La Strana Storia della Nave ERITREA. L'Ascari di Marina Mohammed Shun Omar.Fonte Testi: www.storiain.netUna nostra unità, intrappolata nella base navale italiana di Massaua (1941), tentadi sfuggire agli inglesi. Missione disperata. Dall'Oceano indiano al GiapponeCOME LA NAVE COLONIALE "ERITREA"GABBÒ LA MARINA BRITANNICAdi ALBERTO ROSSELLINel 1941, alla vigilia della caduta della base navale italiana di Massaua, un'unità tricolore tenta una missione disperata per sfuggire alla cattura da parte delle forze britanniche: raggiungere il lontano Giappone attraversando l'Oceano Indiano e i mari del Sud Est asiatico. Epopea di una nave e del suo coraggioso equipaggio che, attraverso mille insidie, riuscirono a portare a compimento un'impresa che, sia sotto il profilo nautico che militare, ha assunto i connotati di un vero e proprio record.Quando verso la fine di gennaio del 1941 la situazione militare in Africa Orientale Italiana iniziò ad aggravarsi e fu subito chiaro che la grande offensiva scatenata dalle forze britanniche di stanza in Sudan avrebbe prima o poi investito anche la base navale di Massaua (Eritrea), Supermarina attuò alcuni provvedimenti, preventivamente studiati, relativi all'abbandono della base da parte di tutte quelle unità, civili e militari (italiane ma anche di nazionalità tedesca), in grado di raggiungere porti neutrali o amici. Tuttavia, ai responsabili delle forze navali italiane di Massaua (nella fattispecie, l'Ammiraglio Bonetti) fu subito chiaro che il tentativo di sfuggire alla morsa nemica sarebbe riuscito soltanto ad un numero relativamente modesto di unità, cioè a quelle dotate di autonomia e attrezzature sufficienti ad affrontare le traversata che le avrebbe dovute condurre in salvo.Per quanto concerneva la squadra militare, le uniche navi adatte ad intraprendere una così difficile missione (i porti neutrali o amici più vicini erano quelli della colonia francese del Madagascar) risultavano essere la nave coloniale Eritrea e le ex bananiere Ramb I e Ramb II, che erano state recentemente trasformate in incrociatori ausiliari. Dopo avere analizzato tutte le possibili rotte da percorrere, Supermarina decise di fare tentare alle tre unità (che tra tutte erano quelle in migliori condizioni e le uniche armate) la traversata più lunga e difficile: quella che avrebbe dovuto condurle in Estremo Oriente, dove avrebbero potuto trovare rifugio presso i sorgitori controllati dall'alleato giapponese.L'approntamento delle tre unità venne ufficializzato nei primi giorni di febbraio e, per prima cosa, un folto gruppo di tecnici e marinai venne incaricato di iniziare immediatamente i lavori di revisione degli scafi, degli apparati motore e dell'armamento di bordo, nel mentre l'intendenza della base provvedeva a rifornire le navi di tutto l'occorrente (carburante, pezzi di ricambio, munizioni, viveri, acqua potabile e medicinali) per la missione.Delle tre unità quella che per caratteristiche tecniche e belliche e per composizione dell'equipaggio risultava forse la più idonea a svolgere una così lunga missione era l'Eritrea: una nave piuttosto moderna (era entrata in servizio il 28 giugno 1937) destinata a specifici compiti coloniali. Senza nulla togliere alle due Ramb che pur essendo anch'esse dei buoni scafi, non erano state però concepite per svolgere impieghi che includessero azioni belliche. La presenza nel Mar Rosso e in Oceano Indiano di diverse basi militari britanniche e di numerose unità da guerra della Royal Navy, faceva infatti intendere che la missione delle tre navi italiane avrebbe, probabilmente, comportato l'incontro e lo scontro con il nemico: eventualità che si sarebbe trasformata in una autentica iattura per i piroscafi civili Ramb che poco avrebbero potuto fare contro navi militari britanniche.L'Eritrea, dal canto suo, non era certo una nave da guerra temibilissima, ma proprio per le sue caratteristiche "militari" avrebbe potuto, in ogni caso, cavarsela meglio. Ovviamente, solo nel caso di un suo incontro con unità sottili nemiche. L'armamento dell'Eritrea risultava, infatti, sufficiente a controbattere la potenza di fuoco di un dragamine, di una torpediniera o, al massimo, di un caccia. Valutate tutte le soluzioni atte a dare il massimo dell'efficienza tecnica e operativa alla nave, l'ammiraglio Bonetti lavorò affinché l'equipaggio ad essa destinato fosse scelto con grande cura, affidando il comando dell'unità ad un ufficiale di vagliata esperienza: il capitano di fregata Marino Iannucci che alla fine di gennaio era stato fatto venire appositamente dall'Italia a bordo di un trimotore speciale Savoia Marchetti SM75 a lunga autonomia.LA NAVE COLONIALE "ERITREA"La nave coloniale Eritrea era, come si è detto, un'unità piuttosto moderna e ben riuscita. Impostata il 25 luglio 1935 nel cantiere di Castellamare di Stabia, essa venne varata il 20 settembre dell'anno seguente, entrando poi in servizio il 28 giugno 1937. La nave misurava 96,90 metri, era larga 13,32 metri e aveva un'immersione di 4,73 metri. Lo scafo dislocava 3.117 tonnellate ed era dotato di 2 motori diesel da 7.800 cavalli più 2 propulsori elettrici da 1.300 cavalli, che consentivano una velocità massima (diesel) di 20 nodi e una (elettrica) di 11. L'autonomia dell' Eritrea era di 6.950 miglia marine ad 11,8 nodi di velocità (diesel). E l'armamento di bordo era composto da 4 cannoni da 120 millimetri (su due torrette binate, prodiera e poppiera, parzialmente scudate), da 2 cannoncini semiautomatici da 40 mm. antiaerei e da 2 mitragliere da 13,2 mm. antiaeree. L'equipaggio della nave era formato da 13 ufficiali e 221 marinai.GIAPPONE E GERMANIA LESINANO LA LORO COLLABORAZIONEPrima di addentrarci nel racconto della missione dell'Eritrea, è opportuno fare il quadro della situazione politico-militare del periodo, in stretta relazione con gli avvenimenti concomitanti e con l'atteggiamento diplomatico del Giappone, nazione alla quale il Governo italiano aveva chiesto la necessaria collaborazione per la riuscita della missione dell'Eritrea e delle Ramb I e Ramb II. In un primo momento (nell'autunno del 1940), la disponibilità a cooperare da parte di Tokyo era apparsa ai vertici di Supermarina (organo al quale spettava, ovviamente, il coordinamento di tutte le operazioni coinvolgenti le unità italiane) quasi certa.Tuttavia, dopo qualche mese (tra il febbraio e il marzo 1941), il governo dell'alleato nipponico decise di fare un passo indietro, costringendo il Comando della Regia a modificare improvvisamente alcuni dettagli inerenti all'operazione combinata delle tre unità. Nella fattispecie, quando gli addetti militari giapponesi a Roma vennero a sapere che era intenzione di Supermarina non soltanto fare fuggire le sue navi dislocate a Massaua in direzione del Far East, ma fare compiere ad esse, durante la traversata, azioni di guerra nei confronti di isolati piroscafi britannici, Tokyo comunicò subito la sua totale disapprovazione, minacciando di ritirare ogni promessa fatta in precedenza.Per questa ragione, l'11 marzo del '41, cioè ben più tardi della partenza delle tre navi da Massaua (in quella data l'Eritrea e la Ramb II si trovavano in procinto di passare dall'Oceano Indiano al Mar delle Molucche, mentre la Ramb I - comandata dal tenente di vascello Bonezzi -giaceva già in fondo al mare essendo stata intercettata e affondata da un incrociatore britannico Leader ad ovest delle Maldive il 27 febbraio), Supermarina dovette comunicare ai comandanti delle due unità superstiti (la Ramb II era comandata dal tenente di vascello Mazzella) di astenersi tassativamente da qualsiasi azione offensiva.Contrordine