Guerra d'EtiopiaLa battaglia di MAI CEU. 31 marzo 1936...... Il 21 marzo il negus assunse personalmente il comando dell’esercito e mosse incontro agli italiani.Le truppe di cui disponeva l’imperatore erano la Guardia, la Kebur Zabagnà, organizzata su sei battaglioni, ben equipaggiata e dotata di armi di produzione europea , molte delle quali vendute dalla Germania di Hitler , e tra le altre unità minori, risultato della raschiatura del barile, l’armata dei ministeri, forte di 11.000 uomini equipaggiati all’europea, arruolati tra gli impiegati statali .Fu proprio quest’unità ad esser mandata all’attacco contro gli ascari a Mai Ceu, comportandosi sufficientemente bene.In totale il negus poteva disporre di oltre trentamila uomini, che salirono a settantasettemila con cinquanta cannoni e millesettecento mitragliatrici alla vigilia della battaglia decisiva quando all’armata dell’imperatore si unirono le forze dei vari ras in ritirata dal Tigrai.Qualche chilometro a sud del passo Alagi il I° Corpo d’Armata e il Corpo d’Armata eritreo si erano attestati lungo una linea facente perno sul villaggio di Mai Ceu, nella regione dell’Ascianghi, agli inizi dell’altipiano etiopico.Badoglio stava preparando un’azione offensiva, che avrebbe dovuto aver luogo il sei aprile, quando le divisioni italiane si fossero radunate .Si riteneva, infatti, che le forze di Selassiè si sarebbero radunate lungo la cosiddetta strada imperiale, probabilmente nella zona di Dessiè, e lì si sarebbero attestate a difesa per sbarrare agli italiani la via d’Addis Abeba .Ciò che preoccupava il Comando Superiore non era lo scontro con il nemico, ma che il negus potesse sganciarsi evitando di ingaggiare una battaglia decisiva.Tuttavia giunsero notizie che l’armata del negus aveva attraversato il passo di Agumbertà, a sud dello schieramento italiano.Badoglio, che temeva che l’imperatore sfuggisse il combattimento, ne fu lieto, scrivendo a Mussolini che la sorte di Haile Selassiè,Sia che attaccasse, sia che attendesse il mio attacco, era ormai decisa: egli sarebbe stato completamente battutoIl negus perse tempo- del resto era un politico anche spietato, ma non un soldato- e dal 24, com’era previsto inizialmente, l’azione venne rinviata al 28, poi al 31 marzo: ciò che consentì agli italiani di rinforzare le proprie posizioni erigendo muretti a secco, e di far passare definitivamente dalla propria parte gli Azebò Galla.I guerrieri Galla erano costituiti in bande di forza e costituzione variabile al comando dei propri capi feudali, ed armate, all’inizio di marzo, con circa tremila fucili , ed avevano scatenata una durissima guerriglia nelle retrovie abissine contro gli odiati dominatori ahmara, insidiando gli accampamenti, attaccando le truppe isolate e quelle in ritirata. Con tali audaci incursioni gli Azebò Galla avevano catturato sei o settemila fucili, e tenevano sotto il proprio controllo la regione da Corbettà a Ualdià.Come altri popoli dell’impero, i Galla considerarono, a torto o a ragione, la guerra del 1935- 36 una lotta di liberazione ed un’occasione di vendetta contro gli invasori cristianiSi tralascia troppo spesso il ruolo della guerriglia anti etiope delle popolazioni sottomesse, che ebbe grande importanza alla fine della campagna. Si ricordi come l’Etiopia fosse un paese creato artificialmente da Menelik II tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, con la conquista coloniale di territori e regni indipendenti, aventi cultura, tradizioni, lingua e religione diverse da quelle ahmara. Tale conquista, compiuta con metodi estremamente duri, e accompagnata dalla vendita di parte delle popolazioni in schiavitù (la popolazione del Ghimirra prima della conquista etiopica del 1897, era di circa 100.000 persone, nel 1912 di circa 20.000; nel Caffa erano stimati, sempre nel 1897, 1.500.000 abitanti, ridotti a 20.000 nel 1935; la regione di Imi, conquistata nel 1896 quando contava circa 150.000 abitanti, nel 1935 era spopolata), scavò un solco profondissimo tra gli ahmara e i popoli sottomessi, che portò a rivolte in regioni quali il Goggiam e poi alla rivolta ed alla guerriglia quando le cose volsero al peggio per il negus. Fattore determinante fu quello religioso. E’ facile lamentare, come fanno taluni storici o sedicenti tali, le duemila chiese bruciate in Etiopia, se non si hanno a mente le persecuzioni attuate sugli animisti e, soprattutto, sui musulmani. Specialmente questi ultimi vedevano nell’Italia la propria naturale protettrice, e si arruolavano nelle truppe coloniali o nelle bande irregolari incendiando le chiese copte, viste come simbolo dell’oppressione ahmara, venissero date alle fiamme. Ad esempio le dure rappresaglie sui diaconi di Debra Libanòs del maggio 1937 vennero effettuate dai galla di Mūhamm’ad [as] Sultan e del XLV° battaglione musulmano (formato da harrarini), al comando del generale Maletti .
