Seconda Guerra Mondiale. Guerra in Africa Orientale. Parte Prima.In considerazione dello stato di ribellione che continuava a mantenersi un pò su tutte le regioni del territorio etiopico, dopo la conclusione delle operazioni di conquista (1935/36) gli italiani erano stati costretti a mantenere in armi forze molto superiori a quelle previste. Nel 1937, vi erano, infatti, 255.000 uomini (135.000 nazionali e 120.000 coloniali) anziché 100.000 (50.000 nazionali e 50.000 coloniali) come stabilito. Nel maggio 1940, alla vigilia della partecipazione italiana al conflitto, vi erano 285.000 uomini, di cui 85.000 nazionali e 200.000 coloniali.Fin dal primo momento era stato stabilito, che in caso di guerra l'Impero avrebbe dovuto provvedere autonomamente alla propria difesa. Il governatore generale era allora il maresciallo Graziani. Il 1° dicembre 1937 Graziani chiese, l'assegnazione delle armi che egli riteneva indispensabili alla difesa: 3 brigate corazzate, 24 batterie controcarro, 3 gruppi di artiglieria contraerea, 6 battaglioni carri armati e autoblindo, 5 autogruppi.. Gli fu risposto di pensare all'ordine interno; alla difesa esterna si sarebbe provveduto successivamente.Nel maggio 1939 il duca d'Aosta divenuto viceré d'Etiopia, presentò un piano delle misure da prendere per raggiungere l'autosufficienza. Il costo era di 4,8 miliardi che furono rifiutati, il duca ritornò sull'argomento con un piano ridotto a un pò meno di un miliardo e mezzo; ne furono concessi 900 che in realtà non saranno assegnati fino all'aprile 1940. Nel febbraio il viceré riunì i governatori generali delle varie regioni per un approfondito esame della situazione in vista del pericolo di guerra e misero in evidenza l'inconsistenza delle forze disponibili per la difesa alle frontiere, una volta provveduto alla repressione della guerriglia interna. Roma si rese conto, della precarietà della situazione e il 6 aprile l'invio di un blocco considerevole di materiale e di personale ma soltanto 24 carri medi, 24 carri leggeri, pochi pezzi di artiglieria e 300 tra ufficiali e specialisti giunsero a destinazione mentre tutto il resto rimase bloccato nel porto di Napoli dall'inizio dello stato di guerra.L'autosufficienza, avrebbe dovuto essere garantita dall'ammasso di scorte adeguate, sufficienti a vivere e combattere per un anno. Il 10 giugno 1940 la situazione era ben lontana da questo livello. Le deficienze maggiori riguardavano la motorizzazione, sia per il limitato numero degli autocarri sia, soprattutto per la crisi nella disponibilità di gomme, corrispondenti appena al fabbisogno di un paio di mesi. Le scorte di carburante erano valutate sufficienti a 6/7 mesi di esercizio salvo naturalmente eventuali distruzioni da parte del nemico. Minori preoccupazioni destava il settore del vestiario e del vettovagliamento. Le munizioni di artiglieria erano accantonate nel quantitativo previsto, quelle per le armi portatili raggiungevano appena la metà del livello prestabilito. Mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro. Le poche mitragliere da 20 disponibili (24 in tutto) erano prive di congegno di puntamento per il tiro contraereo e prive di munizionamento speciale controcarro: soltanto nella primavera del 1941 furono inviati 4.000 colpi, per aereo. L'organizzazione delle forze terrestri era stata adattata fondamentalmente alle esigenze della sicurezza interna. Esistevano soltanto due divisioni di fanteria, di tipo più o meno corrispondenti a quelle della madrepatria. Le operazioni di polizia richiedevano in prevalenza la disponibilità di unità leggere di entità elasticamente variabile in relazione ad obiettivi di volta in volta differenti. Perciò la base dell'organizzazione erano il battaglione e la brigata, composta di un numero vario di battaglioni, tanto per le truppe nazionali quanto per quelle coloniali. Era prevista la riunione occasionale di due o più brigate con congrui rinforzi di artiglieria e di elementi delle altre armi in divisioni di formazione opportunamente dosate in relazione alla natura e