che venne impartito per due precisi motivi: l'assoluta volontà manifestata dal Giappone di non inimicarsi l'Inghilterra e gli Stati Uniti e la presenza in Oceano Indiano di navi corsare tedesche che già da tempo si appoggiavano, più o meno segretamente, a basi nipponiche del Pacifico. Nella circostanza, fu anche l'atteggiamento, altrettanto palesemente contrario, dell'Ammiragliato germanico (che temeva un'intrusione di unità italiane, peraltro bellicamente poco efficienti, nelle aree battute dai propri efficientissimi "corsari") a fare desistere Supermarina dai suoi progetti offensivi. A questo proposito, va ricordato che, ai primi di marzo del '41, il responsabile dell'ufficio Collegamento della Kriegsmarine di Roma, ammiraglio Weichold, aveva messo in guardia Supermarina circa "l'inopportunità diplomatica e tecnica di una disposizione - quella di affidare all'Eritrea e alle due Ramb il compito di effettuare 'guerra di corsa' in Oceano Indiano o in Oceano Pacifico - che avrebbe potuto incrinare seriamente i rapporti tra Germania, Italia e Giappone": un consiglio, quello dell'ammiraglio tedesco, che assumeva, per il tono e la sostanza, i connotati di un vero e proprio ordine che il Comando della Regia (già fortemente dipendente nei confronti della Germania per le forniture di nafta) non ebbe la forza di ignorare.UN VIAGGIO DI SOLA ANDATAL'Eritrea lascia la base di Massaua all'imbrunire del 18 febbraio, e la sera seguente supera agevolmente lo stretto di Bab el Mandeb, sfuggendo alla ricognizione aerea inglese di base ad Aden. Il 22, quando la nave si trova a circa 250 miglia dalla costa somala, il comandante Marino Iannucci è costretto ad ordinare il "posto di combattimento" per l'avvistamento di un'unità sconosciuta, individuata ad una distanza di circa 30 chilometri. Passato un quarto d'ora, il comandante ha più chiara la situazione, distinguendo con il binocolo alcune caratteristiche della nave che si rivela essere un grosso incrociatore ausiliario inglese da 12/14.000 tonnellate, presumibilmente armato con più pezzi da 152 millimetri.Fortunatamente, l'unità inglese (dopo avere, a sua volta, avvistato l'Eritrea) effettua un'improvvisa manovra di allontanamento, dando la chiara impressione di volere evitare lo scontro. Il comportamento del nemico agevola Iannucci che fa subito accostare a dritta l'Eritrea, favorendo l'allontanamento. L'equipaggio italiano tira un sospiro di sollievo. Tuttavia, alle 19,23 del giorno successivo le vedette dell'Eritrea avvistano, al largo dell'Isola di Socotra, un altro piroscafo che viaggia a fanali spenti. Gli uomini tornano ai loro posti di combattimento. La sensazione di Iannucci è infatti quella di trovarsi di fronte ad un "avviso scorta" della classe Pathan.Giunto ad una distanza di 6.000 metri, il comandante italiano accosta e cerca di allontanarsi, ma si accorge che la nave nemica non intende abbandonare il contatto visivo, forse per fare accorrere sul posto altre unità da guerra. Iannucci sa bene che in quel quadrante di Oceano sono frequenti i convogli scortati britannici operativi lungo le rotte Socotra-Mahè e Mombasa-Bombay. Il rischio di essere intercettati da preponderanti forze nemiche è quindi molto alto. La tensione a bordo sale. Gli artiglieri, in posizione ai loro pezzi da 120 e anche le mitragliere da 40 e quelle da 13,2 sono pronti al tiro. Le vedette scrutano l'orizzonte, ma la visibilità è molto bassa a causa dell'oscurità.Sulla plancia, accanto ad alcuni marinai fa la guardia anche un personaggio decisamente strano, un ascaro eritreo quarantenne di nome Mohammed Shun Omar; un uomo alto, magro e con il turbante bianco in testa. Egli è l'unico elemento di colore imbarcato sull'Eritrea. Mohammed viene più volte consultato dai suoi compagni.
