GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA

GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA

“Se la Pubblica Amministrazione non adempie all’ordine del Giudice, provvede il Prefetto. Lo stabilisce il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con Sentenza su ricorso proposto dall’Avvocato Gelsomina Cimino del Foro di Roma”.

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 11551 del proposto da:

rappresentata e difesa dall’avv. Gelsomina Cimino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittorio Veneto 116;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di non costituito in giudizio;

per ottemperanza dell’ordinanza di assegnazione del Tribunale Civile di Roma del sezione civile iv bis nel procedimento esecutivo RGE 39719/

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La ricorrente è la moglie separata di xxxxx sottufficiale della Marina Militare. Nel decreto di omologa della separazione consensuale il Tribunale di Tivoli disponeva che il militare versasse mensilmente a favore del coniuge un assegno di € 350.

Avendo il xxxxx cessato dal maggio 2012 di adempiere al suo obbligo, la ricorrente procedeva ad effettuare un pignoramento presso terzi per ottenere il pagamento del suo assegno di mantenimento direttamente dall’ente pagatore del marito.

Dopo alcuni rinvìi per mancata presentazione del terzo debitore che doveva rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., il giudice dell’esecuzione assegnava le somme maturate per un importo pari a € 6.168./00

La ricorrente con il presente ricorso chiede che il giudice dia un termine perentorio per procedere al pagamento di quanto maturato ed in caso di ulteriore inottemperanza nomini un commissario ad acta.

Il Ministero della Difesa si costituiva in giudizio facendo presente che era stato comunicato con posta elettronica certificata al difensore della ricorrente in data xxx che il xxxxx era stato posto in congedo e che quanto alla gestione amministrativa passava all’IN PS a decorrere dalla camera di consiglio del xxx il ricorso passava in decisione.

Il ricorso può essere accolto solo parzialmente.

Come argomentato correttamente dalla difesa erariale, il Ministero della Difesa può essere considerato onerato come terzo pignorato solo a partire dalla notifica del pignoramento e fino alla cessazione del rapporto di impiego con il xxxxx

Si tratta di complessivi nove mesi nel corso dei quali è maturato un debito di € 3.150 che l’Amministrazione dovrà versare senza ulteriore indugio alla ricorrente.

Pertanto va ordinato al Ministero della Difesa di ottemperare all’ordinanza di assegnazione del Tribunale Civile di Roma provvedendo al pagamento di quanto ivi previsto, entro centoventi giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente decisione.

Nell’ipotesi di ulteriore inadempimento, provvederà — su richiesta di parte — nei sessanta giorni successivi, in veste di Commissario ad acta, il Prefetto di Roma o un funzionario da lui delegato, anche con le modalità di cui all’art. 14, comma 2, del decreto-legge n. 669 del 1996 (conv. dalla legge n. 30/1997), con spese a carico dell’Amministrazione inadempiente, che vengono quantificate sin da ora in €. 300 oltre le spese documentate.

In tal caso il Ministero sarà condannato, ai sensi dell’art. 114, comma 4 lett. E), c.p.a. al pagamento di ulteriori interessi legali, decorrenti dalla scadenza del termine assegnato alla P.A. per provvedere.

Le spese di lite vanno poste a carico dell’Amministrazione, e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in accoglimento dello stesso, ordina al Ministero della Difesa di dare esecuzione all’ordinanza di assegnazione del Tribunale Civile di Roma del xxxx   nel procedimento 39719/ secondo le modalità e nei termini indicati in motivazione.

Nomina, per il caso di ulteriore inottemperanza, quale Commissario ad acta il Prefetto di Roma (con facoltà di delega ad un funzionario), il quale provvederà, nei termini di cui in motivazione, al compimento degli atti necessari all’esecuzione del giudicato.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 1.000,00 (mille/00), oltre agli accessori di legge, con restituzione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno xxxx con l’intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Ugo De Carlo, Consigliere,

Estensore Paola Patatini, Referendario

L’ESTENSORE Ugo De Carlo

IL PRESIDENTE Concetta Anastasi

IL SEGRETARIO

USURA: LE SEZIONI UNITE BOCCIANO L’USURA SOPRAVVENUTA

USURA

LE SEZIONI UNITE BOCCIANO L’USURA SOPRAVVENUTA

Con la recente pronuncia n. 24675 a Sezioni Unite depositata lo scorso 19 ottobre la  Suprema Corte ha posto fine all’ annoso dibattito sviluppatosi  a seguito della entrata in vigore della L. 108/1996 sui tassi usurai.

