Ascari: i valorosi soldati italiani di colore“Ascaro” viene usato spregiativamente nel lessico giornalistico contemporaneo, senza cognizione di causa e per giunta con l’errore di ortografia nella declinazione della parola (che è invariabile nel singolare e nel plurale: dunque “un ascari, due ascari”). L’uso che si fa di questo termine è ingiusto nei confronti dei soldati coloniali che combatterono per l’Italia dalla creazione delle unità di Ascari fino alla Seconda Guerra Mondiale, con una fedeltà ed un’efficienza ineguagliabili.Quattro anni fa al Vittoriano si tenne una interessante mostra intitolata “L’Epopea degli Ascari Eritrei”, che mi aprì gli occhi su molte cose del nostro passato coloniale, e che rese giustizia a questi soldati dimenticati, di rinsaldò i legami tradizionali di amicizia tra Italia ed Eritrea, mostrò un altro aspetto, assolutamente preminente ma artatamente messo in sordina, del colonialismo italiano.“Troppo spesso il colonialismo italiano viene ridotto all’iprite di Graziani e alle leggi razziali” mi disse Ascanio Guerriero, il curatore della mostra. “Ma noi iniziammo la nostra storia coloniale più di sessant’anni prima. La verità è che dagli anni ’70 in avanti è esistita la cosciente volontà denigratoria da parte di certi ambienti culturalmente influenti, e questo perché in quel periodo l’Unione Sovietica stava piazzando le sue pedine strategiche nelle ex colonie italiane, come Menghistu in Etiopia”.Alla mostra potei vedere materiale fotografico in gran parte inedito, ed i cimeli dei battaglioni Ascari del Regio Corpo Truppe Coloniali, Medaglia d’Oro al Valor Militare, oltre alle riproduzioni di alcune fra le moltissime rappresentazioni iconografiche liberty e decò che presentavano al pubblico italiano della belle epoque questi soldati. Delle foto e dai disegni emergeva sempre un clima di grande cameratismo e di confidenza fra ascari e italiani, anche borghesi, e le ricostruzioni pittoriche per le copertine delle riviste illustrate dell’epoca mostrano sempre bianchi ed eritrei affiancati nella lotta, senza mai mettere in mostra i primi a discapito dei secondi.“In molti altri paesi, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale è impossibile trovare rappresentazioni ufficiali delle truppe di colore. Durante la Guerra di Secessione Americana i reparti di negri erano disegnati coi volti bianchi”. Mi spiegava Ascanio Guerriero. “Da questa iconografia si comprende benissimo il rapporto di parità e di fratellanza che si era creato fra ascari ed ufficiali italiani, all’interno del Corpo e per l’opinione pubblica. Non esistevano protagonisti e comprimari: esistevano solo soldati italiani, bianchi o di colore”.L’Eritrea, come entità nazionale, è stata creata dall’Italia: fra l’arrivo ad Assab della Compagnia Rubattino (la stessa che trasportò i Mille a Marsala) e la creazione della Colonia Eritrea (1890) le terre comprese tra la fascia litoranea dell’Altopiano Etiopico e la Dancalia erano abitate da nove etnie differenti, disunite, sottoposte da oriente alla pressione della pirateria yemenita, da occidente alle scorrerie dei dervisci sudanesi e da meridione all’oppressione sanguinaria di Ras Alula, feudatario negussita. L’Inghilterra, dopo il massacro di Gordon Pascià per mano dei fanatici mahdisti, e considerato il rischio di espansione francese in quella regione, esortò l’Italia a prendere l’iniziativa e a conquistare l’intera fascia costiera. Il governo egiziano, alla quale l’Eritrea apparteneva, cedette quasi senza colpoferire, mentre asperrime furono le battaglie contro dervisci e abissini.Si può dire che l’Italia giocò allora, con ben altri successi, l’identico ruolo che oggi gioca nelle imprese di Afganistan ed Irak, in una guerra (che allora l’Occidente vinse) contro i primi rigurgiti di fanatismo islamico. Allora era il Mahdi, oggi al Qaeda. Il fatto che allora si vinse dovrebbe essere un’istruttiva lezione. Ma tant’è… limitiamo i commenti ai fatti del giorno…La mania tutta italiana di rimarcare solo le sconfitte ha impresso nella memoria gli sfortunati episodi di Dogàli, Adua, ed Amba Alagi, mentre non meno significative furono le vittorie che le truppe italiane e coloniali colsero contro chi si opponeva alla nostra penetrazione; tant’è che alla fine fallì ogni tentativo, derviscio o abissino, di ributtarci in mare. Nomi come Agordàt, Halài e Coàtit sono poco noti al pubblico, ma rappresentano altrettanti punti fermi tanto nella storia militare d’Italia quanto della libertà eritrea.