La Strana Storia della Nave ERITREA. L'Ascari di Marina Mohammed Shun Omar.
La Strana Storia della Nave ERITREA. L'Ascari di Marina Mohammed Shun Omar.Fonte Testi: www.storiain.netUna nostra unità, intrappolata nella base navale italiana di Massaua (1941), tentadi sfuggire agli inglesi. Missione disperata. Dall'Oceano indiano al GiapponeCOME LA NAVE COLONIALE "ERITREA"GABBÒ LA MARINA BRITANNICAdi ALBERTO ROSSELLINel 1941, alla vigilia della caduta della base navale italiana di Massaua, un'unità tricolore tenta una missione disperata per sfuggire alla cattura da parte delle forze britanniche: raggiungere il lontano Giappone attraversando l'Oceano Indiano e i mari del Sud Est asiatico. Epopea di una nave e del suo coraggioso equipaggio che, attraverso mille insidie, riuscirono a portare a compimento un'impresa che, sia sotto il profilo nautico che militare, ha assunto i connotati di un vero e proprio record.Quando verso la fine di gennaio del 1941 la situazione militare in Africa Orientale Italiana iniziò ad aggravarsi e fu subito chiaro che la grande offensiva scatenata dalle forze britanniche di stanza in Sudan avrebbe prima o poi investito anche la base navale di Massaua (Eritrea), Supermarina attuò alcuni provvedimenti, preventivamente studiati, relativi all'abbandono della base da parte di tutte quelle unità, civili e militari (italiane ma anche di nazionalità tedesca), in grado di raggiungere porti neutrali o amici. Tuttavia, ai responsabili delle forze navali italiane di Massaua (nella fattispecie, l'Ammiraglio Bonetti) fu subito chiaro che il tentativo di sfuggire alla morsa nemica sarebbe riuscito soltanto ad un numero relativamente modesto di unità, cioè a quelle dotate di autonomia e attrezzature sufficienti ad affrontare le traversata che le avrebbe dovute condurre in salvo.Per quanto concerneva la squadra militare, le uniche navi adatte ad intraprendere una così difficile missione (i porti neutrali o amici più vicini erano quelli della colonia francese del Madagascar) risultavano essere la nave coloniale Eritrea e le ex bananiere Ramb I e Ramb II, che erano state recentemente trasformate in incrociatori ausiliari. Dopo avere analizzato tutte le possibili rotte da percorrere, Supermarina decise di fare tentare alle tre unità (che tra tutte erano quelle in migliori condizioni e le uniche armate) la traversata più lunga e difficile: quella che avrebbe dovuto condurle in Estremo Oriente, dove avrebbero potuto trovare rifugio presso i sorgitori controllati dall'alleato giapponese.L'approntamento delle tre unità venne ufficializzato nei primi giorni di febbraio e, per prima cosa, un folto gruppo di tecnici e marinai venne incaricato di iniziare immediatamente i lavori di revisione degli scafi, degli apparati motore e dell'armamento di bordo, nel mentre l'intendenza della base provvedeva a rifornire le navi di tutto l'occorrente (carburante, pezzi di ricambio, munizioni, viveri, acqua potabile e medicinali) per la missione.Delle tre unità quella che per caratteristiche tecniche e belliche e per composizione dell'equipaggio risultava forse la più idonea a svolgere una così lunga missione era l'Eritrea: una nave piuttosto moderna (era entrata in servizio il 28 giugno 1937) destinata a specifici compiti coloniali. Senza nulla togliere alle due Ramb che pur essendo anch'esse dei buoni scafi, non erano state però concepite per svolgere impieghi che includessero azioni belliche. La presenza nel Mar Rosso e in Oceano Indiano di diverse basi militari britanniche e di numerose unità da guerra della Royal Navy, faceva infatti intendere che la missione delle tre navi italiane avrebbe, probabilmente, comportato l'incontro e lo scontro con il nemico: eventualità che si sarebbe trasformata in una autentica iattura per i piroscafi civili Ramb che poco avrebbero potuto fare contro navi