alle caratteristiche della particolare operazione da compiere. L'arma corazzata era rappresentata da 24 carri medi da 11 tonnellate 35 carri leggeri da 5 tonnellate e 126 vecchie autoblindo. Tutto l'armamento, dal fucile alla mitragliatrice all'artiglieria era costituito da residuati della prima guerra mondiale.Con le forze regolari collaboravano poi bande irregolari che portavano un prezioso apporto nell'azione di controllo e di repressione della ribellione ma si dimostrarono estremamente infide con il procedere degli eventi fino a passare al nemico nell'ultima parte della campagna. Sola eccezione costituirono gli eritrei che dimostrarono con un generoso contributo di eroismo e di sangue la loro fedeltà all'Italia. Alla vigilia della dichiarazione di guerra tutto il potere, civile e militare, fu accentrato nelle mani del viceré che aveva alla sua diretta dipendenza, i comandanti dei tre scacchieri: nord (generale Frusci), sud (generale Gazzera), est (generale Nasi) e del settore autonomo del Giuba (generale Pesenti. L'aviazione disponeva teoricamente di 325 aeroplani ma in realtà soltanto 183 risultavano disponibili per la linea di volo, con 61 apparecchi di riserva in magazzino e 81 in riparazione. Si trattava di modelli assolutamente superati, destinati a soccombere, nonostante l'impegno dei piloti, nell'incontro con quelli della RAF. Allo scoppio della guerra il comando generale di Addis Abeba ricevette da Roma la seguente direttiva: tutelare all'interno e difendere all'esterno l'integrità del territorio dell'impero. Su questa base chiaramente difensiva era però prevista la preparazione di eventuali operazioni offensive a obiettivo limitato, da realizzare soltanto dietro ordine esplicito di Roma, allo scopo di migliorare la sicurezza della frontiera, nel Sudan, a Gibuti e nella Somalia britannica.Durante il periodo della non belligeranza erano stati compiuti lavori difensivi di modesta entità in corrispondenza dei tratti più vulnerabili della frontiera e, nell'interno, a protezione di posizioni particolarmente delicate e vitali. Lo schieramento era stato effettuato in base al giusto criterio di mantenere in potenza la maggiore possibile massa di manovra, a disposizione dei comandanti di scacchiere e per la riserva generale, nelle mani del viceré. Perciò si era provveduto ad una sottile copertura delle frontiere mentre per la sicurezza all'interno dopo aver destinato un minimo di forze alla funzione di presidio statico locale si faceva assegnamento preminente sull'impiego di colonne mobili.Lo sviluppo della situazione generale dopo il 10 giugno fino alla conclusione dell'armistizio con la Francia, portò a cancellare dalla lista delle possibili operazioni offensive per la rettifica delle zone di confine quelle dirette contro Gibuti. Gli italiani procedettero allora, in primo luogo, all'occupazione di Cassala nel Sudan sudorientale, per assicurarsi il possesso di quell'importante nodo di comunicazioni di primaria importanza nei riguardi di eventuali progetti d'invasione dell'Eritrea. L'obiettivo fu raggiunto il 4 luglio con perdite insignificanti dalle due parti. Rettifiche minori di importanza strettamente locale furono compiute in corrispondenza della frontiera del Kenya. Soltanto successivamente si pensò ad organizzare l'operazione, per l'occupazione della Somalia Britannica che doveva avere inizio a primi dell'agosto 1940.L'Etiopia aveva un territorio che con i suoi 1.250.000 chilometri quadrati di superficie era il più inaccessibile di tutta l'Africa e teoricamente si trattava di un paese facile da difendere contro l'invasore ma la quasi impossibilità di movimento, tranne che sulle pochissime strade principali e la quasi totale mancanza di mezzi di comunicazione combinate con le enormi distanze imponevano severe restrizioni non solo all'esercito invasore ma anche ai difensori.A nord dell'Etiopia si trovava la colonia italiana dell'Eritrea, 120.000 chilometri quadrati di montagne e di desolata terra desertica. Ad est e sud est vi era la Somalia in parte italiana in parte inglese