La vera vita è la letteratura

La vera vita, la vita finalmente riscoperta e illuminata, la sola vita, dunque, pienamente vissuta, è la letteratura. Vita che, in un certo senso, abita in ogni istante in tutti gli uomini non meno che nell’artista. Ma essi non la vedono, perché non cercano di illuminarla. E così il loro passato è ingombro di innumerevoli negativi, che restano inutili perché l’intelligenza non li ha “sviluppati”. La nostra vita, e anche la vita degli altri; perché lo stile per lo scrittore, come il colore per il pittore, non è una questione di tecnica, ma di visione. È la rivelazione, che sarebbe impossibile attraverso mezzi diretti e coscienti, della differenza qualitativa esistente nel modo in cui il mondo ci appare, differenza che, se non ci fosse l’arte, resterebbe il segreto eterno di ciascuno. Solo attraverso l’arte possiamo uscire da noi, sapere cosa vede un altro di un universo che non è lo stesso nostro e i cui paesaggi rimarrebbero per noi non meno sconosciuti di quelli che possono esserci sulla luna. Grazie all’arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, lo vediamo moltiplicarsi, e quanti sono gli artisti originali, altrettanti mondi abbiamo a nostra disposizione, più diversi gli uni dagli altri di quelli che ruotano nell’infinito; mondi che mandano ancora fino a noi il loro raggio inconfondibile molti secoli dopo che s’è spento il fuoco – si chiamasse Rembrandt o Vermeer – da cui esso emanava.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Jan Vermeer, vita, stile e opere del grande pittore olandese

Jan Vermeer, Veduta di Delft

Wagner

La musica – ben diversa, in questo, dalla compagnia di Albertine – mi aiutava a discendere in me stesso, a scoprirvi del nuovo: la varietà cercata invano nella vita, nei viaggi, di cui il flusso sonoro, mandando le sue onde soleggiate a frangersi e morire accanto a me, mi dava peraltro nostalgia. Duplice diversità. Come lo spettro esteriorizza per noi la composizione della luce, l’armonia di un Wagner, il colore di un Elstir ci permettono di conoscere quell’essenza qualitativa delle sensazioni d’un altro in cui nemmeno l’amore per un altro essere ci fa penetrare. E poi, diversità all’interno dell’opera stessa, grazie al solo mezzo che vi sia per essere effettivamente diversi: riunire diverse individualità. Là dove un piccolo musicista pretende di dipingere uno scudiero, un cavaliere, ma fa cantare a tutti la stessa musica, Wagner mette invece sotto ogni denominazione una realtà differente, e ogni volta che il suo scudiero ritorna è una figura particolare, al tempo stesso complicata e semplicistica, a inscriversi nell’immensità sonora con un cozzo di linee gioioso e feudale. Di qui la pienezza d’una musica colma, in effetti, di tante musiche, ciascuna delle quali è una persona. Una persona, o l’impressione suscitata da un aspetto momentaneo della natura. Persino quel che è più indipendente, in essa, dal sentimento che ci ispira, conserva la sua realtà esteriore e affatto definita; il canto d’un uccello, il richiamo d’un corno da caccia, l’aria suonata da un pastore sul suo flauto di canna disegnano contro l’orizzonte le loro sagome sonore. Certo, Wagner finiva poi col fonderle, impossessarsene, immetterle in un’orchestra, assoggettarle alle più alte idee musicali; ma sempre rispettandone l’originalità primitiva, come un maestro d’ascia le fibre, la particolare essenza del legno che scolpisce.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La vita poteva consolarmi dell’arte?

No: prendendo la Sonata da un altro punto di vista, guardandola in se stessa come l’opera di un grande artista, ero risospinto dal flusso sonoro verso i giorni di Combray – non di Montjouvain e della parte di Méséglise, ma delle passeggiate dalla parte di Guermantes – in cui io stesso avevo desiderato d’essere un artista. Abbandonando, di fatto, questa ambizione, avevo rinunciato a qualcosa di reale? La vita poteva consolarmi dell’arte? o c’era nell’arte una realtà più profonda, capace di offrire alla nostra vera personalità un’espressione ad essa negata dalle azioni della vita? Ogni grande artista sembra, in effetti, così diverso dagli altri, e ci dà così intensamente quella sensazione dell’individualità che invano cerchiamo nell’esistenza quotidiana!

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Sull’arte

Un artista non ha bisogno d’esprimere direttamente il proprio pensiero nella sua opera perché questa ne rifletta la qualità; si è potuto anzi affermare che la più alta lode di Dio sia nella negazione dell’ateo, che trova la Creazione tanto perfetta da poter fare a meno d’un creatore.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori