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Giuseppe Galliano (Vicoforte, 27 settembre 1846 – Adua, 1° marzo 1896)


Giuseppe GallianoTesto tratto da: WikipediaGiuseppe Galliano (Vicoforte, 27 settembre 1846 – Adua, 1° marzo 1896) è stato un militare italiano.Fu un tenente colonnello del Regio Esercito Italiano, che si segnalò per la sua perizia e maestria nell'arte militare durante la campagna d'Africa nelle battaglie di Agordat e di Coatit, divenne famoso per la strenua difesa del forte di Macallè, per poi perire nella battaglia di Adua, dimostrando spirito di sacrificio e attaccamento al dovere.* 1 Carriera militare* 2 La campagna d'Africa 2.1 Battaglia di Agordat 2.2 Battaglia di Coatit 2.3 Difesa del forte di Macallè 2.4 La battaglia di Adua* 3 Onorificenze* 4 Note* 5 Collegamenti esterniCarriera militare Figlio di un ufficiale che nel 1821 fu compagno di Santorre di Santarosa nei moti costituzionali in Piemonte, entrato nel Collegio Militare di Asti il 24 ottobre 1854, il giovanissimo Giuseppe passò nel 1864 alla Scuola Militare, dalla quale due anni dopo veniva dimesso col grado di sottotenente nell'arma di Fanteria, ed assegnato al 24° Reggimento Como col quale partecipò alla guerra contro l'Austria del 1866. Nel 1870 fu promosso luogotenente e nel 1873 ottenne di essere trasferito nel nuovissimo corpo degli Alpini costituitosi l'anno prima: vi rimase fino al 19 luglio 1883 quando, con la promozione a capitano, venne destinato a l58° Reggimento Fanteria Abruzzi. Nel 1884 passò all' 82° Reggimento Fanteria a Torino ed il 6 novembre 1887 partì per l'Eritrea col Corpo di Spedizione comandato dal generale Asinari di San Marzano, con l'intento di vendicare l'eccidio di Dogali, ma, essendosi gli abissini «dileguati qual nebbia al sole» dinanzi alle imponenti forze italiane, il Corpo, nella primavera dell'anno dopo, venne sciolto e rimpatriato. Il 10 marzo 1888 il capitano Galliano faceva ritorno al suo 82° Reggimento Fanteria di Torino per rimanervi soltanto due anni, in quanto nel 1890, in seguito a sue ripetute domande, ottenne di essere nuovamente inviato in Eritrea, terra dalla quale ottenne gloria, onori e fama, ma che si impossessò della sua stessa vita, impedendogli di poter tornare in Italia.
La campagna d'Africa Battaglia di Agordat Nella battaglia di Agordat del 1893 il capitano Giuseppe Galliano comandava un Battaglione Indigeni Eritrei, nonché una batteria di artiglieria da montagna servita da sudanesi. Dapprima le sorti della battaglia furono favorevoli alle truppe di Galliano ma, successivamente, i Dervisci, incuorati ed infervorati dai loro capi militari e religiosi, le incalzarono tentando di aggirarle. Vani furono gli sforzi di Galliano per arginare la loro offensiva sicché fu costretto ad ordinare la ritirata abbandonando i pezzi, poiché tutti i muletti erano rimasti uccisi. Nel ripiegamento per scaglioni Galliano, col suo esempio costante di coraggio, supremo senso del dovere e gran calma, in un frangente così delicato seppe mantenere la disciplina e l'ordine, infondendo fiducia nei suoi fedeli ascari e così quando lo ritenne opportuno ordinò un violento contrattacco alla baionetta, che guidò egli stesso a cavallo in primissima linea. In breve i Dervisci furono scompaginati e volti in fuga disordinata e i pezzi poterono essere ripresi. Il bottino in armi, munizioni ed insegne fu abbondante e si trova oggi depositato nel Museo di Artiglieria di Torino. Tra le bandiere si ammira il celebre stendardo verde, che per i Dervisci fu una delle più dolorose ed avvilenti perdite. Alla notizia che il Re Umberto I gli aveva assegnata la Medaglia d'Oro al Valor Militare, il capitano Galliano scrisse così al fratello: «una sola cosa disturba la mia gioia per tanta onorificenza, ed è che si discosta troppo da quella data ai miei ufficiali che me l' hanno guadagnata e per i quali il Ministero non fu largo come per me». Galliano si distinse soprattutto per la sua abilità nell'istruire e costituire in saldi ed omogenei reparti gli indigeni. A lui si deve l'avere dotato quel 3° Battaglione Indigeni Eritrei di tradizioni guerriere sicché ancor oggi le genti dell'Eritrea lo ricordano col nome del eroico comandante più che con quello di cremisi, datogli per il colore della fascia sulla vita e del fiocco del tarbusch dei suoi ascari. Il suo valore, abilità e capacità di comandante del prode capitano si evidenziarono soprattutto nei numerosi scontri in cui ebbe a trovarsi, coi suoi fedelissimi ascari.Battaglia di CoatitNel gennaio del 1895 iniziò la battaglia di Coatit tra le truppe italiane e quelle guidate dal Ras Mangascià, governatore del Tigrai, il quale venne sconfitto e fu costretto a rifugiarsi presso Senafè, dove però venne raggiunto dalle truppe italiane; un proiettile percorse la sua tenda e, in preda al panico, iniziò a fuggire. Gran parte del merito in questa meritevole operazione la ebbe Giuseppe Galliano, promosso maggiore per meriti di guerra dopo Agordat, che combatté con i suoi ascari. L'azione gli fece guadagnare una Medaglia d'Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: «Inviato con tre delle sue compagnie ad arrestare l'urto della colonna aggirante nemica, riuscì, nonostante la superiorità numerica dei tigrini, le difficoltà del terreno e le gravi perdite subite, a coprire le strade per cui doveva sfilare il corpo operante, rendendo così possibile di occupare saldamente la posizione di Coatit e di respingere il nemico su tutta la fronte. Nel pomeriggio del 13 e per tutto il 14 gennaio concorse a difendere il centro e la destra delle nostre truppe, respingendo sempre gli incessanti attacchi del nemico». Sempre per tale sua valorosa azione ebbe in premio anche la Croce di Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per motu proprio del Sovrano.Difesa del forte di Macallè Nell’autunno 1895 tutta la regione del Tigrai poteva dirsi occupata, così il governatore della Colonia Eritrea, il generale Oreste Baratieri poteva così ritornare a Massaua. Tuttavia, trascorse poche settimane, fu lo stesso Negus Menelik II a mettersi sul piede di guerra denunciando l’indebita occupazione italiana del Tigrai, territorio che il Trattato di Uccialli assegnava all’Etiopia. Fatte ingenti provviste di viveri, bestiame, armi e munizioni, Menelik II mise insieme una forza immensa per marciare contro la colonna italiana. Ai primi di dicembre l’esercito abissino poteva vantare ben 100.000 uomini, mentre le forze italiane, enormemente inferiori, erano state a loro volta suddivise in due contingenti: 5.000 uomini erano di stanza ad Adigrat ed altrettanti a Macallè, guidati dal generale Giuseppe Arimondi. Quest'ultimo avrebbe voluto avanzare in sostegno del maggiore Pietro Toselli che si trovava isolato con la sua compagnia sull'altipiano dell'Amba Alagi nella posizione più avanzata e che per primo, perciò, sarebbe giunto a contatto col nemico. Tuttavia il governatore Baratieri telegrafò che fosse mantenuto il presidio su Macallè e vietò al generale Arimondi di muoversi, permettendo agli abissini un facile eccidio nei confronti dei circa 2000 soldati ai comandi del maggiore Toselli che morirono tutti eroicamente il 7 dicembre. Arimondi, che era avanzato sino ad Aderà, a 20km dall’ Amba Alagi, non poté fare altro che raccogliere i pochi superstiti per ripiegare su Adigrat, lasciando nel forte di Enda Jesus presso Macallè il maggiore Giuseppe Galliano con 1.300 uomini. L’esercito del Negus iniziava l’assedio del forte. Galliano resistette per oltre due mesi agli attacchi continui degli oltre 100.000 armati abissini. L'esiguo presidio di circa 1500 uomini non si arrese a malgrado le gravissime perdite subite, soprattutto per le malattie. Contemporaneamente all’assedio procedevano le trattative di pace che culminarono il 17 gennaio 1896 quando Menelik II offrì la cessazione delle ostilità chiedendo come contropartita la cancellazione del Trattato di Uccialli. In cambio egli prometteva di liberare dall’assedio gli italiani rinchiusi nel forte di Macallè. Ma il governo italiano, pur esigendo la liberazione degli assediati di Macallè, rimase fermo nella richiesta del rinnovo del Trattato di Uccialli. Allorquando Galliano era sul punto di sacrificarsi per mancanza di munizioni, di viveri e di acqua facendo saltare in aria il forte per mezzo di una formidabile mina, l'assedio venne sciolto grazie alla diplomazia messa in atto dal governatore Baratieri. Galliano con le sue truppe lasciò il forte a bandiere spiegate e con le armi sfilando dinnanzi agli attoniti abissini, ammirati di tanto valore ed audacia. Dopo molti giorni di trepidante attesa Galliano con tutti i suoi fece ritorno tra le forze italiane che andavano ammassandosi al confine eritreo col Tigrè. Per l'eroica difesa dei forte di Enda Jesus (poi denominato in suo onore "Forte Galliano") di cui egli comandava il presidio, ebbe un'altra Medaglia d'Argento al Valor Militare e la promozione per merito di guerra a tenente colonnello, che avvenne nel gennaio del 1896.La battaglia di Adua Negli ultimi giorni di febbraio, per l'esercito italiano le vettovaglie erano talmente ridotte da non poter bastare che per pochi giorni ancora. S’imponeva perciò la necessità di ritirarsi oppure di tentare, con un’avanzata su Adua, di aprirsi la via più breve di rifornimento per i magazzini di Adi Ugri e di Asmara. Baratieri era più favorevole alla ritirata ma, sentito nella sera tra il 28 e 29 febbraio il parere degli altri generali che all’unanimità propendevano per l’attacco, decise infine di affrontare il nemico coi suoi 15.000 uomini contro gli oltre 120.000 di Menelik II. Nella notte tra il 29 febbraio e il 1º marzo il generale Baratieri decise di avanzare. L’idea era quella di attirare l’esercito di Menelik, o almeno la sua retroguardia, in uno strenuo combattimento che l’avrebbe visto inevitabilmente capitolare. Fu indotto a compiere questa manovra rischiosa, pur di ingaggiare battaglia, a seguito del telegramma che il Capo del Governo Francesco Crispi gli aveva inviato in data 25 febbraio: «Cotesta è una tisi militare, non una guerra». Alle ore 21.00 del 29 febbraio l’esercito si mosse su tre colonne: alla destra marciava la colonna guidata dal generale Vittorio Dabormida (2.500 uomini), al centro quella del generale Giuseppe Arimondi (2.500 uomini anch’essa), alla quale fu assegnato anche il tenente colonnello Galliano, e alla sinistra quella del generale Matteo Albertone (4.000 uomini). Galliano si ritrovò a combattere sul Monte Rajo, dove, cercando strenuamente di proteggere l'ala sinistra della brigata di Arimondi sbarrando il campo agli abissini, cadde combattendo fino all'ultimo con la quasi totalità dei suoi ascari che lo idolatravano e che non lo vollero abbandonato in quel suo supremo sacrificio. Per la sua condotta eroica durante la battaglia di Adua fu conferita postuma a Galliano una seconda Medaglia d'Oro al Valor Militare. Galliano, che è il primo alpino decorato con l'aureo segno, è anche il primo ufficiale fregiato di due Medaglie d'Oro al Valor Militare, rompendo così la tradizione e la consuetudine fino a quell'epoca invalsa che non si potessero assegnare due Medaglie d'Oro ad una stessa persona.
Italia. Ceva. Cuneo. Monumento alla Memoria di Giuseppe Galliano. Click to enlarge.- OnorificenzeCavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro«"motu proprio" del Sovrano» 1896Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Corona d'ItaliaValor militare silver medal BAR.svg - nastrino per uniforme ordinariaValor militare silver medal BAR.svg«Per i combattimenti di Coatit poi di Makallè» 1893Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro al valor militare«Decisiva vittoria sui Dervisci»Agordat (Eritrea), dicembre 1893Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al valor militare«Per l'eroica difesa dei forte di Enda Jesus (Macallè)» 1896Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro al valor militare«Impegnatosi col suo battaglione sul Monte Rajo, nel momento più critico della lotta, combatté valorosamente. Quando le sorti della pugna precipitarono, perdurò nella resistenza con pochi rimastogli a fianco, quantunque già ferito, e col moschetto alla mano, incitando gli altri a finir bene, si difese disperatamente finché fu ucciso» Adua (Etiopia), 1 marzo 1896