L'Osservatore Anonimo

Condannati i carnefici di una prostituta


Aveva provato a ribellarsi ai suoi papponi, finendo per essere uccisa di botte. Adesso, a distanza di quattro anni, la Cassazione ha condannato a vent'anni di carcere la zia e il compagno di quest'ultima, ritenuti responsabili dell'omicidio di una prostituta di 23 anni. I fatti risalgono al 2017, quando zia e convivente costringono la ragazza, che aveva 23 anni e viveva con loro dopo essere andata via da casa, a prostituirsi. Ogni mattina l'accompagnavano nei pressi di Nettuno, vicino Roma, e la lasciavano sulla strada tutto il giorno per esercitare l’attività di meretricio. La sera andavano a riprenderla e la sottraevano i soldi guadagnati dalle prestazioni sessuali che intratteneva con i clienti. A un certo punto, però, lei si era rifiutata di fare questa vita forzata e non voluta. Forzata perfino alla zia, sorella della madre, che non aveva avuto scrupolo a trasformare la nipote in una puttana. La ribellione però le era costata cara: i due magnaccia la massacrarono di botte, davanti ai suoi due figli, fino ad ucciderla, in un’area di sosta a ridosso di un hotel. Su quanto fosse stato brutale quell'assassinio lo testimoniò il medico legale che parlò di violenza bestiale”. Il pm che aveva condotto le indagini aveva scritto che la giovane prostituta era diventata la fonte di guadagno dei suoi aguzzini, tanto da farli vivere economicamente nel benessere. Un benessere però guadagnato illegalmente con lo sfruttamento di una giovane che era anche madre di due bambini, il primo dei quali avuto a 16 anni con un uomo finito poi in galera. È l'ennesima storia di violenza contro le prostitute che testimonia ancora una volta come sarebbe necessario riaprire le case di tolleranza, perché tanto la prostituzione ci sarà sempre, ma almeno in questo modo si garantirebbero non solo più introiti nelle casse dello Stato, ma verrebbe garantita anche la sicurezza delle meretrici, levandole dalle mani di chi, per denaro, farebbe prostituire pure la propria anima.