Liberamente

Il fauno di marmo I


Kenyon, uno scultore americano che vive e lavora a Roma, e il suo ospite Donatello, giovane e ricco rampollo di una nobile casata toscana, ricevono una sera la visita di Miriam, pittrice amica di Kenyon, e della giovane studentessa Hilda, anch’essa un’americana trasferitasi in Italia. Dopo una spaghettata in terrazza, la giovane racconta agli amici di un suo strano sogno ricorrente, in cui vede se stessa aggirarsi in un antico palazzo con un pacchetto da consegnare a qualcuno, per poi venire aggredita da un misterioso personaggio abbigliato alla moda del ’700; la conclusione del sogno vede, invariabilmente, la morte dell’aggressore, ucciso dalla stessa Hilda con una piccola pistola. Kenyon rileva alcune curiose attinenze tra il sogno della ragazza e la vicenda narrata in un diario ottocentesco che gli è capitato tra le mani e che sta studiando, e gli sembra di ravvisare delle somiglianze tra sé e i suoi amici e i quattro personaggi descritti nell’antico documento. Evitando di dare eccessivo peso alla singolare coincidenza, la compagnia concorda per l’indomani una visita a Roma. Ai Musei Capitolini, Donatello viene scherzosamente accostato al Fauno di marmo di Prassitele; poi, durante una visita alle catacombe, Miriam si perde; cercata affannosamente dai tre amici, viene ritrovata in compagnia di un misterioso figuro, un uomo incappucciato del tutto simile a un personaggio descritto nel diario, chiamato ‘il Persecutore’. Lo spettrale individuo sostiene di essere ben noto a Miriam, che appare atterrita dallo strano incontro. In seguito, riflettendo sugli strani fatti accaduti, Kenyon e Hilda osservano altre inquietanti coincidenze: ad esempio, nel ricorrente sogno della ragazza, il volto dell’uomo ucciso è identico a quello dell’incappucciato incontrato nelle catacombe. Anche Miriam pare conoscere quel volto: Donatello, in visita presso lo studio della pittrice, lo vede ritratto in numerosi dipinti che paiono testimoniare di un profondo, inesprimibile tormento interiore. Tormento che pare accresciuto dalle frequenti, angoscianti apparizioni del ‘Persecutore’ che si susseguono nei giorni successivi. Miriam — che, tentando disperatamente di non farsi travolgere dalla suggestione ‘diabolica’ creata dall’odioso personaggio, accetta di instaurare un legame sentimentale con Donatello — affida a Hilda un pacchetto dal contenuto segreto, con l’impegno che, qualora per una certa data lei non sia a Roma, la ragazza lo consegni all’indirizzo segnato su un biglietto. Kenyon, pur pregato da Miriam di porre fine a quel sinistro passatempo, continua intanto a cercare nelle biblioteche di Roma i frammenti mancanti del diario. Dal manoscritto, ricostruito gradualmente, emerge una storia inquietante, che pare ricalcare fedelmente gli eventi vissuti da lui e dai suoi amici; vi si dice tra l’altro che i destini della dama ottocentesca — simile a Miriam — e del suo persecutore sono indissolubilmente intrecciati e non potranno più dividersi. Mentre sta decifrando un passo riguardante un sinistro presagio evocato dal precipizio della rupe Tarpea, Kenyon è vittima di un bizzarro incidente: a causa del crollo di una pila di libri, lo scultore si vede una mano infilzata da un tagliacarte, e osserva sgomento il proprio sangue imbrattare il manoscritto. Puntualmente, il tragico presagio si avvera: Donatello, sorpreso con Miriam dal Persecutore presso il parapetto della rupe Tarpea, affronta l’individuo e, ravvisando nello sguardo della donna un tacito assenso, lo spinge giù dal precipizio. Il giovane è atterrito dal proprio gesto, e implora il sostegno di Miriam: la donna si riconosce corresponsabile del delitto. Hilda, che ha assistito non vista alla drammatica scena, fugge terrorizzata.