Guerra d'Etiopia La battaglia di MAI CEU. 31 marzo 1936
Guerra d'EtiopiaLa battaglia di MAI CEU. 31 marzo 1936...... Il 21 marzo il negus assunse personalmente il comando dell’esercito e mosse incontro agli italiani.Le truppe di cui disponeva l’imperatore erano la Guardia, la Kebur Zabagnà, organizzata su sei battaglioni, ben equipaggiata e dotata di armi di produzione europea , molte delle quali vendute dalla Germania di Hitler , e tra le altre unità minori, risultato della raschiatura del barile, l’armata dei ministeri, forte di 11.000 uomini equipaggiati all’europea, arruolati tra gli impiegati statali .Fu proprio quest’unità ad esser mandata all’attacco contro gli ascari a Mai Ceu, comportandosi sufficientemente bene.In totale il negus poteva disporre di oltre trentamila uomini, che salirono a settantasettemila con cinquanta cannoni e millesettecento mitragliatrici alla vigilia della battaglia decisiva quando all’armata dell’imperatore si unirono le forze dei vari ras in ritirata dal Tigrai.Qualche chilometro a sud del passo Alagi il I° Corpo d’Armata e il Corpo d’Armata eritreo si erano attestati lungo una linea facente perno sul villaggio di Mai Ceu, nella regione dell’Ascianghi, agli inizi dell’altipiano etiopico.Badoglio stava preparando un’azione offensiva, che avrebbe dovuto aver luogo il sei aprile, quando le divisioni italiane si fossero radunate .Si riteneva, infatti, che le forze di Selassiè si sarebbero radunate lungo la cosiddetta strada imperiale, probabilmente nella zona di Dessiè, e lì si sarebbero attestate a difesa per sbarrare agli italiani la via d’Addis Abeba .Ciò che preoccupava il Comando Superiore non era lo scontro con il nemico, ma che il negus potesse sganciarsi evitando di ingaggiare una battaglia decisiva.Tuttavia giunsero notizie che l’armata del negus aveva attraversato il passo di Agumbertà, a sud dello schieramento italiano.Badoglio, che temeva che l’imperatore sfuggisse il combattimento, ne fu lieto, scrivendo a Mussolini che la sorte di Haile Selassiè,Sia che attaccasse, sia che attendesse il mio attacco, era ormai decisa: egli sarebbe stato completamente battutoIl negus perse tempo- del resto era un politico anche spietato, ma non un soldato- e dal 24, com’era previsto inizialmente, l’azione venne rinviata al 28, poi al 31 marzo: ciò che consentì agli italiani di rinforzare le proprie posizioni erigendo muretti a secco, e di far passare definitivamente dalla propria parte gli Azebò Galla.I guerrieri Galla erano costituiti in bande di forza e costituzione variabile al comando dei propri capi feudali, ed armate, all’inizio di marzo, con circa tremila fucili , ed avevano scatenata una durissima guerriglia nelle retrovie abissine contro gli odiati dominatori ahmara, insidiando gli accampamenti, attaccando le truppe isolate e quelle in ritirata. Con tali audaci incursioni gli Azebò Galla avevano catturato sei o settemila fucili, e tenevano sotto il proprio controllo la regione da Corbettà a Ualdià.Come altri popoli dell’impero, i Galla considerarono, a torto o a ragione, la guerra del 1935- 36 una lotta di liberazione ed un’occasione di vendetta contro gli invasori cristianiSi tralascia troppo spesso il ruolo della guerriglia anti etiope delle popolazioni sottomesse, che ebbe grande importanza alla fine della campagna. Si ricordi come l’Etiopia fosse un paese creato artificialmente da Menelik II tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, con la conquista coloniale di territori e regni indipendenti, aventi cultura, tradizioni, lingua e religione diverse da quelle ahmara. Tale conquista, compiuta con metodi estremamente duri, e accompagnata dalla vendita di parte delle popolazioni in schiavitù (la popolazione del Ghimirra prima della conquista etiopica del 1897, era di circa 100.000 persone, nel 1912 di circa 20.000; nel Caffa erano stimati, sempre nel 1897, 1.500.000 abitanti, ridotti a 20.000 nel 1935; la regione di Imi, conquistata nel 1896 quando contava circa 150.000 abitanti, nel 1935 era spopolata), scavò un solco profondissimo tra gli ahmara e i popoli sottomessi, che portò a rivolte in regioni quali il Goggiam e poi alla rivolta ed alla guerriglia quando le cose volsero al peggio per il negus. Fattore determinante fu quello religioso. E’ facile lamentare, come fanno taluni storici o sedicenti tali, le duemila chiese bruciate in Etiopia, se non si hanno a mente le persecuzioni attuate sugli animisti e, soprattutto, sui musulmani. Specialmente questi ultimi vedevano nell’Italia la propria naturale protettrice, e si arruolavano nelle truppe coloniali o nelle bande irregolari incendiando le chiese copte, viste come simbolo dell’oppressione ahmara, venissero date alle fiamme. Ad esempio le dure rappresaglie sui diaconi di Debra Libanòs del maggio 1937 vennero effettuate dai galla di Mūhamm’ad [as] Sultan e del XLV° battaglione musulmano (formato da harrarini), al comando del generale Maletti .