“L’ITALIA PAESE DI SANTI, POETI E AVVOCATI”: IL PAPA PREFERISCE CONFONDERE I RUOLI

“L’ITALIA PAESE DI SANTI, POETI E AVVOCATI”: IL PAPA PREFERISCE CONFONDERE  I RUOLI

L’intervento del Sommo Pontefice al corso “Matrimonio e Famiglia” tenutosi in San Giovanni in Laterano e conclusosi solo alcuni giorni fa con parole pesanti verso gli Avvocati apostrofati come “approfittatori e speculatori” della lite coniugale, non può che suscitare qualche riflessione.

Com’è noto, Papa Bergoglio con le due Lettere “Mitis Iudex Dominus Iesus” e “Mitis et misericors Iesus” ha riformato i processi di nullità del matrimonio canonico sia per il rito latino che per quello orientale: sono state quindi introdotte procedure più snelle e, soprattutto, è stata contemplata la gratuità della procedura, salvo una “giusta e dignitosa” retribuzione degli operai del Tribunale.

D’altro canto, sul piano deontologico, l’art. 49, § 2, delle Normare Romanae Rotae Tribunalis prescrive infatti che “procuratorum advocatorumque emolumenta non alia admittantur, quam quae sunt probata”. In sostanza, è vietato al patrono di percepire, o anche solo pattuire, compensi esagerati per la propria opera professionale.

Ma nel corso dell’intervento alla Basilica di San Giovanni, il Papa si è spinto oltre, invitando gli Avvocati all’ascolto dei coniugi e soprattutto, ad ammonire i coniugi in crisi dall’affidarsi ad Avvocati che “in queste situazioni di crisi pensano solo al guadagno che possono trarre” e quindi il monito “Bisogna difendere le coppie dalle mani di alcuni avvocati!

Il diritto di famiglia costituisce senz’altro un settore particolare, che porta l’avvocato ad occuparsi di situazioni delicate nelle quali vengono coinvolti, in misura maggiore rispetto ad altre fattispecie, gli equilibri e le situazioni personali dei soggetti interessati, costretti a vivere situazioni di profonda sofferenza e disagio. In molti casi, peraltro, le vicende vedono il coinvolgimento dei minori, la cui tutela e il cui interesse assumono importanza prioritaria ed esigono l’adozione di particolari cautele.

Si ritiene pertanto che, soprattutto nel diritto di famiglia, l’avvocato non debba limitarsi al rispetto delle regole procedurali a difesa del proprio assistito, ma debba “valutare le conseguenze” del proprio operato, nel senso che occorre “chiedersi cosa accada se agiamo in un determinato modo ovvero se non compiamo determinate azioni e nei confronti di chi si producano tali conseguenze (A. MARIANI MARINI Deontologia e responsabilità sociale: l’avvocato del minore).

D’altro canto, il nuovo Codice deontologico forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31.01.2014, contiene alcune disposizioni che riguardano in maniera specifica il comportamento dell’avvocato in materia familiare e minorile, prevedendo ad esempio (art. 68, co. 4) il divieto assoluto, senza limiti temporali, per l’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi, di assistere un coniuge o un convivente della coppia in controversie successive tra i medesimi.

Se questa è la normativasia nell’ambito del diritto canonico che in quello statutariocui l’Avvocato DEVE attenersi (prevedendo anche la sanzione della sospensione dall’esercizio professionale), davvero non si comprende come il Papa abbia potuto invocare la difesa delle coppie da “alcuni avvocati”, appellandosi ora agli obblighi di tipo etico-sociale, ora alla gratuità dell’impegno professionale, forse dimenticando che attraverso l’istituto del gratuito patrocinio, la difesa tecnica viene assicurata anche ai soggetti economicamente disagiati.

Né d’altronde, in nome dell’obbligo di lealtà e correttezza verso il cliente, si può dare ingresso a forme di coercizione della volontà, dissuadendo dalla separazione coppie in crisi che troppo spesso assurgono alle prime pagine della cronaca nera intrafamiliare.

E allora, come membro e parte attiva dell’Ordine degli Avvocati di Roma, dico SI all’apertura verso la famiglia come centro di affetti; SI al rispetto della responsabilità genitoriale ma favorire una serena separazione è sicuramente obbligo dell’avvocato che abbia percepito, nel dispiegarsi della crisi coniugale, il pericolo di un acuirsi delle tensioni.

Difendere il significato di Famiglia ad ogni costo; dissuadere separazioni che possono assurgere a tragedie, non solo non è compito dell’Avvocato (e forse più opportunamente del Ministro del culto che dovrebbe conoscere, attraverso la confessione, l’animo profondo dei fedeli) ma è contrario al principio di lealtà e verità, il tentativo di sopraffazione della volontà altrui e, anzi, l’Avvocato, attraverso gli strumenti raccolti dall’esperienza, ben può e deve favorire un pacifico sgretolarsi del nucleo familiare, sempre tutelando gli interessi degli eventuali soggetti minorenni coinvolti, laddove intravveda il rischio di condotte violente e di maltrattamenti ai danni delle persone più deboli.

La società di oggi è purtroppo caratterizzata sempre più pesantemente dallo sgretolarsi del valore FAMIGLIA: i casi di femminicidio, di pedofilia (e la Chiesa ne conosce non pochi…!!), di stalking sono sempre più numerosi e allora, preoccuparsi di quanto costi una consulenza, piuttosto che affidarsi alla preghiera in Dio, sembra invece tradire il monito di Sant’Agostino ne “Il discorso del Signore sulla Montagna”: Non perché voglio un regalo, ma perché ritengo necessario il merito.

Il cliente non chiede l’offerta dell’Avvocato ma il suo merito.

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Papa e Avvocati

 

CONCORSO DI COLPA PER NON AVER TENUTO PER MANO IL FIGLIO CHE VIENE TRAVOLTO DA UNA VETTURA

CONCORSO DI COLPA PER NON AVER TENUTO PER MANO IL FIGLIO CHE VIENE TRAVOLTO DA UNA VETTURA

Con la sentenza n. 29505/2018, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione, è intervenuta sulla decisione della Corte d’Appello di Messina, la quale nel confermare la sentenza dell’omonimo Tribunale, condannava la stessa ricorrente a otto mesi di reclusione, perché in cooperazione colposa con un automobilista aveva contribuito a cagionare la morte del figlio.

Il caso in esame prende le mosse dalla vicenda occorsa ai danni di un minore di tre anni, il quale, veniva urtato da un’autovettura durante un attraversamento pedonale. In conseguenza dell’urto, il minore riportava lesioni molto gravi al cranio, dalla quali sarebbe, poi, derivata la morte.

Secondo i giudici di primo e secondo grado, la madre del minore è da ritenersi responsabile dei reati di cui agli art. 113 e 589 c. 1e 2 c.p., in quanto – avendo omesso di esercitare la necessaria vigilanza sul figlio, all’atto dell’attraversamento della strada ed in particolare avendo omesso di porre in essere le dovute cautele, come quella di accertarsi previamente che non provenissero veicoli e, soprattutto, quella di tenere per mano il figlio – non impediva il verificarsi dell’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, ricoprendo la massima posizione di garanzia sulla vittima.

L’imputata ricorreva per la cassazione della sentenza de qua lamentando in primo luogo, violazione di legge e vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza del nesso causale; in secondo luogo rilevava l’intervenuta prescrizione del reato avvenuto in data 1 novembre 2009 e deciso in primo grado solo in data 16 gennaio 2015.

Secondo la Corte di Cassazione il ricorso oggetto di esame, è da ritenersi inammissibile in quanto fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado.

A parere della Suprema Corte, l’inammissibilità deriverebbe sia dalla genericità delle doglianze che, solo apparentemente denunciano un errore giuridico, sia dall’insindacabilità delle valutazioni di merito.

Secondo i Giudici della Suprema Corte, infatti, nel caso in esame non può revocarsi in dubbio la ricostruzione operata dalle sentenze di merito, non essendo ammissibile considerare l’incidente occorso al minore durante l’attraversamento stradale causa interruttiva del nesso causale, ma dovendosi, al contrario, considerare l’evento come realizzato in cooperazione colposa con il conducente del veicolo e la madre.

Quanto poi alla rilevata prescrizione del reato, la Corte ha ribadito il principio, già espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12602/2015, secondo il quale è preclusa la possibilità di rilevare l’estinzione dei reati per prescrizioni nei ricorsi ritenuti inammissibili.