Ascari: i valorosi soldati italiani di colore
Ascari: i valorosi soldati italiani di colore“Ascaro” viene usato spregiativamente nel lessico giornalistico contemporaneo, senza cognizione di causa e per giunta con l’errore di ortografia nella declinazione della parola (che è invariabile nel singolare e nel plurale: dunque “un ascari, due ascari”). L’uso che si fa di questo termine è ingiusto nei confronti dei soldati coloniali che combatterono per l’Italia dalla creazione delle unità di Ascari fino alla Seconda Guerra Mondiale, con una fedeltà ed un’efficienza ineguagliabili.Quattro anni fa al Vittoriano si tenne una interessante mostra intitolata “L’Epopea degli Ascari Eritrei”, che mi aprì gli occhi su molte cose del nostro passato coloniale, e che rese giustizia a questi soldati dimenticati, di rinsaldò i legami tradizionali di amicizia tra Italia ed Eritrea, mostrò un altro aspetto, assolutamente preminente ma artatamente messo in sordina, del colonialismo italiano.“Troppo spesso il colonialismo italiano viene ridotto all’iprite di Graziani e alle leggi razziali” mi disse Ascanio Guerriero, il curatore della mostra. “Ma noi iniziammo la nostra storia coloniale più di sessant’anni prima. La verità è che dagli anni ’70 in avanti è esistita la cosciente volontà denigratoria da parte di certi ambienti culturalmente influenti, e questo perché in quel periodo l’Unione Sovietica stava piazzando le sue pedine strategiche nelle ex colonie italiane, come Menghistu in Etiopia”.Alla mostra potei vedere materiale fotografico in gran parte inedito, ed i cimeli dei battaglioni Ascari del Regio Corpo Truppe Coloniali, Medaglia d’Oro al Valor Militare, oltre alle riproduzioni di alcune fra le moltissime rappresentazioni iconografiche liberty e decò che presentavano al pubblico italiano della belle epoque questi soldati. Delle foto e dai disegni emergeva sempre un clima di grande cameratismo e di confidenza fra ascari e italiani, anche borghesi, e le ricostruzioni pittoriche per le copertine delle riviste illustrate dell’epoca mostrano sempre bianchi ed eritrei affiancati nella lotta, senza mai mettere in mostra i primi a discapito dei secondi.“In molti altri paesi, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale è impossibile trovare rappresentazioni ufficiali delle truppe di colore. Durante la Guerra di Secessione Americana i reparti di negri erano disegnati coi volti bianchi”. Mi spiegava Ascanio Guerriero. “Da questa iconografia si comprende benissimo il rapporto di parità e di fratellanza che si era creato fra ascari ed ufficiali italiani, all’interno del Corpo e per l’opinione pubblica. Non esistevano protagonisti e comprimari: esistevano solo soldati italiani, bianchi o di colore”.L’Eritrea, come entità nazionale, è stata creata dall’Italia: fra l’arrivo ad Assab della Compagnia Rubattino (la stessa che trasportò i Mille a Marsala) e la creazione della Colonia Eritrea (1890) le terre comprese tra la fascia litoranea dell’Altopiano Etiopico e la Dancalia erano abitate da nove etnie differenti, disunite, sottoposte da oriente alla pressione della pirateria yemenita, da occidente alle scorrerie dei dervisci sudanesi e da meridione all’oppressione sanguinaria di Ras Alula, feudatario negussita. L’Inghilterra, dopo il massacro di Gordon Pascià per mano dei fanatici mahdisti, e considerato il rischio di espansione francese in quella regione, esortò l’Italia a prendere l’iniziativa e a conquistare l’intera fascia costiera. Il governo egiziano, alla quale l’Eritrea apparteneva, cedette quasi senza colpoferire, mentre asperrime furono le battaglie contro dervisci e abissini.Si può dire che l’Italia giocò allora, con ben altri successi, l’identico ruolo che oggi gioca nelle imprese di Afganistan ed Irak, in una guerra (che allora l’Occidente vinse) contro i primi rigurgiti di fanatismo islamico. Allora era il Mahdi, oggi al Qaeda. Il fatto che allora si vinse dovrebbe essere un’istruttiva lezione. Ma tant’è… limitiamo i commenti ai fatti del giorno…La mania tutta italiana di rimarcare solo le sconfitte ha impresso nella memoria gli sfortunati episodi di Dogàli, Adua, ed Amba Alagi, mentre non meno significative furono le vittorie che le truppe italiane e coloniali colsero contro chi si opponeva alla nostra penetrazione; tant’è che alla fine fallì ogni tentativo, derviscio o abissino, di ributtarci in mare. Nomi come Agordàt, Halài e Coàtit sono poco noti al pubblico, ma rappresentano altrettanti punti fermi tanto nella storia militare d’Italia quanto della libertà eritrea.