Liberamente

Il fauno di marmo II


 Hilda, sconvolta dall’accaduto, tenta di informarne Kenyon, ma senza successo. L’indomani mattina è in programma una visita alla chiesa dei Cappuccini, cui prendono parte Kenyon, Miriam e Donatello. Nel corpo di un frate morto deposto in una bara aperta, Miriam ravvisa atterrita le fattezze del Persecutore ucciso la sera prima, ed ha persino l’impressione di udirne l’odiosa voce accusatrice. La donna rifiuta tuttavia di ricadere nel vortice dell’ossessione, pur avvertendo — così come Donatello — paura e rimorso per l’atto commesso. Il giovane, in particolar modo, è tormentato dal ricordo del proprio gesto; Miriam lo esorta a dimenticare l’accaduto — si tratterebbe solo di un’illusione, visto che nessun giornale parla di omicidi o cadaveri rinvenuti — e a troncare la relazione. Donatello, dopo aver vagato affranto per Roma, torna sul luogo del presunto delitto; constatato che un lampione che credeva di aver distrutto nella colluttazione è invece intatto, il giovane sospetta di essere stato vittima, la notte precedente, di una macabra autosuggestione. Miriam tenta di convincere anche Hilda — che le rinfaccia il delitto — dell’illusorietà dell’accaduto, ma senza successo: l’amicizia è rotta, afferma la ragazza mettendo alla porta la pittrice. Kenyon, ancora all’oscuro di tutto, riceve quindi tre messaggi dai suoi amici, che sono partiti: Miriam è andata a Parigi per una mostra, Hilda ha raggiunto dei conoscenti fuori Roma, e Donatello è dovuto tornare nei suoi possedimenti della campagna toscana. È lì che, quasi un anno dopo, Kenyon raggiunge il giovane amico, il cui temperamento — un tempo lieto e spensierato — si è fatto cupo e malinconico. Mentre Donatello sta mostrando allo scultore l’albero genealogico della sua casata (i cui membri paiono avere, curiosamente, le orecchie a punta che la mitologia attribuisce ai fauni), arriva con la posta un pacchetto inviatogli da Miriam, contenente una riproduzione del Fauno di Prassitele: il ricordo di Miriam dà occasione ai due uomini di tornare a riflettere sui misteriosi eventi dell’anno prima. Hilda, nel frattempo, è tornata a Roma; qui le capita tra le mani l’involto affidatole da Miriam ma, sul biglietto con l’indirizzo, è inspiegabilmente comparsa un’altra scritta, un’invito a consegnare il pacco il giorno 15 marzo. C’è poi un altro fatto inquietante: il pacchetto pare contenere una piccola pistola. Intanto Kenyon continua la ricostruzione del diario ottocentesco: è arrivato al punto in cui la dama simile a Miriam confessa al gentiluomo — in cui lo scultore ‘vede’ se stesso — di essere oppressa e come paralizzata da un ricordo orribile; anche il giovane amante della donna, corrispondente ai tratti di Donatello, è angosciato, e il suo tormento lo ha reso un altro uomo, spiritualmente più maturo. Poi, mentre Kenyon sta lavorando a un ritratto in creta del giovane, accade un fatto inspiegabile: il volto scolpito assume forme strane e paurose; lo scultore, osservando sgomento l’espressione disumana, o forse terrorizzata, del ritratto afferma di non averlo eseguito volontariamente in quel modo, ma di aver avvertito una forza misteriosa guidargli le mani. Donatello, interpretando il fatto come un segno nefasto del proprio destino, si decide finalmente a raccontare all’amico ciò che lo tormenta: il delitto di un anno prima. Kenyon rivela allora che anche nel manoscritto si parla di un omicidio: la dama ottocentesca uccise infatti un suo promesso sposo, ossia il Persecutore, sparandogli con una pistola. Donatello è atterrito da un’ulteriore coincidenza: i due delitti sarebbero avvenuti nella stessa data, il 15 marzo, che è poi anche il giorno in cui si sta svolgendo l’azione. Kenyon invita il giovane alla calma suggerendo l’ipotesi di una autosuggestione collettiva, e gli promette di aiutarlo a rincontrare Miriam, insieme alla quale potrà forse ritrovare la serenità perduta.