LA CONDOTTA DEL PEDONE DIMINUISCE LA RESPONSABILITÀ DELL’AUTOMOBILISTA SOLO SE ASSOLUTAMENTE ECCEZIONALE

incidente stradale

LA CONDOTTA DEL PEDONE DIMINUISCE LA RESPONSABILITÀ DELL’AUTOMOBILISTA SOLO SE ASSOLUTAMENTE ECCEZIONALE

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 45795 dello scorso 5 ottobre 2017 è tornata ad occuparsi del “ruolo” del pedone in un incidente stradale in cui si trovi coinvolto.

Il ricorso era stato proposto da un imputato condannato sia in primo grado che in appello per aver cagionato, a seguito di impatto, mentre percorreva un tratto di strada ad una velocità superiore a quella consentita, la morte del pedone in fase di attraversamento.

I motivi di impugnazione erano diversi ma, per quanto qui interessa, ci si sofferma sugli ultimi due concernenti la valutazione della percepibilità dell’auto da parte del pedone e della prevedibilità della presenza del pedone da parte del conducente.

Ebbene, gli Ermellini, richiamando un costante orientamento giurisprudenziale in merito, hanno ribadito che in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell’evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente.

Unica eccezione, potrebbe essere l’ipotesi in cui la condotta del pedone sia da sola sufficiente a determinare l’evento, come nel caso in cui, essa risulti del tutto eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (cfr. Sez. 4 n. 23309 del 29/04/2011, Rv. 250695).

In linea con tale orientamento, la Cassazione ha altresì affermato che il principio di affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purchè questo rientri nel limite della prevedibilità.

Peraltro, esiste, con riferimento all’ambito della circolazione stradale, una tendenza ad escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza.

In tal senso vanno lette, ad esempio, le pronunce in cui si è affermato che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza (vds art. 141 cds), proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente.

Coerentemente con tale assunto, è stata perciò, ad esempio, confermata l’affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l’auto in prossimità dell’incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l’autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all’obbligo di concedere la precedenza (cfr. Sez. 4, n. 4257 del 28/3/1996, Lado, Rv. 204451).

E, ancora, sulle medesime basi si è affermato, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l’automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell’attraversamento in quanto il conducente favorito dal diritto di precedenza deve comunque non abusarne, non trattandosi di un diritto assoluto e tale da consentire una condotta di guida negligente e pericolosa per gli altri utenti della strada, anche se eventualmente in colpa (Sez. 4, n. 12879 del 18/10/2000, Cerato, Rv. 218473); e che l’obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Sez. 4, n. 8359 del 19/6/1987, Chini, Rv. 176415).

Nel caso in esame, dunque, la Suprema Corte, ha confermato la conclusione dei giudici di merito (in base alla quale doveva ritenersi del tutto ragionevole, nel caso di specie, la prevedibilità dell’attraversamento del pedone), da ritenersi allineata ai principi sopra richiamati, poichè pienamente supportata dai dati fattuali esposti nella sentenza ed oggettivamente riscontrabili, in base ai quali le caratteristiche del caso concreto (tratto di strada curvilineo, percorso sulla corsia con raggio più ristretto e in orario notturno), imponevano all’agente di contenere la velocità anche al di sotto del limite previsto, peraltro ampiamente superato, per come dimostrato dalle risultanze istruttorie.

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