http://studiolegalecimino.eu/usura-le-sezioni-unite-bocciano/

Invero la legge 7 marzo 1996, n. 108 è intervenuta, sul piano civilistico, a modificare l’art. 1815, comma 2, c.c. il quale prevede, nella sua attuale versione che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”; il che determina una nullità parziale della clausola relativa agli interessi, mantenendo valido ed efficace il contratto.

La disposizione testè citata,  sia in dottrina che in giurisprudenza, ha sollevato molteplici dubbi interpretativi relativi, in primis, al diritto transitorio concernente la disciplina applicabile ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della Legge ed ancora in corso a tale data, ed in secondo luogo, si poneva un problema interpretativo circa i contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa antiusura, il cui tasso di interesse, seppure originariamente lecito, divenisse, in seguito ad una successiva diminuzione del tasso-soglia, eccedente tale misura.

Il problema concerneva, in sostanza, fissare il momento in cui, a fronte di oscillazioni dei tassi, usurarietà potesse dirsi conclamata. Se all’atto della convenzione o all’atto del pagamento ad opera del debitore.

Secondo un primo orientamento, doveva ritenersi decisivo il momento genetico della stipulazione del contratto, essendo irrilevante il tempo successivo dell’effettiva corresponsione degli interessi. Secondo il divergente orientamento, invece, la valutazione in ordine alall’ usurarietà degli interessi doveva essere posta in essere al momento del   pagamento, ossia, nel momento funzionale ed esecutivo del contratto.

Tale ultima impostazione è quella che ha introdotto nel nostro sistema, la c.d. usurarietà sopravvenuta.

A fronte delle incertezze interpretative e dei conseguenti risvolti sul piano applicativo, è stato successivamente emanato il D. L. 29 dicembre 2000, n. 394, poi convertito, con modifiche, nella L. 28 febbraio 2001, n. 24, che introduce all’art. 1 la norma secondo la quale “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Nonostante la legge n. 24 del 2001 sembri negare alla radice la configurabilità di una sopravvenuta usurarietà degli interessi, valorizzando esclusivamente il momento della pattuizione degli stessi, sia in dottrina che in giurisprudenza si è affermato che, anche alla luce dell’interpretazione autentica fornita dal legislatore, sarebbe irragionevole e incongruo sostenere la debenza dell’interesse pattuito, esorbitante rispetto al sopravvenuto tasso-soglia.

Sul tema, si sono fronteggiati due orientamenti principali: un primo indirizzo, contrario all’usura sopravvenuta, e una seconda impostazione, invece favorevole a quest’ultima.

Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, sono intervenute a dirimere tale contrasto, escludendo “in toto” il rilievo della usura sopravvenuta.

Gli Ermellini, infatti, hanno osservato che  “è privo di fondamento la tesi della illiceità della pretesa di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione, alla soglia dell’usura, superi tuttavia tale soglia al momento della sua maturazione o del pagamento degli interessi stessi

A tale conclusione, la Corte perviene, facendo applicazione dei principi sottesi alle norme applicabili in materia: il divieto dell’usura è contenuto nell’art. 644 c.p. mentre le altre disposizioni contenute nella Legge 108/96 non formulano tale divieto ma si limitano a prevedere un meccanismo di determinazione del tasso, oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurai, a mente appunto dell’art. 644 c.p. cui fa implicitamente riferimento l’art. 2 della legge citata che recita: “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai”, limite che è appunto fissato dall’art. 644 c.p.

Sarebbe pertanto impossibile – conclude la Cassazione – operare la qualificazione di un tasso come usuraio senza fare applicazione dell’art. 644 c.p. considerando, ai fini della sua applicazione – così come impone la norma di interpretazione autentica (D.L. 394/2000) – il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Morale: per un contratto stipulato con la Banca prima della entrata in vigore della legge sui tassi usurai, l’Istituto bancario “è autorizzato” ad applicare tassi maggiori – finanche superando il tasso usura – rispetto a quelli convenuti all’atto della stipula, senza che per ciò si possa invocare la speciale tutela prevista solo per coloro che i tassi usurai se li vedono applicare dopo l’entrata in vigore della legge.

