Monica (The Reader)

The Reader – A voce alta

Ho frequentato una donna che nel presentarsi mi disse di essere un’ affermata architetto, con avviato studio tecnico e innumerevoli collaboratori al seguito.
Una arrivata, insomma.
Ci siamo piaciute e di comune accordo, data la lontananza abbiamo deciso di trovarci in un posto a metà strada, però, lei faceva circa quindici chilometri più di me.
La prima volta mi è sembrato normale mettere mano al portafogli, anche se lei insisteva a pagare il conto. La seconda volta ho pagato io, in contanti, perché lei, da perfetta professionista affermata, voleva pagare con la carta di credito. La terza volta ho pagato perché il posto non era equidistante e i quindici chilometri le pesavano. La volta successiva lo stesso, ma secondo lei avevo pagato troppo quindi ha telefonato al gestore, e si è fatta promettere che saremmo state rimborsate della metà della cifra. Nel nostro incontro successivo al momento di uscire, con un bel sorriso mi chiede metà somma e mi dice che l’altra l’avrebbe messa lei … naturalmente la metà restante era quella che avevo pagato io la volta precedente, frutto della contestazione.
Però, però … questa donna aveva un dono…
non quello della generosità ma di altro tipo, l’ho scoperto al nostro primo incontro, quando ha sfilato dalla mia borsa un libro che avevo appena iniziato e ne ha letto a voce alta alcune pagine, appoggiata a me, ascoltavo le parole fluire, accarezzare la nostra pelle e la storia delinearsi, i personaggi, le situazioni si materializzavano lì davanti a noi. La stanza diventava palcoscenico solo per noi.
Questa donna leggeva da Dio,
intonazione pause e riprese perfette.
Una delizia, ripetuta ad ogni incontri con nuovi testi e nuove poesie.
Poi le ho raccontato che una cosa simile capita in un romanzo ma lei non l’aveva letto, leggeva solo durante i nostri incontri, non sapeva dell’esistenza di un bellissimo romanzo di Bernhard Schlink “A voce alta” da cui è stato tratto un mirabile film, The Reader, con Kate Winslet: ambientato in Germania racconta la storia di un ragazzo che vive una storia d’amore con una donna molto più grande di lui. Questa donna ama che lui le legga dei romanzi dopo il sesso. In seguito il ragazzo scopre che lei è stata una kapò, ed è corresponsabile dell’eccidio di duecento donne ebree. La donna non sa né leggere né scrivere. Ecco il motivo misterioso per cui amava che lui leggesse. Ma non lo dirà mai perché se ne vergogna. Viene condannata a molti anni di detenzione. Qui in prigione il ragazzo, diventato adulto non l’andrà mai a trovare ma le manderà delle cassette registrare con le sue letture. E da queste la donna imparerà a leggere e scrivere. Il giorno della sua liberazione si impicca.
Si conclude anche la storia tra me e Monica, non in maniera drammatica come il film, oggi mi rimane il ricordo delle sue letture.
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In una chat a “tema”, tempo fa, avevo incontrato un “signore”, gay, di una certa età, che si lamentava della solitudine e ovviava alla sua situazione mettendo annunci di ricerca. Cercava un uomo più giovane, preferibilmente trentenne, l’aspetto non contava troppo, l’importante era una base culturale che gli permettesse un dialogo.
Perché, in fondo, in una “frequentazione” si chiede anche una comunicazione, intesa come scambio di chiacchiere. Questa, che sembra una banalità, è una cosa difficile da trovare, è di inestimabile valore lo scambio verbale (non solo quello di liquidi) che fa scivolare una “scopata” in un “piacevole incontro”.
Con quella donna, e con altre donne, mi avrebbe fatto piacere parlare un po’ di The Reader o di un altro film, o divagare in altri discorsi, di qualsiasi tipo. Ma mi rendo conto di chiedere troppo.
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Tornando a “The Reader”, è una storia emblematica ma non coglie tutto di ciò che la Arendt ha chiamato la banalità del male. Di chi ha fatto parte dell’industria della morte. Una parte dei nazisti ha praticato il sadismo, molti altri hanno eseguito degli ordini che sarebbe stato, a parer loro, inconcepibile non eseguire. Capitò persino che per gli eccidi più rivoltanti gli stessi nazisti cercassero dei volontari. Che ovviamente si trovavano a piene mani. Oppure erano gli ucraini e i lituani che si prestavano ai lavori più sporchi. Gli ucraini odiavano tradizionalmente gli ebrei e non si fermavano davanti a nulla. Molti nazisti erano colti. Ascoltavano Bach e leggevano Goethe.
Qual è quindi la natura del male? e la bellezza può salvare dal male? è evidente che no, non può. La bellezza non ha niente a che vedere con la dignità della vita umana. Semmai agevola il mio allontanamento dall’altro.
Hitler piangeva ascoltando Tristano e Isotta. Piangeva. Commosso. Immagino fu straziante per lui quando dovette uccidere la sua cagna nel bunker, la fedele Blondie, prima di darsi egli stesso la morte assieme ad Eva Braun. Al contempo la sua vera pena nel morire anzitempo era non aver sterminato completamente gli ebrei. A volte non so cosa pensare. Il Male ci assedia, mai come di questi tempi. Un ebreo, Kafka, che presentì la bestia, scrisse: il tragico nella vita è che ognuno ha le sue motivazioni. È in quelle motivazioni che si annida il barlume di umanità di cui ogni uomo, anche il più criminale dovrebbe essere dotato? Quando getti in aria un bambino appena nato e gli spari, e getti la madre nel gas, per poi bruciarne i cadaveri che risposte puoi dare? Cercare barlumi di umanità nei carnefici è offendere le vittime. Ne Il silenzio degli innocenti Clarice è diventata cacciatrice del male per non sentire più il grido degli agnelli sgozzati. L’umanità dei carnefici che si è nutrita non solo di hitler ma anche di Pinochet, Mladić, Khmer rossi di Pol Pot, non rende muti gli innocenti.