Trattasi, come e’ agevole riscontrare, di uno di quei casi in cui, oltre al danno, la beffa: la perdita di un figlio e’ un evento atroce, qualunque ne sia la causa e, per un genitore – come non ricordare i molteplici casi di “dimenticanza” del minore all’interno della vettura rimasta incustodita in un parcheggio sotto il sole – assumere la consapevolezza di aver concorso a quel tragico evento, e’ la pena peggiore che possa infliggersi.

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NOTAIO – SEPARAZIONE DEI CONIUGI: NIENTE TASSE SUL TRASFERIMENTO IMMOBILIARE CONTIGUO

SEPARAZIONE DEI CONIUGI: NIENTE TASSE SUL TRASFERIMENTO IMMOBILIARE CONTIGUO

La sentenza n. 2179/2017 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale per il Lazio,  accoglie l’appello proposto da un Notaio cui era stato contestata, da parte dell’Agenzia dell’Entrate, l’erronea applicazione dell’imposta di registro su un contratto di compravendita immobiliare stipulato da un padre in adempimento degli accordi di separazione, a seguito dei quali egli si era obbligato all’acquisto di un immobile da un soggetto estraneo alla coppia, a favore della moglie e dei figli minorenni, con la formula del contratto a favore di terzo ex art 1411 cc.;il contratto di compravendita prevedeva, infatti, che la moglie divenisse usufruttuaria dell’immobile e che i figli minori se ne riservassero conseguentemente la nuda proprietà.
Nel caso in esame, il notaio aveva registrato il contratto in esenzione da imposte, in applicazione dell’articolo 19, legge 6 marzo 1987, n. 74, secondo cui tutti «gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa».
In primo grado la Commissione Tributaria provinciale di Roma aveva ritenuto erronea l’applicazione dell’esenzione de qua, sia perché il trasferimento dell’immobile era stato posto in essere da un soggetto diverso dal coniuge, sia poiché dall’accordo di separazione omologato non era possibile evincere la natura funzionale di tale atto ai fini della risoluzione della crisi coniugale.
Non è dello stesso avviso la Commissione Tributaria Regionale, la quale in sede d’appello, ribalta totalmente la decisione dei giudici di merito, chiarendo che, come sancito dalla Corte di Cassazione sent. 2111/2016, debba riconoscersi ai sensi dell’art. 19 della legge n. 74/1987, il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari e immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale. In quest’ottica a nulla rileva che, nel caso in esame, i venditori fossero persone estranee al nucleo familiare, perché le altre parti del contratto erano i coniugi e i loro figli e perché l’operazione immobiliare era espressamente prevista tra le condizioni della separazione consensuale omologata.
Secondo tale lettura, avallata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 154/1999, la norma di cui all’articolo 19, legge 74/1987 – che, peraltro, fa riferimento genericamente a trasferimenti mobiliari e immobiliari senza specificare che tali trasferimenti debbano riguardare beni già di proprietà di uno o di entrambi i coniugi – deve essere intesa in senso ampio, vale a dire che il trattamento agevolato, nell’intento del legislatore, deve ritenersi ammissibile nella misura in cui l’atto da compiersi sia funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale. Ciò che rileva per applicare il trattamento fiscale di favore, infatti, è che venga data esecuzione agli accordi assunti nel verbale di separazione consensuale omologato.
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GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
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Il “25 novembre” del 1981 un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latino americano e dei Caraibi tenutosi a Bogotà, sceglieva questa data in ricordo del brutale assassinio avvenuto nel lontano 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.
Questa data è stata poi ufficializzata nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e divenuta da quel momento in poi una ricorrenza volta a sensibilizzare i Governi di tutto il mondo, le Organizzazioni Internazionali e l’opinione pubblica sulla complicata e tragica questione relativa alla violenza perpetrata in danno delle donne.

La violenza contro le donne consiste in tutti quei comportamenti o abusi di potere che producono danni e sofferenza fisica, sessuale o psicologica.