militari britanniche.L'Eritrea, dal canto suo, non era certo una nave da guerra temibilissima, ma proprio per le sue caratteristiche "militari" avrebbe potuto, in ogni caso, cavarsela meglio. Ovviamente, solo nel caso di un suo incontro con unità sottili nemiche. L'armamento dell'Eritrea risultava, infatti, sufficiente a controbattere la potenza di fuoco di un dragamine, di una torpediniera o, al massimo, di un caccia. Valutate tutte le soluzioni atte a dare il massimo dell'efficienza tecnica e operativa alla nave, l'ammiraglio Bonetti lavorò affinché l'equipaggio ad essa destinato fosse scelto con grande cura, affidando il comando dell'unità ad un ufficiale di vagliata esperienza: il capitano di fregata Marino Iannucci che alla fine di gennaio era stato fatto venire appositamente dall'Italia a bordo di un trimotore speciale Savoia Marchetti SM75 a lunga autonomia.LA NAVE COLONIALE "ERITREA"La nave coloniale Eritrea era, come si è detto, un'unità piuttosto moderna e ben riuscita. Impostata il 25 luglio 1935 nel cantiere di Castellamare di Stabia, essa venne varata il 20 settembre dell'anno seguente, entrando poi in servizio il 28 giugno 1937. La nave misurava 96,90 metri, era larga 13,32 metri e aveva un'immersione di 4,73 metri. Lo scafo dislocava 3.117 tonnellate ed era dotato di 2 motori diesel da 7.800 cavalli più 2 propulsori elettrici da 1.300 cavalli, che consentivano una velocità massima (diesel) di 20 nodi e una (elettrica) di 11. L'autonomia dell' Eritrea era di 6.950 miglia marine ad 11,8 nodi di velocità (diesel). E l'armamento di bordo era composto da 4 cannoni da 120 millimetri (su due torrette binate, prodiera e poppiera, parzialmente scudate), da 2 cannoncini semiautomatici da 40 mm. antiaerei e da 2 mitragliere da 13,2 mm. antiaeree. L'equipaggio della nave era formato da 13 ufficiali e 221 marinai.GIAPPONE E GERMANIA LESINANO LA LORO COLLABORAZIONEPrima di addentrarci nel racconto della missione dell'Eritrea, è opportuno fare il quadro della situazione politico-militare del periodo, in stretta relazione con gli avvenimenti concomitanti e con l'atteggiamento diplomatico del Giappone, nazione alla quale il Governo italiano aveva chiesto la necessaria collaborazione per la riuscita della missione dell'Eritrea e delle Ramb I e Ramb II. In un primo momento (nell'autunno del 1940), la disponibilità a cooperare da parte di Tokyo era apparsa ai vertici di Supermarina (organo al quale spettava, ovviamente, il coordinamento di tutte le operazioni coinvolgenti le unità italiane) quasi certa.Tuttavia, dopo qualche mese (tra il febbraio e il marzo 1941), il governo dell'alleato nipponico decise di fare un passo indietro, costringendo il Comando della Regia a modificare improvvisamente alcuni dettagli inerenti all'operazione combinata delle tre unità. Nella fattispecie, quando gli addetti militari giapponesi a Roma vennero a sapere che era intenzione di Supermarina non soltanto fare fuggire le sue navi dislocate a Massaua in direzione del Far East, ma fare compiere ad esse, durante la traversata, azioni di guerra nei confronti di isolati piroscafi britannici, Tokyo comunicò subito la sua totale disapprovazione, minacciando di ritirare ogni promessa fatta in precedenza.Per questa ragione, l'11 marzo del '41, cioè ben più tardi della partenza delle tre navi da Massaua (in quella data l'Eritrea e la Ramb II si trovavano in procinto di passare dall'Oceano Indiano al Mar delle Molucche, mentre la Ramb I - comandata dal tenente di vascello Bonezzi -giaceva già in fondo al mare essendo stata intercettata e affondata da un incrociatore britannico Leader ad ovest delle Maldive il 27 febbraio), Supermarina dovette comunicare ai comandanti delle due unità superstiti (la Ramb II era comandata dal tenente di vascello Mazzella) di astenersi tassativamente