ed in parte francese che comprendeva 800.000 chilometri quadrati quasi completamente privi di risorse. Alla natura del terreno si deve aggiungere l'impreparazione che da entrambe le parti, c'era su questo teatro di guerra. La Gran Bretagna quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, non aveva in Africa Orientale forze capaci di sostenere una campagna. Le formazioni che era stato possibile mettere insieme o reclutare sul posto potevano consentire soltanto all'inizio di pensare alla possibilità di difendere il Kenya la Somalia britannica e il Sudan contro un'invasione italiana e anche questo limitatamente al caso che tale invasione fosse alquanto blanda.Sulla carta gli italiani avevano una soverchiante superiorità numerica ma questa situazione era parzialmente modificata da diversi seri handicap. Le forze britanniche aumentarono sensibilmente nelle varie fasi della campagna. Gli italiani non ricevettero alcun rinforzo, ma comunque le loro forze all'inizio della campagna erano rilevanti. In base agli stessi dati italiani comprendevano: truppe nazionali 91.203 truppe indigene 199.273 totale 290.476 uomini, gli italiani poi, erano tagliati fuori dalla madrepatria senza alcuna possibilità di ricevere rinforzi o complementi di qualsiasi specie e l'Etiopia non aveva né l'economia né le risorse per soddisfare le esigenze di una campagna prolungata.I britannici, il cui servizio informazioni era inadeguato e trascurato non sapevano quanto poco valessero effettivamente le forze italiane. Si doveva tenere conto perciò della possibilità d'una invasione di territori in mano inglese. Gli italiani invasero la Somalia britannica ma nel Sudan limitarono la loro attività alla presa di Cassala, un centro importante a 20 km circa dalla frontiera Eritrea e nel Kenya all'occupazione di Moyale una piccola città di confine. Nei due casi lo scopo era soltanto di privare i britannici di due basi potenziali, di due possibili vie d'accesso all'Africa Orientale italiana.
Seconda Guerra Mondiale. Guerra in Africa Orientale. Parte Prima.
Seconda Guerra Mondiale. Guerra in Africa Orientale. Parte Prima.In considerazione dello stato di ribellione che continuava a mantenersi un pò su tutte le regioni del territorio etiopico, dopo la conclusione delle operazioni di conquista (1935/36) gli italiani erano stati costretti a mantenere in armi forze molto superiori a quelle previste. Nel 1937, vi erano, infatti, 255.000 uomini (135.000 nazionali e 120.000 coloniali) anziché 100.000 (50.000 nazionali e 50.000 coloniali) come stabilito. Nel maggio 1940, alla vigilia della partecipazione italiana al conflitto, vi erano 285.000 uomini, di cui 85.000 nazionali e 200.000 coloniali.Fin dal primo momento era stato stabilito, che in caso di guerra l'Impero avrebbe dovuto provvedere autonomamente alla propria difesa. Il governatore generale era allora il maresciallo Graziani. Il 1° dicembre 1937 Graziani chiese, l'assegnazione delle armi che egli riteneva indispensabili alla difesa: 3 brigate corazzate, 24 batterie controcarro, 3 gruppi di artiglieria contraerea, 6 battaglioni carri armati e autoblindo, 5 autogruppi.. Gli fu risposto di pensare all'ordine interno; alla difesa esterna si sarebbe provveduto successivamente.Nel maggio 1939 il duca d'Aosta divenuto viceré d'Etiopia, presentò un piano delle misure da prendere per raggiungere l'autosufficienza. Il costo era di 4,8 miliardi che furono rifiutati, il duca ritornò sull'argomento con un piano ridotto a un pò meno di un miliardo e mezzo; ne furono concessi 900 che in realtà non saranno assegnati fino all'aprile 1940. Nel febbraio il viceré riunì i governatori generali delle varie regioni per un approfondito esame della situazione in vista del pericolo di guerra e misero in evidenza l'inconsistenza delle forze disponibili per la difesa alle frontiere, una volta provveduto alla repressione della guerriglia interna. Roma si rese conto, della precarietà della situazione e il 6 aprile l'invio di un blocco considerevole di materiale e di personale ma soltanto 24 