Così è se vi piace….

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BES: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

BES: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Alunni disabili: il diritto allo studio è sacro

La Costituzione impone agli Istituti Scolastici di adottare ogni misura atta ad assicurare l’effettività del diritto allo studio: non può essere respinto l’alunno che per difficoltà psico-attitudinali non riesce a tenere il passo degli altri compagni.

Lo stabilisce il T.A.R del Lazio con Ordinanza su ricorso proposto dall’Avvocato Gelsomina Cimino del Foro di Roma.

 

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R E P U B B L IC A I T A L I A N A

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero Reg.generale OMISSIS, proposto da – OMISSIS , in qualità di esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gelsomina  Cimino

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittorio Veneto, 116;

contro

Il Ministero dell’Istruzione  e dell’Università e della Ricerca, il Liceo OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma via dei Portoghesi,

per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia,

della scheda di valutazione del OMISSIS relativa al risultato finale, contenente la dichiarazione di non ammissione alla classe successiva dell’alunna, nonché del connesso verbale dcl Consiglio di Classe, recante giudizio di non ammissione, in data OMISSIS

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e del Liceo OMISSIS;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l’art. 55 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatrice nella camera di consiglio del giorno OMISSIS la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto che il vizio della notifica dell’atto introduttivo, rilevato nell’ordinanza cautelare collegiale del Omissis risulta essere sanato dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione;

Ritenuto altresì che l’istanza cautelare, allo stato degli atti e delle deduzioni delle parti, sia da accogliere essendo presenti sia l’elemento del danno grave e irreparabile sia quello del fumus boni iuris in relazione  alla situazione della minore, che deve pertanto essere ammessa alla classe successiva;

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) accoglie l’istanza cautelare e, per l’effetto, ordina all’Istituto scolastico resistente di ammettere la minore alla classe successiva.

Fissa per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del OMISSIS alle ore di rito

Compensa le spese della presente fase cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’amministrazione ed è depositata presso la segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1, 2 e 5 D.Lgs.30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per fìnalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, all’oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la patria potestà o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare il medesimo interessato riportato sulla sentenza o provvedimento.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno Omissis con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Savoia, Presidente

Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

Emanuela Loria

IL PRESIDENTE

Riccardo Savoia

 

lL SEGRETARI0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FONDO PATRIMONIALE: OPPONIBILITA’ AI CREDITORI

FONDO PATRIMONIALE:  OPPONIBILITA’ AI CREDITORI

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23955/17 è intervenuta nel giudizio di opposizione all’esecuzione avanzato da due coniugi, i quali affermavano, a sostegno delle proprie deduzioni, l’esistenza, su alcuni dei beni immobili pignorati dal creditore procedente, della costituzione di un fondo patrimoniale.

L’opposizione era stata rigettata sia in primo che in secondo grado, in quanto, secondo i giudici di merito non era stata raggiunta la prova circa l’opponibilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale che, infatti, avrebbe potuto dirsi opponibile al creditore solo laddove i coniugi avessero prodotto l’atto di matrimonio con accanto l’annotazione circa la costituzione del fondo.

Invero, in tali casi, l’opponibilità o meno della costituzione del fondo al creditore procedente dipende dall’anteriorità di tale annotazione rispetto alla data di trascrizione del pignoramento.

Nel caso in esame, tuttavia, l’atto di matrimonio non è stato prodotto né in primo grado né in sede di gravame e pertanto i giudici della Suprema Corte hanno dovuto ritenere che i giudici di merito abbiano correttamente rigettato l’opposizione perché destituita di prova.

Dall’applicazione di tale principio ne deriva necessariamente che, benché l’esibizione in giudizio dell’atto di matrimonio recante l’annotazione non sia condizione sostanziale di opponibilità dell’atto ai terzi ex art. 162 c.c, essa, tuttavia, costituisce necessario adempimento dell’onere della prova in giudizio.

