonizzato sulle sue corde vocali. Cosa debbo dirti ancora cara Ria Rosa. Un buon compleanno per il tuo centenario prossimo del 2 settembre 1999 e lunga vita a questo spettacolo della Scialdone.
Ria Rosa, all’anagrafe Maria Rosaria Liberti, una delle più straordinarie interpreti della musica napoletana, morta a New York nel 1988. Ria Rosa debuttò giovanissima a soli 16 anni nella Sala Umberto di Napoli e divenne subito una delle cantanti più ricercate della scena napoletana, contesa dalle case editrici. Nel 1922 partì per una tournée in America, riscuotendo talmente tanto successo da decidere di stabilirsi a New York. Lavorò prima con al Compagnia di Nicola Maldacea e in seguito ne fondò una sua con la quale mise in scena numerose “sceneggiate” che affrontavano alcuni dei temi più scabrosi del momento.
Irruenta e passionale Ria Rosa non tardò a scandalizzare esibendosi più di una volta vestita da uomo, parlando con le sue canzoni del dramma delle ragazze madri e schierandosi a favore di Sacco e Vanzetti interpretando la canzone “A seggia elettrica”, scatenando le ire funeste delle autorità americane. Antagonista di Gilda Mignonette nel contendersi il titolo di “regina degli emigrati”, viene tutt’ora considerata la “nonna delle femministe”.
http://www.oggi7.info/2009/06/17/2207-contributi-italiani-america-la-rosa-degli-emigranti
Daniele Sepe – Lacreme ‘e cundannate
Alfredo Bascetta per Sacco e Vanzetti “Lacreme ‘e cundannate” (1927)
https://www.youtube.com/watch?v=LR-reqWD5dM
Composta il 5 maggio 1927, pochi mesi prima della definitiva condanna a morte. E’ senz’altro la più famosa canzone napoletana sulla vicenda di Sacco e Vanzetti.
“Lacreme ‘e cundannate” (Lacrime di condannati) è, forse, la canzone più completa, descrivendo minuziosamente l’episodio. È una vera e propria denuncia: accusa chi ha vigliaccamente infamato Sacco e Vanzetti, dai giurati ai magistrati che non ascoltando le ragioni di chi è innocente, non hanno fatto giustizia, ma solo vendetta. La canzone si conclude con una preghiera al governatore Fuller, poiché è l’unica persona ancora in grado di abolire la sentenza di morte per i due immigrati.
“Lacreme ‘e cundannate” è realizzata il 5 maggio 1927, quando ancora non è annunciata la definitiva condanna a morte. Fino alla fine si spera nella conoscenza della verità, nella speranza che la menzogna sia smascherata. Questo brano entra nel repertorio di Gilda Mignonette, anche se la Regina degli Emigranti, per evitare persecuzioni, evita di portare su supporto a 78 giri la canzone. Coraggiosamente, invece, “Lacreme ‘e cundannate” è incisa da Alfredo Bascetta che può essere considerato, senza dubbio, il poeta più coraggioso, l’artista che più d’ogni altro prende a cuore il caso. Bascetta, fino alla fine, ha sperato che la sentenza di morte fosse revocata”.
cfr: http://www.hitparadeitalia.it/napoli/…
Alfredo Bascetta: “…Tra gli emigranti rientrano soprattutto i cantanti come Alfredo Bascetta, uno di quegli interpreti legati a filo doppio a questo ibrido repertorio italo-americano. Originario di Avellino, dopo un breve apprendistato a Napoli al teatro Trianon in una compagnia di cui faceva parte anche Elvira Donnarumma, ottenne una scrittura in Nord America, dove si esibì con Ria Rosa e diversi complessi. Cantante, attore comico, compositore ed impresario teatrale, ad Hollywood si dedicò al cinema collaborando con molti registi. Incise dischi per la Columbia, La Voce del Padrone e la Odeon e nel 1925 a New York fondò anche una casa editrice.” da “Quando Cantava Napoli” di Simona Frasca
Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 — Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888 — Charlestown, 23 agosto 1927) furono due anarchici italiani.
Vennero arrestati, processati e giustiziati sulla sedia elettrica negli Stati Uniti negli anni venti, con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill». Sulla loro colpevolezza vi furono molti dubbi già all’epoca del loro processo; a nulla valse la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che scagionava i due.
Sacco di professione faceva l’operaio in una fabbrica di scarpe, mentre Vanzetti — che gli amici chiamavano Trumlin — gestiva una rivendita di pesci. Furono giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.
Esattamente 50 anni dopo la loro morte, il 23 agosto 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
Testo:
Sta tutt’o munno sano arrevutato,
pe’ Sacco e p’e Vanzetti cundannate.
E chì vigliaccamente la ‘nfamate,
maie n’ora ‘e pace nun addà truvà!
A tutte parte arrivano pruteste ‘nquantità
Facenno appello, cercano e farle aggrazià!
Doppo sett’anne e pene carcerate,
tra vita e morte, chisti sventurate.
Mo c”a cundanna l’hanno cunfermata:
nun c’è sta mezze pe putè salvà!
Sulo ‘o Guvernatore giustizia le po fa,
si Dio c’ho mette ‘ncore, a grazia le farrà.
So state senza core tutt’e quante,
pure e giurate, ma che ‘nfame e ggente!
Nun sentene e raggione e chì è ‘nnuccente:
chesta nun è giustizia, è ‘nfamità!
Sti sfurtunate chiagneno, so rassignate già
E dint’a celle aspettanno ca Dio l’addà salvà!