Elena

The LWord

E’ una serata lenta, se non fosse per la ragazza che mi sta vicino al bancone del bar. Ha molti anni meno di me, mi aggancia con una battuta sul tempo, ascoltiamo la musica del locale, riconosco “Unfinished sympathy”, le dico che mi piace, risponde che non è il suo genere, preferisce la Pausini, ha già i biglietti per un suo concerto, poltronissima mi specifica. Penso che non abbiamo assolutamente gli stessi gusti musicali e trovare un argomento per continuare la conversazione mi appare difficile. Ha un bel sorriso, con un diastema tra gli incisivi che lo rende accattivante, mi ricorda un’attrice di C.I.S., Sara. Glielo dico e lei si mette a ridere, la definisce vecchiotta, in effetti non ha tutti i torti, peccato che abbia la mia stessa età… Si imbarazza e mi offre da bere per scusarsi. Mi dice che non ama il genere “poliziesco”, la sua serie televisiva preferita era The L Word, non ha perso un episodio.

Avevo sentito parlare di The L Word ma non mi ero mai interessata fino a quando una mia ex-frequentazione mi ha regalato dieci cd con tutta la serie completa, quindi sono stata costretta a colmare la mia lacuna e farmi una cultura dell’accoppiata Ti-bette.
Le dico che alcune” trovate” della sceneggiatrice Chaiken mi hanno lasciato molto perplessa, a tutti gli effetti va pazza per i personaggi inutili, i vestiti pink, i finali thriller e il tralasciare, naturalmente, tutto quello che di buono poteva essere approfondito. Lei mi fa notare che è una delle poche serie televisive in cui l’ambientazione è tutta al femminile. Ha ragione ma si poteva sfruttare meglio l’occasione.
Fa caldo e decidiamo di uscire, passeggiamo per la strada deserta. Ma continuiamo a parlare e a ridere per le scene divertenti e senza senso del telefilm e di tutti gli innumerevoli tradimenti.
Mi chiede qual è la scena che preferisco. In verità non ho scene preferite, anzi ho trovato noiosa tutta la storia, mal gestita e mal girata, ma come mi capita spesso mi ritrovo a riflettere su pochi frammenti di pellicola, in questo caso per le battute iniziali di un dialogo tra le due protagoniste principali, quando Tina chiede di entrare e Bette sta cucinando, la frase originale dovrebbe essere “can I come here” – Posso entrare? Poche battute che sembrano essere solo il collegamento tra una scena e l’altra invece non si tratta solo di quello. Quando Tina chiede di entrare, chiede il permesso di entrare non in una cucina ma in una vita: “Sono venuta prima per entrare nella tua vita spero che non ti dispiaccia”, il senso è semplicemente questo. E pensandoci bene devo ammettere che a me una cosa così, espressa con tanto garbo, non l’hanno chiesta mai, ma proprio mai.
Mi ascolta con attenzione e poi tocca a lei a raccontare.
Siamo arrivate davanti alla porta di casa cerca le chiavi nella borsa.
Con aria birichina mi specifica serie (sesta) e titolo dell’episodio, “litmus test”, ed è la scena tra Dylan e Helena indimenticabile scena e mi invita ad entrare. Finire sul divano di una casa sconosciuta a far finta di essere due attrici, non era proprio nei miei programmi, però a volte un po’ di adrenalina non guasta, è una droga che mi fa dimenticare tutto l’indimenticabile.

Appunti per il futuro:
concentrarsi su film intelligenti