Sesso sangue e sesamo

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Alla fine sono riuscita. Il mio libro “Sesso sangue e sesamo” ce l’ha fatta. Ed è entrato nella scelta di bookabook (https://bookabook.it/libri/sesso-sangue-sesamo/) ora va solo preordinato. Dopo di che raggiunte le 200 copie sarà pubblicato. Ce la farò? Mi darete una mano?

La storia

Una paziente e una psicologa. Due donne che sembrano andare l’una verso l’altra fino quasi a coincidere. In segreto una odia l’altra ma finiscono per condividere vicende paradossali al brivido del ricatto e dell’inseguimento. Così tra la noia di un Ministero romano fanno capolino il sangue, la serialità di una killer e una sessualità vissuta in maniera complessa. Nel romanzo di Valentina Ferri a volte si sorride o ci si lascia conturbare dall’emozione fisica del gioco tra eros e thanatos perdendo e riconquistando di continuo il senso della realtà.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo romanzo per il piacere di mettere in scena la banalità del male in un’atmosfera apparentemente comune. Quella di un ufficio con le sue continue beghe e piccolezze. L’idea era quella di pensare al transfert psicanalitico in una versione straniante e divertente, fino quasi al paradosso.

Se volete preordinare il libro potrete farlo qui

La donna è la perfezione

Questa è la poesia (L’orlo) che Sylvia Plath scrisse prima di preparare la colazione per i figli e suicidarsi.

La donna è la perfezione.
Il suo morto
Corpo ha il sorriso del compimento,
un’illusione di greca necessità
scorre lungo i drappeggi della sua toga,
i suoi nudi
piedi sembran dire:
abbiamo tanto camminato, è finita.
Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno
come un bianco serpente a una delle due piccole
tazze del latte, ora vuote.
Lei li ha riavvolti
Dentro il suo corpo come petali
di una rosa richiusa quando il giardino
s’intorpidisce e sanguinano odori
dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.
Niente di cui rattristarsi ha la luna
che guarda dal suo cappuccio d’osso.
A certe cose è ormai abituata.
Crepitano, si tendono le sue macchie nere.

Raccontare storie

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Raccontare storie è l’attività più antica del mondo.
Prima di me, prima di noi lo hanno fatto padri, nonni. E nonni di nonni.
E nonne. Le donne sono le ancelle del Grande Discorso della Vita.
Della Narrazione universale. Che pure fanno – contribuiscono a creare – per via uterina.
Fino all’inizio di un logos iniziale tutto nasce da un atto di parola.
Tutto inizia da un atto del racconto.
Uno si siede e racconta.
A uno o più che ascoltano.
A loro volta questi racconteranno storie ad altri dopo di loro.
Tutto avviene in un orizzonte mutevole che però è disposto a farsi plasmare dalle parole.
Le parole che avvolgono le cose. Che fanno sì che le cose sono le parole che le dicono.

Scrivere per me è come morire

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Scrivere, per me, è come morire. Come uccidere una parte di me. E far nascere un’altra me. Scrivere per me è come essere in pena, in pericolo e mettere a repentaglio la mia stessa essenza.
Sono io quella che racconta quella cosa?
Sono io quella che scrive quella scena?
La risposta è sì. La risposta è no.
Scrivere per come la vedo io è decidere di rischiare di essere, anche di rischiare di non essere. A pensarci bene, mettere mano a una storia, creare un personaggio (o una personaggia) vuol dire smettere di accontentarsi della prima risposta che ti viene in mente e far fare, far dire a quel tuo NUOVO IO una cosa che tu non diresti. Non importa se giusta o sbagliata, scomoda, appropriata.
E questo è già un bellissimo regalo che ci si può fare.

Creare mondi per creare vite

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Non esistono mondi perfetti, vite sognate.
Esistono realtà modificabili. Noi siamo tutte queste possibilità.
Per me la letteratura è questo “vite che potrebbero essere la tua” per parafrasare un titolo. “Vite che sono la tua” ma non te ne sei ancora accorta. “Vite che puoi decidere non siano più la tua”. Questo lo fa la narrativa compiutamente. A piccoli passi, a brevi assimilamenti. Come un nutrimento. Lo può fare anche il cinema, le serie. La narrazione in genere lo fa. ma leggere lo fa due volte. Con esattezza.

Le donne da cui ho imparato a essere donna

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A essere donna ho imparato.
Lo sono nata certo ma poi è stato necessario guardare altre donne.
Non da tutte quelle che guardavo ho imparato.
Ma da alcune sì. Piccoli particolari, magari.
Da mia nonna un certo modo di chinare la testa che non voleva dire sottomissione ma “ora vi frego tutti io”. Non ho imparato a chinare la testa ma a dire “non mi farò fregare così facilmente”. E se sei donna questa è una cosa che devi imparare. Presto.

A scrivere ho imparato da Elsa Morante. Anche se – se avrò il coraggio di farvi leggere quello che scrivo – la mia strada è passata da lei solo tangenzialmente. Ma.

Ma questo inizio io lo porto nel cuore.

Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene), che Arturo è una stella: la luce piú rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell’antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli.

Da qui è nato tutto? Non lo so. Ma un libro dovrebbe iniziare bene. E “L’isola di Arturo” inizia come deve iniziare un libro per me.

La penna e il coltello

La penna e il coltello è il motto del mio sito.
Tranquilli e tranquilli non sono una serial killer.
Forse sono la persona più pacifica del mondo. Forse non del tutto – in fondo nessuno lo è del tutto.
La penna e il coltello nasce dall’idea che ho della scrittura. Per me un libro deve tagliare Poi sì, amo i gialli. Ma amo la scrittura che ti tiene inchiodata. Avete presente quelle scene in cui la nostra eroina ha un coltello piantato alla gola e non può muoversi? Ecco ai libri che leggo chiedo questa minaccia perpetua.
Tutto qui. E giusto per tranquillizzare lettrici e lettori del mio blog.

Scrivere o parlare

Mi rendo conto che la prima cosa che ho fatto, la prima con un senso compiuto per me è stata scrivere. Intendo nella vita.
A cominciare dalle prime righe storte, le prime lettere sofferte. Ricordate? Una mano vi guidava a completare il cerchio della O o la cruna troppo stretta della L corsiva.

Anche oggi, anche ora sono qui che scrivo e mi rendo conto – e qui mi scuso con i tanti “carinissimi” che mi scrivono in privato – che io funziono così. Parlare – scrivere parlando – è un po’ un mio punto debole. Mi sento più a mio agio a trascrivere le cose che mi sono accadute. Magari trasfigurandole in un racconto. In quello che io penso sia un racconto. Per me “racconto” è la creazione di un tempo e uno spazio precisi. Una cosa che mixa realtà a immaginazione. Ha un po’ dell’una e un po’ dell’altra.

Io vivo e scrivo. Mi piacerebbe dire che scrivo e poi vivo. Non è così. Io vivo. E molto. Quello che scrivo – spero vi arrivi – è vero o verosimile. Che, per me, dal punto di vista di quello che io voglio fare con le parole è un po’ la stessa cosa. La verità e la verità possibile.

Forse è per questo che parlare è il mio punto debole. E spero che scrivere possa essere o diventare il mio punto forte. Ma di questo voglio parlarvi un’altra volta. Per ora è tutto.