Il riccio col frac

A mio figlio


Non siamo più gli stessi.

Una volta potevamo dirci tutto a dispetto del gap generazionale.

Ci lasciavamo andare a confidenze, reazioni emotive, piccole irrazionalità

Senza paura del giudizio dell’altro.

Certo, il fattore  distanza, di spazio e di tempo, gioca a sfavore

ci priva della fisicità, della mimica, delle sfumature.

Inoltre ci sono altre presenze nella tua vita.

Non so se tutto questo può aver avuto un peso

Ma certo  è che siamo cambiati.

Tu soprattutto.

Io mi sono adeguata, com’è giusto che sia.

Percepisco una certa disistima

Talvolta mi fai sentire un po’ patetica

Mi costringi a pesare prima le parole e gli argomenti da affrontare

e mi spingi a ricompormi se esco dai ranghi.

Ma chi se ne frega dei ranghi!

A chi posso confidare, se non a te, quelle piccole debolezze

quei sentimenti poco onorevoli, che ogni tanto spuntano

ma che dovrebbero nascere e morire in una stanza, per quanto virtuale

e finire con una risata complice?

Mi dici di non offendermi.

Non mi offende, ma mi rende triste.

Questo è certo.

Ho perso una parte di te che forse non riavrò più indietro.

Proprio ora, dopo quest’ultima frase, è come se mi sentissi addosso

il tuo sguardo di compatimento.

Tutto questo lo terrò per me

perché so già che se te lo dicessi finiresti per tacere dei pensieri che mi riguardano

e che comunque nella tua mente esistono.

 

Per non ferirmi.