Ma vi è più da considerare che gli opponenti avevano ritirato il proprio fascicolo di parte all’udienza di precisazione delle conclusioni senza ridepositarlo; sul punto la Corte ribadisce che, in virtù del principio dispositivo delle prove, il giudice è tenuto a decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione.

Dacchè il mancato reperimento nel fascicolo di alcuni documenti deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi che sollevino l’involontarietà della mancanza, di un atto volontario della parte stessa che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti, cosicchè, il Giudice si pronunci solo sulla base dei documenti posti alla sua cognizione all’atto della decisione.

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L’ISCRIZIONE NELLA CENTRALE RISCHI DELLA BANCA D’ITALIA COMPORTA, SE ILLEGITTIMA, IL RISARCIMENTO DEI DANNI

 

L’ISCRIZIONE NELLA CENTRALE RISCHI DELLA BANCA D’ITALIA COMPORTA, SE ILLEGITTIMA, IL RISARCIMENTO DEI DANNI

La segnalazione di una sofferenza da parte dell’intermediario finanziario alla centrale rischi della Banca d’Italia implica una valutazione finanziaria negativa circa la posizione complessiva del cliente e, pertanto, non può seguire ad un semplice ritardo.

Con la sentenza n. 2748  la Corte d’Appello di Milano è intervenuta a statuire circa la richiesta di risarcimento danni (rigettata in primo grado) avanzata da una società a responsabilità limitata per essere stata illegittimamente segnalata alla Centrale dei Rischi della Banca di Italia da parte di una società finanziaria, la quale aveva ritenuto erroneamente non pagate alcune rate di un leasing.

L’appellante lamentava, per quel che è qui di interesse, l’omessa applicazione, da parte del giudice di prime cure, delle norme di cui alla circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia relativamente alla segnalazione pregiudizievole alla Centrale dei Rischi, nonché la violazione, ovvero l’omessa applicazione dell’art. 4 c. 7, del codice di Deontologia e di buona condotta per i sistemi informatici gestiti dai privati. Secondo l’appellante, infatti la sentenza impugnata avrebbe erroneamente riconosciuto la legittimità delle segnalazioni fatte in assenza dei presupposti di legge.

Con specifico riferimento alla Segnalazione alla Centrale dei Rischi la Corte osserva che, ai sensi della circolare 139/1991 della Banca d’Italia, essa implica una «valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito», presupponendo «una situazione del debitore non già di mero temporaneo e occasionale inadempimento, ma di vero e proprio stato di grave e non transitoria difficoltà economica del debitore, incapace di adempiere alle proprie obbligazioni».

Dunque, continua la sentenza, citando il costante orientamento della Corte di legittimità (cfr. Cass. n.26361/2014, Cass. n. 7958/2009, «ai fini di una corretta segnalazione a sofferenza non è sufficiente un mero ritardo nei pagamenti per giungere alla conclusione di sussistenza nel debitore di una situazione quale quella sopradescritta, bensì si richiede da parte dell’intermediario finanziario una valutazione “riferibile alla complessiva situazione finanziaria del cliente”, che quindi “deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione di insolvenza”».

Ed invero, ritiene la Corte, nel caso di specie «è pacifico che l’azienda non versasse in uno stato di decozione, e che la finanziaria ne fosse pienamente a conoscenza».

Dalle argomentazioni qui richiamate la Corte ha desunto l’accoglimento della richiesta di risarcimento di danno non patrimoniale, ritenendo invece non provato il danno patrimoniale.

La Corte, richiamandosi a dei precedenti giurisprudenziali di legittimità, ha infatti precisato: «è pacifica la configurabilità del risarcimento del danno non patrimoniale, che deve essere identificato come qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine».

Nel caso di specie, continua la Corte, l’appellante ha dimostrato «l’illecita condotta dell’appellato, nonché la lesione all’immagine derivatale dalla perdita di credibilità finanziaria causata dal veder assimilata la propria posizione a quella di persone giuridiche in stato di insolvenza o quantomeno in difficoltà finanziaria tale da renderle inaffidabili debitrici».

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#GARANZIE DEL #CONSUMATORE

“Garanzie del Consumatore” solo per prestazioni connesse alla #vendita

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Con la Sentenza C-247/16 resa lo scorso 07.09.2017 la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale sollevata dal Tribunale del Land di Hannover nell’ambito di una controversia tra privati vertente su spese asseritamente sostenute dalla ricorrente per porre rimedio a vizi di un’opera.

In particolare, il Tribunale tedesco si è rivolto alla Corte Europea affinchè venisse chiarito se “l’articolo 3, paragrafo 5, secondo trattino della direttiva 1999/44 (in materia di vendita e garanzie concernenti i beni di consumo, cui si è data attuazione in Italia mediante il D. Lgs n. 24/2002) debba essere interpretato nel senso che, in base a un principio di diritto dell’Unione, in materia di tutela dei consumatori, affinchè un consumatore che ha stipulato con un venditore un contratto relativo a un bene di consumo, possa far valere i suoi diritti di garanzia secondari, sia sufficiente che tale venditore non abbia posto rimedio entro u termine ragionevole, senza che sia necessaria la fissazione, da parte del consumatore, di un termine per l’eliminazione del vizio della cosa

L’ambito di indagine sottoposto all’attenzione della Corte investe dunque la definizione di “contratto di vendita” così come riportato nella citata direttiva e in quella n. 85/374 CEE capisaldo del Codice del Consumo adottato in Italia con D. Lgs n. 206/2005.

La Corte precisa dunque che la nozione “contratto di vendita” contenuta nella direttiva 1999/44 è riferita alle vendite concluse tra venditore professionista e acquirente consumatore e che essa, in considerazione del fatto che la direttiva non contiene alcun rinvio al diritto nazionale, deve intendersi come “limitata” all’ambito di applicazione della direttiva medesima, si da costituire una nozione valevole su tutto il territorio dell’Unione a prescindere dal significato che può assumere nei singoli paesi in base al diritto interno: Ne risulta pertanto che essa deve essere considerata, ai fini dell’applicazione della direttiva, come volta a designare una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima

Fatta questa premessa, la Corte si sofferma sui contratti cui, in base al diritto nazionale, deve estendersi la nozione di “vendita”, come i contratti di fornitura di servizi o i contratti d’opera.

Sono così da considerare contratti di vendita anche i contratti di fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre: dacchè, ai sensi dell’art. 1, par. 4 della direttiva, il contratto avente ad oggetto la vendita di un bene che deve essere dapprima fabbricato o prodotto dal venditore, rientra nel campo di applicazione della direttiva in parola.

Esempio tipico è l’installazione: se questa presenta dei difetti, potrà essere invocata la speciale tutela consumeristica, solo laddove l’installazione costituisca un servizio connesso alla vendita del medesimo bene.

Cosicchè, in generale si può affermare che la prestazione di servizi rientra nell’ambito di applicazione della speciale tutela prevista dalla direttiva, solo laddove, la prestazione di servizi si pone come accessoria alla vendita.

Chi scrive, si è già trovato ad affrontare in sede giurisdizionale e segnatamente dinnanzi al Consiglio di Stato la delicata questione qui affrontata.

Il caso traeva origine dall’applicazione, ad opera dell’Antitrust di una sanzione a carico di una società per una pratica commerciale scorretta, dovendo trovare applicazione, in questo caso, la normativa dettata in materia di vendita e prestazione di servizi nei confronti dei consumatori.

La difesa apprestata dallo Studio poggiava sulla considerazione per cui al caso di specie non poteva applicarsi la speciale tutela invocata, in considerazione del fatto che la nozione di “vendita” così come recepita dal nostro Ordinamento e risultante dalle direttive comunitarie attuate, non fosse calzante con il particolare servizio reso dalla società sanzionata.

Il Consiglio di Stato con Ordinanza consultabile dal nostro sito (http://studiolegalecimino.eu/wp-content/downloads/sentenza_1_diritto_amministrativo.pdf) ha infatti ritenuto che la speciale normativa dettata per i consumatori, non poteva essere invocata nel caso di specie.

In conclusione, sulla base della decisione della Corte di Giustizia qui commentata, il consumatore può invocare la tutela prevista dalla speciale disciplina introdotta dalla legislazione comunitaria, solo laddove alla base della prestazione (di servizi o attività) ritenuta produttiva di effetti negativi (causa), vi sia un contratto di vendita concluso con il medesimo “professionista” che ha eseguito la prestazione “dannosa”.

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