carri medi, 24 carri leggeri, pochi pezzi di artiglieria e 300 tra ufficiali e specialisti giunsero a destinazione mentre tutto il resto rimase bloccato nel porto di Napoli dall'inizio dello stato di guerra.L'autosufficienza, avrebbe dovuto essere garantita dall'ammasso di scorte adeguate, sufficienti a vivere e combattere per un anno. Il 10 giugno 1940 la situazione era ben lontana da questo livello. Le deficienze maggiori riguardavano la motorizzazione, sia per il limitato numero degli autocarri sia, soprattutto per la crisi nella disponibilità di gomme, corrispondenti appena al fabbisogno di un paio di mesi. Le scorte di carburante erano valutate sufficienti a 6/7 mesi di esercizio salvo naturalmente eventuali distruzioni da parte del nemico. Minori preoccupazioni destava il settore del vestiario e del vettovagliamento. Le munizioni di artiglieria erano accantonate nel quantitativo previsto, quelle per le armi portatili raggiungevano appena la metà del livello prestabilito. Mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro. Le poche mitragliere da 20 disponibili (24 in tutto) erano prive di congegno di puntamento per il tiro contraereo e prive di munizionamento speciale controcarro: soltanto nella primavera del 1941 furono inviati 4.000 colpi, per aereo. L'organizzazione delle forze terrestri era stata adattata fondamentalmente alle esigenze della sicurezza interna. Esistevano soltanto due divisioni di fanteria, di tipo più o meno corrispondenti a quelle della madrepatria. Le operazioni di polizia richiedevano in prevalenza la disponibilità di unità leggere di entità elasticamente variabile in relazione ad obiettivi di volta in volta differenti. Perciò la base dell'organizzazione erano il battaglione e la brigata, composta di un numero vario di battaglioni, tanto per le truppe nazionali quanto per quelle coloniali. Era prevista la riunione occasionale di due o più brigate con congrui rinforzi di artiglieria e di elementi delle altre armi in divisioni di formazione opportunamente dosate in relazione alla natura e alle caratteristiche della particolare operazione da compiere. L'arma corazzata era rappresentata da 24 carri medi da 11 tonnellate 35 carri leggeri da 5 tonnellate e 126 vecchie autoblindo. Tutto l'armamento, dal fucile alla mitragliatrice all'artiglieria era costituito da residuati della prima guerra mondiale.Con le forze regolari collaboravano poi bande irregolari che portavano un prezioso apporto nell'azione di controllo e di repressione della ribellione ma si dimostrarono estremamente infide con il procedere degli eventi fino a passare al nemico nell'ultima parte della campagna. Sola eccezione costituirono gli eritrei che dimostrarono con un generoso contributo di eroismo e di sangue la loro fedeltà all'Italia. Alla vigilia della dichiarazione di guerra tutto il potere, civile e militare, fu accentrato nelle mani del viceré che aveva alla sua diretta dipendenza, i comandanti dei tre scacchieri: nord (generale Frusci), sud (generale Gazzera), est (generale Nasi) e del settore autonomo del Giuba (generale Pesenti. L'aviazione disponeva teoricamente di 325 aeroplani ma in realtà soltanto 183 risultavano disponibili per la linea di volo, con 61 apparecchi di riserva in magazzino e 81 in riparazione. Si trattava di modelli assolutamente superati, destinati a soccombere, nonostante l'impegno dei piloti, nell'incontro con quelli della RAF. Allo scoppio della guerra il comando generale di Addis Abeba ricevette da Roma la seguente direttiva: tutelare all'interno e difendere all'esterno l'integrità del territorio dell'impero. Su questa base chiaramente difensiva era però prevista la preparazione di eventuali operazioni offensive a obiettivo limitato, da realizzare soltanto dietro ordine esplicito di Roma, allo scopo di migliorare la sicurezza della frontiera, nel Sudan, a Gibuti e nella Somalia britannica.Durante il periodo della non belligeranza erano stati compiuti lavori difensivi di modesta entità in corrispondenza dei tratti più vulnerabili della frontiera