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Al comando di un piccolo reparto di ascari eritrei


Tratto da: CORRIERE DELLA SERA. www.corriere.itDi: Indro MontanelliLa stanza di Montanelli.Al comando di un piccolo reparto di ascari eritreiAl comando di un piccolo reparto di ascari eritrei Caro Montanelli, Una conversazione con un amico reduce da un viaggio in Etiopia ha risvegliato in me ricordi di gioventu' . Mi sono rivisto, "horribile dictu", Balilla moschettiere quando spostavo bandierine rosse a segnalazione delle avanzate delle truppe italiane durante la nota guerra coloniale, sulla carta geografica di quella che allora era chiamata AOI. Il mio ricordo e' andato a nomi a me, e non solo a me, familiari e a vecchie fotografie raffiguranti i soldati delle nostre truppe coloniali: i famosi ascari eritrei, bulukbasci e sciumbasci dai vistosi galloni sulle maniche. E qui sta la domanda: com' era il rapporto di questi soldati dal punto di vista gerarchico e umano coi loro superiori, cioe' ovviamente gli ufficiali italiani che li comandavano? Carlo Freschi, Milano Caro Freschi, Credo di poterle rispondere con cognizione di causa perche' sono stato quasi due anni al comando di un piccolo reparto (una cinquantina di uomini) di ascari eritrei, alle dipendenze del XX Battaglione (fascia e mostrine verde - cremisi) che lo usava a scopi di avanguardia e di ricognizione. Perche' a un simile posto, che richiedeva una certa esperienza di quella truppa e di quel territorio senza strade, nemmeno viottoli ne' carte topografiche, avessero designato un sottotenentino di 25 anni da pochi giorni catapultatosi da Parigi all' Asmara non l' ho mai capito, ma di li' a qualche settimana ringraziavo il Cielo che fosse capitato a me. Sul primo momento fui colto dalla paura che non sarei mai riuscito a distinguere l' uno dall' altro i miei uomini ne' a ricordarmene i nomi. Ma una cosa capii subito, che calmo' le mie ansie: che io ero, si' , il comandante di quel reparto, ma a titolo piu' che altro onorario, perche' il comandante effettivo era lo sciumbasci Gaber Hiscial (l' unico che aveva diritto di calzare i sandali, gli altri erano tutti scalzi), un veterano con 30 anni di servizio sulle spalle, che parlava un buon italiano, e sapeva anche un po' scriverlo, ma soprattutto maestro nel trattare sia i suoi uomini che il Goitana (Signore) di turno, cioe' l' ufficiale italiano. Senza mai darsene le arie, anzi sempre disponibile ai miei ordini, fu lui a insegnarmi quali dovevo dare, e come. Non ne sbaglio' mai uno. E quando, un po' per familiarita' , un po' per gratitudine, accennavo ad accorciare le distanze tra noi, era lui, sia pur senza parere, a ristabilirle. Il trattamento degli uomini presentava qualche difficolta' per via della loro eterogeneita' . La maggior parte erano eritrei di religione copta, variante - ma di poco - di quella cattolica, altri erano eritrei musulmani (come soldati, i migliori), ma c' era anche una mezza dozzina di etiopici venuti, prima dell' inizio dell' offensiva, ad arruolarsi nei nostri reparti, e un' altra mezza dozzina di mercenari yemeniti. Il momento per me piu' difficile venne quando, in uno dei rari scontri a fuoco, che mi costo' un morto e tre feriti, facemmo due prigionieri. Non sapendo dove metterli, me li rimorchiai, coi polsi legati, in coda alla colonna (battevamo in media 40 - 50 chilometri al giorno, io solo a cavallo, tutti gli altri a piedi). A un certo punto sentii alle spalle una scarica di mitra. Mi dissero che avevano sparato sui prigionieri perche' avevano tentato la fuga. Capii e minacciai, all' arrivo di tappa, inchiesta e castigo. Gaber trasmise, ma avvertendomi sottovoce: "Non buono, Goitana". "Perche' ?", gli chiesi. "Pericolo di abiet", rispose. "Abiet" significa ammutinamento. Il caso era rarissimo e dovuto a un ordine ritenuto ingiusto: gli ascari si mettevano in fila disarmati, con un sasso in testa, e da quel momento per l' ufficiale era finita: doveva cambiare reparto quasi sempre in zona morta e malarica. Nel caso mio, gli ascari contestavano il mio diritto a disporre della sorte dei prigionieri che consideravano loro spettanza. Accettai la regola, fingendo di dimenticare l' accaduto. Se ora qualcuno vuol denunciarmi per corresponsabilita' in crimini di guerra, mi pare che qui ce ne sia materia. Chiedo scusa di essermi troppo dilungato su questi ricordi, per me tuttora struggenti. Nel 1950, dopo che non era piu' nostra, tornai in Eritrea e vi ricercai i miei vecchi ascari. Mi accolsero trionfalmente: uno di essi aveva dato il mio nome a un suo figlio. E tutti mi chiamavano ancora "Goitana".