da qualsiasi azione offensiva.Contrordine che venne impartito per due precisi motivi: l'assoluta volontà manifestata dal Giappone di non inimicarsi l'Inghilterra e gli Stati Uniti e la presenza in Oceano Indiano di navi corsare tedesche che già da tempo si appoggiavano, più o meno segretamente, a basi nipponiche del Pacifico. Nella circostanza, fu anche l'atteggiamento, altrettanto palesemente contrario, dell'Ammiragliato germanico (che temeva un'intrusione di unità italiane, peraltro bellicamente poco efficienti, nelle aree battute dai propri efficientissimi "corsari") a fare desistere Supermarina dai suoi progetti offensivi. A questo proposito, va ricordato che, ai primi di marzo del '41, il responsabile dell'ufficio Collegamento della Kriegsmarine di Roma, ammiraglio Weichold, aveva messo in guardia Supermarina circa "l'inopportunità diplomatica e tecnica di una disposizione - quella di affidare all'Eritrea e alle due Ramb il compito di effettuare 'guerra di corsa' in Oceano Indiano o in Oceano Pacifico - che avrebbe potuto incrinare seriamente i rapporti tra Germania, Italia e Giappone": un consiglio, quello dell'ammiraglio tedesco, che assumeva, per il tono e la sostanza, i connotati di un vero e proprio ordine che il Comando della Regia (già fortemente dipendente nei confronti della Germania per le forniture di nafta) non ebbe la forza di ignorare.UN VIAGGIO DI SOLA ANDATAL'Eritrea lascia la base di Massaua all'imbrunire del 18 febbraio, e la sera seguente supera agevolmente lo stretto di Bab el Mandeb, sfuggendo alla ricognizione aerea inglese di base ad Aden. Il 22, quando la nave si trova a circa 250 miglia dalla costa somala, il comandante Marino Iannucci è costretto ad ordinare il "posto di combattimento" per l'avvistamento di un'unità sconosciuta, individuata ad una distanza di circa 30 chilometri. Passato un quarto d'ora, il comandante ha più chiara la situazione, distinguendo con il binocolo alcune caratteristiche della nave che si rivela essere un grosso incrociatore ausiliario inglese da 12/14.000 tonnellate, presumibilmente armato con più pezzi da 152 millimetri.Fortunatamente, l'unità inglese (dopo avere, a sua volta, avvistato l'Eritrea) effettua un'improvvisa manovra di allontanamento, dando la chiara impressione di volere evitare lo scontro. Il comportamento del nemico agevola Iannucci che fa subito accostare a dritta l'Eritrea, favorendo l'allontanamento. L'equipaggio italiano tira un sospiro di sollievo. Tuttavia, alle 19,23 del giorno successivo le vedette dell'Eritrea avvistano, al largo dell'Isola di Socotra, un altro piroscafo che viaggia a fanali spenti. Gli uomini tornano ai loro posti di combattimento. La sensazione di Iannucci è infatti quella di trovarsi di fronte ad un "avviso scorta" della classe Pathan.Giunto ad una distanza di 6.000 metri, il comandante italiano accosta e cerca di allontanarsi, ma si accorge che la nave nemica non intende abbandonare il contatto visivo, forse per fare accorrere sul posto altre unità da guerra. Iannucci sa bene che in quel quadrante di Oceano sono frequenti i convogli scortati britannici operativi lungo le rotte Socotra-Mahè e Mombasa-Bombay. Il rischio di essere intercettati da preponderanti forze nemiche è quindi molto alto. La tensione a bordo sale. Gli artiglieri, in posizione ai loro pezzi da 120 e anche le mitragliere da 40 e quelle da 13,2 sono pronti al tiro. Le vedette scrutano l'orizzonte, ma la visibilità è molto bassa a causa dell'oscurità.Sulla plancia, accanto ad alcuni marinai fa la guardia anche un personaggio decisamente strano, un ascaro eritreo quarantenne di nome Mohammed Shun Omar; un uomo alto, magro e con il turbante bianco in testa. Egli è l'unico elemento di colore imbarcato sull'Eritrea. Mohammed viene più volte consultato dai suoi compagni.