e, nell'interno, a protezione di posizioni particolarmente delicate e vitali. Lo schieramento era stato effettuato in base al giusto criterio di mantenere in potenza la maggiore possibile massa di manovra, a disposizione dei comandanti di scacchiere e per la riserva generale, nelle mani del viceré. Perciò si era provveduto ad una sottile copertura delle frontiere mentre per la sicurezza all'interno dopo aver destinato un minimo di forze alla funzione di presidio statico locale si faceva assegnamento preminente sull'impiego di colonne mobili.Lo sviluppo della situazione generale dopo il 10 giugno fino alla conclusione dell'armistizio con la Francia, portò a cancellare dalla lista delle possibili operazioni offensive per la rettifica delle zone di confine quelle dirette contro Gibuti. Gli italiani procedettero allora, in primo luogo, all'occupazione di Cassala nel Sudan sudorientale, per assicurarsi il possesso di quell'importante nodo di comunicazioni di primaria importanza nei riguardi di eventuali progetti d'invasione dell'Eritrea. L'obiettivo fu raggiunto il 4 luglio con perdite insignificanti dalle due parti. Rettifiche minori di importanza strettamente locale furono compiute in corrispondenza della frontiera del Kenya. Soltanto successivamente si pensò ad organizzare l'operazione, per l'occupazione della Somalia Britannica che doveva avere inizio a primi dell'agosto 1940.L'Etiopia aveva un territorio che con i suoi 1.250.000 chilometri quadrati di superficie era il più inaccessibile di tutta l'Africa e teoricamente si trattava di un paese facile da difendere contro l'invasore ma la quasi impossibilità di movimento, tranne che sulle pochissime strade principali e la quasi totale mancanza di mezzi di comunicazione combinate con le enormi distanze imponevano severe restrizioni non solo all'esercito invasore ma anche ai difensori.A nord dell'Etiopia si trovava la colonia italiana dell'Eritrea, 120.000 chilometri quadrati di montagne e di desolata terra desertica. Ad est e sud est vi era la Somalia in parte italiana in parte inglese ed in parte francese che comprendeva 800.000 chilometri quadrati quasi completamente privi di risorse. Alla natura del terreno si deve aggiungere l'impreparazione che da entrambe le parti, c'era su questo teatro di guerra. La Gran Bretagna quando l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, non aveva in Africa Orientale forze capaci di sostenere una campagna. Le formazioni che era stato possibile mettere insieme o reclutare sul posto potevano consentire soltanto all'inizio di pensare alla possibilità di difendere il Kenya la Somalia britannica e il Sudan contro un'invasione italiana e anche questo limitatamente al caso che tale invasione fosse alquanto blanda.Sulla carta gli italiani avevano una soverchiante superiorità numerica ma questa situazione era parzialmente modificata da diversi seri handicap. Le forze britanniche aumentarono sensibilmente nelle varie fasi della campagna. Gli italiani non ricevettero alcun rinforzo, ma comunque le loro forze all'inizio della campagna erano rilevanti. In base agli stessi dati italiani comprendevano: truppe nazionali 91.203 truppe indigene 199.273 totale 290.476 uomini, gli italiani poi, erano tagliati fuori dalla madrepatria senza alcuna possibilità di ricevere rinforzi o complementi di qualsiasi specie e l'Etiopia non aveva né l'economia né le risorse per soddisfare le esigenze di una campagna prolungata.I britannici, il cui servizio informazioni era inadeguato e trascurato non sapevano quanto poco valessero effettivamente le forze italiane. Si doveva tenere conto perciò della possibilità d'una invasione di territori in mano inglese. Gli italiani invasero la Somalia britannica ma nel Sudan limitarono la loro attività alla presa di Cassala, un centro importante a 20 km circa dalla frontiera Eritrea e nel Kenya all'occupazione di Moyale una piccola città di confine. Nei due casi lo scopo era soltanto di privare i britannici di due basi potenziali, di due possibili vie d'accesso all'Africa Orientale italiana.