Assegno circolare Doppio termine per l’incasso e per il rimborso

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Assegno circolare  Doppio termine per l’incasso e per il rimborso

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avvocato gelsomina cimino

Con la Sentenza n. 5889/2018 la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione relativa alla prescrizione del diritto ad ottenere la restituzione delle somme oggetto di un assegno circolare mai riscosso.

Nel caso di specie la ricorrente aveva, invero, richiesto l’emissione, da parte di un istituto di credito bancario, di un assegno circolare a favore della figlia, la quale, tuttavia non provvedeva all’incasso ed anzi ne denunciava lo smarrimento.

Per comprendere appieno la questione, fondamentali sono le tempistiche delle circostanze fattuali portate all’attenzione della magistratura.

Occorre infatti tenere ben presente che l’emissione dell’assegno risale al marzo 2001 mentre, la denuncia di smarrimento è avvenuta nel luglio 2011.

A complicare il quadro probatorio, interveniva nel 2009, il trasferimento, da parte della banca emittente, della metà della somma al fondo depositi “dormienti”, istituito con la l. 266/2005, e relativo fra l’altro (si tratta in verità del Fondo per indennizzare le vittime di frodi finanziarie), agli assegni circolari non riscossi nel termine di prescrizione imposto dalla normativa vigente.

Orbene, la ricorrente, dopo aver tentato invano di riscuotere l’assegno consegnato alla figlia e non riscosso, a fronte del suddetto trasferimento, ricorreva al Tribunale di Torino onde ottenere la restituzione della somma incorporata nell’assegno.

Il ricorso veniva rigettato per carenza di legittimazione ad agire della ricorrente, in quanto il Tribunale ha ritenuto che la sola legittimata ad agire fosse la figlia, beneficiaria dell’assegno.

La mamma ricorreva quindi alla Corte d’Appello di Torino, la quale pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, riconoscendo la legittimazione ad agire della ricorrente, respingeva il ricorso atteso il decorso del termine prescrizionale per riscuotere l’assegno.

Seguitava il ricorso per la cassazione della sentenza de qua, il quale è stato ritenuto fondato da parte della Suprema Corte, che ha, in primo luogo chiarito il quadro normativo di riferimento, richiamando l’art. 2935 c.c., il quale prevede, in generale l’estinzione dei diritti in 10 anni, a decorrere dal giorno in cui il diritto stesso può essere fatto valere, salvo che la legge disponga diversamente.

Per quanto riguarda gli assegni l’art. 84 del R.D. 1736/1933 prevede, con riferimento agli assegni circolari, i quali vanno tenuti nettamente distinti dagli assegni bancari, il termine breve di tre anni per la prescrizione del diritto di azione dei confronti dell’emittente bancario.

In tale quadro normativo si inserisce altresì l’art. 345 ter della L. n. 266/2005, il quale prevede che gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione del relativo diritto, sono versati al Fondo depositi “dormienti” entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello in cui scade il termine di prescrizione, rimanendo, tuttavia impregiudicato il diritto del richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso alla restituzione del relativo importo.

Ne deriva quindi che una volta che sia decorso il termine triennale, il beneficiario dell’assegno circolare non può più ottenerne il pagamento, con la conseguenza che colui che ha richiesto tale titolo di credito può ripetere la provvista dal cd. Fondo depositi dormienti, e la relativa azione si prescrive nel termine ordinario decennale, applicando le regole proprie del “mandato” che caratterizza il rapporto fra cliente e Istituto emittente.

Applicando tali principi appare evidente come la ricorrente avesse piena legittimazione ad agire per la restituzione della somma essendo spirato (nel marzo 2004) il termine per la beneficiaria ad incassare l’assegno e non essendo ancora spirato il termine di prescrizione della ricorrente ad ottenere la restituzione della provvista al momento dell’introduzione della causa.

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I #TASSI DI INTERESSE #BANCARI DEVONO ESSERE SPECIFICAMENTE APPROVATI DAL #CORRENTISTA

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Il Tribunale di Ferrara con la sentenza n. 602/2017 interviene sull’annoso dibattito concernente i tassi di interesse di un contratto di conto corrente.

La sentenza de qua decide sulla controversia derivante da opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla Banca ai danni di una società a responsabilità limitata.  Con ricorso ex art. 645 c.p.c.  il ricorrente ha dedotto la nullità della clausola di rinvio agli “usi su piazza” nonché la conseguente applicazione illegittima degli interessi ultralegali in assenza di valida pattuizione e la violazione delle norme in tema di anatocismo e usura.

L’opposta eccepiva riguardo la clausola di rinvio agli usi su piazza che, se è vero che tale clausola è da ritenersi nulla in seguito all’introduzione delle norme sulla trasparenza bancaria, devono ritenersi applicabili gli interessi legali ai sensi dell’art. 1284 c.c fino alla data in cui le parti avrebbero fissato il tasso.

L’opposta peraltro sosteneva che avendo, la società ricorrente, richiesto nel marzo 2001 la diminuzione dei tassi applicati, non può escludersi che essa fosse a conoscenza della loro misura.

Il Tribunale, per quanto è qui di interesse ha chiarito che la clausola di rinvio agli usi di piazza, – contemplata nella maggior parte dei contratti di conto corrente sottoscritti prima del 1993 perchè inserita nei modelli contrattuali ( formulari prestampati ) utilizzati dalla maggior parte degli Istituti di credito italiana – a seguito della Legge sulla trasparenza bancaria (Legge n. 152/1992), è da ritenersi nulla, e che tale nullità è da estendersi altresì ai contratti stipulati anteriormente alla novella normativa poichè il rinvio agli usi di piazza è da ritenersi eccessivamente generico e non fornisce criteri che consentano una oggettiva determinabilità del tasso di interesse convenzionale.

Ed invero, prosegue il Tribunale, la regola della pattuizione per iscritto dei tassi e delle condizioni se può ritenersi osservata anche quando la manifestazione di consenso delle due parti non sia contenuta nello stesso documento contrattuale, richiede, comunque la prova dell’accordo scritto tra le parti, prova del tutto assente nel caso in esame. Deve quindi ritenersi opportunamente applicato il ricalcolo applicato dal CTU, il quale ha adottato la capitalizzazione trimestrale, quale tasso pattuito solo a partire dal 30.10.2008, mentre per il periodo anteriore è stato correttamente applicato il tasso sostitutivo previsto dall’art. 117 TUB con capitalizzazione semplice, in luogo del tasso contemplato dal codice civile, come avrebbe voluto l’opponente, atteso che, versandosi in ipotesi di nullità assoluta della clausola contrattuale, la norma introdotta dalla legislazione speciale, anche se successiva alla stipula del contratto, deve ritenersi prevalente.

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