In numerosissimi casi si spinge fino all’omicidio che per la prima volta è stato definito in Italia «femminicidio» da una nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 2009 (Cass. Penale, Sez. III, n. 26345/2009).
Nel mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1 donna su 3 ha subìto nel corso della propria vita una forma di violenza da parte di un uomo. Un femminicidio su 4 è compiuto dal partner. E i dati non sono più confortanti se si pensa al nostro Paese, dove quasi 7 milioni di donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale e nel 62,7% dei casi lo stupro è stato commesso dal partner o dall’ex di turno. Ciò che più colpisce è che in questo scenario solo il 7% dei casi viene denunciato.
Molto spesso, dietro ciascuno di questi reati c’è il medesimo percorso: una serie di minacce e provocazioni che culminano poi nell’aggressione sia fisica che psicologica. In poche parole quello della violenza è un ciclo che si presenta quasi sempre nella stessa sequenza di avvenimenti. Si comincia dalla denigrazione, poi arrivano le prime violenze.
Aggressioni calate in un contesto di sudditanza psicologica. Cominciano piano, durano a lungo e diventano sempre più pericolose, senza contare il fatto che spesso detta violenza si riverbera nell’ambito domestico, dove viene subita dagli uomini di casa, a volte anche padri o fratelli, divenendo sempre più spesso la prima causa di morte nel mondo per le donne tra i 14 e i 67 anni, più degli incidenti stradali, più delle malattie.
Nonostante anni di impegno e di crescente attenzione, il fenomeno, purtroppo, non appare affatto in diminuzione ed è per questo che si rivela fondamentale acquisire conoscenze e competenze per riconoscere il paradigma della differenza di genere e la violenza contro le donne come un fenomeno socio-culturale ed una violazione dei diritti umani.
Magari non sarà un appello, una nuova Carta dei Diritti, un documentario, uno spettacolo, o l’ennesima inchiesta o un libro a fermare la strage delle donne e nemmeno le migliori leggi – pur necessarie -basteranno. Eppure parlarne, scriverne, raccontare le storie di chi ha subito è un passo importante, quasi doveroso, per capire che occorre superare quel senso di turbato distacco che ci provocano i fatti di cronaca ed aiutare le vittime a scuotersi e a salvarsi in tempo.
Ci piace pensare, inoltre, che per fortuna sono tanti i mariti, i padri e i fidanzati dalla parte delle donne. L’universo femminile non è l’unico protagonista del problema, a volte ci concentriamo troppo sulle vittime per finire di dimenticare che dall’altra parte molti uomini e non tutti, per fortuna, sono aguzzini. Ecco perché in uno scenario come quello sopra descritto, bisogna pensare che uno dei passi più importanti da compiere è coinvolgere sempre di più mariti, colleghi e fratelli che invece sono al nostro fianco e risvegliare il loro orgoglio.
Non possono essere le donne, da sole, a guarire una piaga che non hanno creato, già, perché gli abusi non sono soltanto un problema di Hollywood – come i telegiornali e i talk-show ci hanno costretto ad assistere negli ultimi tempi, e che, trattandosi del solito caso del momento, è destinato a scomparire non appena ci sarà il prossimo scandalo – ma avvengono, oltreché in camera da letto, anche in strada e in ufficio e non si riducono ad uno schiaffo, ma nascono come un insulto o una limitazione alla libertà.
Quello che ci si può augurare in questo giorno è che da un’epoca di cambiamenti, troppo lenti e spesso contradditori per le donne, si approdi ad un vero cambiamento d’epoca.
Molte donne commettono l’errore di cercare un uomo con cui sviluppare una relazione senza prima avere sviluppato una relazione con se stesse; corrono da un uomo all’altro, alla ricerca di ciò che manca dentro di loro…
La ricerca deve cominciare a casa, all’interno di sè…
Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perchè quando nel nostro vuoto andiamo cercando l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto.
(Robin Norwood, Donne che amano troppo)
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SCUOLA: VIA LIBERA AI MINORI DI ANNI 14

SCUOLA: VIA LIBERA AI MINORI DI ANNI 14

 

USCITA DA SCUOLA

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È la soluzione offerta in sede Parlamentare di fronte alle polemiche insorte all’indomani di una sentenza della Cassazione che aveva applicato in modo “rigido” la normativa vigente, ritenendo responsabile l’Istituto Scolastico, dell’incidente occorso ad un minore di anni 11 che aveva lasciato la scuola da solo ed era stato investito, perdendo la vita, da un autobus di linea.

