C’è qualcosa d’altrettanto rumoroso della sofferenza, ed è il piacere

Non osavo muovermi. Lo staffiere dei Guermantes – approfittando, evidentemente, della loro assenza – aveva trasportato nella bottega in cui mi trovavo una scala custodita, fino allora, nella rimessa. Se vi fossi salito, avrei potuto aprire il vasistas e sentire come se fossi stato proprio da Jupien. Ma temevo di far rumore. Del resto, era inutile. Non dovetti nemmeno rimpiangere d’aver raggiunto la mia bottega solo dopo qualche minuto. Infatti, da quel che sentii dapprima in quella di Jupien, e che non fu altro che una serie di suoni inarticolati, suppongo che fossero state scambiate ben poche parole. È vero che erano, quei suoni, così violenti, che se non fossero stati regolarmente ripresi, un’ottava più su, da un gemito parallelo, avrei potuto credere che una persona, lì a due passi da me, ne stesse scannando un’altra, e che l’assassino e la vittima resuscitata facessero poi insieme un bagno per cancellare le tracce del delitto. In seguito, ne conclusi che c’è qualcosa d’altrettanto rumoroso della sofferenza, ed è il piacere, soprattutto quando vi si aggiungano – in mancanza del timore di procreare, da escludersi in questo caso malgrado l’esempio poco probante della Leggenda aurea – problemi immediati di pulizia. Alla fine, passata all’incirca mezz’ora (durante la quale ero salito a passi felpati sulla mia scala per guardare – senza per altro aprirlo – attraverso il vasistas), s’avviò una conversazione. Jupien rifiutava energicamente il denaro che il signor di Charlus voleva dargli.

M. Proust, Sodoma e Gomorra I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Eterosessuali o omosessuali si nasce - Il Sole 24 ORE

Jupien

Devo confessare che Jupien, così di primo acchito, non m’era piaciuto granché. A vederlo da vicino, annullando del tutto l’effetto che le gote paffute e il colorito florido avrebbero altrimenti prodotto, i suoi occhi straripanti d’uno sguardo compassionevole, sconsolato e sognante facevano pensare che fosse molto malato, o che di recente l’avesse colpito un grave lutto. Non solo non era affatto così, ma a sentirlo parlare – con perfetta proprietà, d’altronde – risultava piuttosto freddo e beffardo. Da tale disaccordo fra il suo sguardo e la sua parola emergeva qualcosa di falso ch’era tutt’altro che simpatico, e di cui sembrava ch’egli stesso provasse imbarazzo, come un invitato in giacchetta a una serata dove tutti sono in abito da società, o come qualcuno che dovendo rispondere a un’Altezza non sappia esattamente in che modo le si debba rivolgere e aggiri la difficoltà riducendo pressoché a zero il proprio dire. È un semplice paragone: l’eloquio di Jupien era, al contrario, incantevole. In corrispondenza, forse, con quell’inondazione del viso da parte degli occhi (alla quale, conoscendolo, non si prestava più attenzione), gli scopersi ben presto un’intelligenza rara e fra le più naturalmente letterarie che mi sia stato dato conoscere, nel senso che, probabilmente senza cultura, egli possedeva o aveva assimilato, col solo ausilio di pochi libri scorsi frettolosamente, le più ingegnose risorse della lingua. Le persone più dotate ch’io avessi conosciute erano morte giovanissime. Così, ero convinto che la vita di Jupien sarebbe finita presto. C’erano in lui bontà e pietà, i sentimenti più delicati, più generosi.

M. Proust, La parte di Guermantes I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Jupien - R

David Richardson, Jupien