TERMOLI MOLISE 2018

NarciNismo


La letturina che propongo oggi è del buon D'Avenia, che può anche non piacere ma offre sempre spunti molto interessanti, no? Buona lettura e lieto weekend a tutti! :) .       Le relazioni lasciate alla paura della solitudine e del non essere «abbastanza» imboccano i due vicoli ciechi dell’itinerario amoroso contemporaneo. Da un lato la seducente favola romantica, che fa dell’altro un dio e immagina la vita di coppia come soddisfazione di ogni bisogno: l’altro è il mio destino, il dio che mi salverà da ogni vuoto e caduta. Ma l’amore non è sicurezza emotiva, bensì rischio, esplorazione, perdita dei confini dell’io per creare la regione ignota del noi. Dall’altro lato emerge la narrazione frutto del disinganno della favola romantica evaporata a contatto con l’esperienza: l’amore cinico. In questa versione l’amore è una serie di storie a scadenza, io sono il dio da adorare e l’altro serve finché ne ho bisogno o non mi stanco. L’illusione romantica e il calcolo cinico distillano un efficace veleno per le relazioni: il «nar-cinismo», parola coniata dalla psicanalista Colette Soler, per indicare la somma di narcisismo (l’altro è usato come specchio per moltiplicare l’ego) e cinismo (l’altro è lo schiavo a tempo dell’ego). L’amore non è più uscita e superamento di sé che libera dal ripiegamento su se stessi, cioè dall’egoismo, causa di ogni fallimento esistenziale. Si è vivi solo se si cresce in amore, invece il nar-cinismo sottomette l’amore alla sola legge nota al gaio nichilismo: il godimento individuale, finito il quale, nella versione romantica si cercano nuove emozioni in fughe regressive o trasgressive, nella versione cinica l’altro viene sostituito con chi può procurare maggiore soddisfazione. L’acclamato La la Land, seducente in canzoni e attori, è il film del nar-cinismo relazionale, impasto perfetto di favola e cinismo. Nessuno dei due protagonisti rinuncia a nulla, usa l’altro come doping per la propria «prestazione esistenziale». Quello che resta nel finale è la malinconia del «sarebbe stato bello se avessimo scelto noi», ma la promessa di felicità del noi è solo un’ipotesi dell’irrealtà per l’ego. Emblematico il dialogo nel parco dell’Osservatorio, dove i due, all’inizio, avevano inaugurato il sogno romantico volando tra le stelle: «Dove siamo noi due?», chiede lei riferendosi alla loro crisi, e lui: «Nel parco». Ridono, ma la risposta è perfetta: c’è solo l’istante, nessun progetto o scelta. Il dialogo continua tra un «tu devi mettere tutta te stessa nel tuo sogno» e un «io devo andare avanti nel mio piano». E il noi? Il noi non rientra nel sogno o nel piano. L’altro è servito ora a dopare l’ego emotivo (mi fai stare bene), ora da ultrà per quello carrieristico (fai il tifo per me). È il cortocircuito erotico odierno: vogliamo essere innamorati e restare ego-riferiti. Ma amare è essere noi-riferiti, paradossale scelta di spingere l’ego verso il naufragio, come scriveva Kafka alla sua Milena: «tu mi sei la cosa più cara, amore è che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso». È un coltello misericordioso: il noi libera il sé che, sentendosi amato, abbassa le difese e si lascia sbucciar via l’ego che ingabbia la felicità.