Obbligo di vigilanza dunque che nel caso di minori di anni 14, secondo l’attuale assetto normativo, incombe sull’Istituto scolastico, obbligato ad affidare l’alunno solo al genitore o a persona a ciò autorizzata dagli esercenti la responsabilità genitoriale e che, grazie all’emendamento approvato al Senato – ma non ancora legge – risulterà affievolito, potendo i genitori, in questo modo, esonerare espressamente la scuola da ogni responsabilità derivante dall’uscita dell’alunno minorenne che, da solo, potrà usufruire dei mezzi pubblici di trasporto.

Libertà e autodeterminazione nell’ottica di un processo di responsabilizzazione del minore cui, si confida, corrisponderà una altrettanto accurata responsabilizzazione del genitore che, se non particolarmente accorto, potrebbe “legittimare” l’allontanamento del proprio figlio con chiunque – anche malintenzionato – non espressamente autorizzato e comunque non noto alla famiglia, sebbene, eventualmente, conosciuto dal solo ragazzo.

Il suggerimento dunque è quello di approntare comunicazioni di esonero ben delimitate, indicando esattamente le persone e le modalità, oltre i tempi, in cui l’alunno potrà allontanarsi dalla scuola.

 

Il testo dell’emendamento che è stato approvato in Senato in relazione alla legge di bilancio con il quale si permette ai genitori di autorizzare le scuole all’uscita autonoma dei minori di 14 anni:

(Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici)

  1. I genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori e i soggetti affidatari ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l’uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni. L’autorizzazione esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza.
  2. L’autorizzazione ad usufruire in modo autonomo del servizio di trasporto scolastico, rilasciata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale e dai tutori dei minori di 14 anni agli enti locali gestori del servizio esonera dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza nella salita e discesa dal mezzo e nel tempo di sosta alla fermata utilizzata, anche al ritorno dalle attività scolastiche.»

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FONDO PATRIMONIALE: OPPONIBILITA’ AI CREDITORI

FONDO PATRIMONIALE:  OPPONIBILITA’ AI CREDITORI

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23955/17 è intervenuta nel giudizio di opposizione all’esecuzione avanzato da due coniugi, i quali affermavano, a sostegno delle proprie deduzioni, l’esistenza, su alcuni dei beni immobili pignorati dal creditore procedente, della costituzione di un fondo patrimoniale.

L’opposizione era stata rigettata sia in primo che in secondo grado, in quanto, secondo i giudici di merito non era stata raggiunta la prova circa l’opponibilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale che, infatti, avrebbe potuto dirsi opponibile al creditore solo laddove i coniugi avessero prodotto l’atto di matrimonio con accanto l’annotazione circa la costituzione del fondo.

Invero, in tali casi, l’opponibilità o meno della costituzione del fondo al creditore procedente dipende dall’anteriorità di tale annotazione rispetto alla data di trascrizione del pignoramento.

Nel caso in esame, tuttavia, l’atto di matrimonio non è stato prodotto né in primo grado né in sede di gravame e pertanto i giudici della Suprema Corte hanno dovuto ritenere che i giudici di merito abbiano correttamente rigettato l’opposizione perché destituita di prova.

Dall’applicazione di tale principio ne deriva necessariamente che, benché l’esibizione in giudizio dell’atto di matrimonio recante l’annotazione non sia condizione sostanziale di opponibilità dell’atto ai terzi ex art. 162 c.c, essa, tuttavia, costituisce necessario adempimento dell’onere della prova in giudizio.

Ma vi è più da considerare che gli opponenti avevano ritirato il proprio fascicolo di parte all’udienza di precisazione delle conclusioni senza ridepositarlo; sul punto la Corte ribadisce che, in virtù del principio dispositivo delle prove, il giudice è tenuto a decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione.

Dacchè il mancato reperimento nel fascicolo di alcuni documenti deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi che sollevino l’involontarietà della mancanza, di un atto volontario della parte stessa che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti, cosicchè, il Giudice si pronunci solo sulla base dei documenti posti alla sua cognizione all’atto della decisione.

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