Liberamente

Il fauno di marmo III fine


 Mentre Miriam raggiunge Kenyon e Donatello nella tenuta di quest’ultimo, a Roma, intanto, Hilda si reca a consegnare il pacchetto all’indirizzo fornitole dalla pittrice: si tratta di un grande e antico palazzo nobiliare; qui la ragazza pare avvertire una ‘presenza’ inquietante, e ad un tratto ode una voce chiamare il suo nome. Nella tenuta, i tre amici discutono della giovane amica, del suo sogno, del diario misterioso; Miriam chiede a Kenyon di illustrarle con precisione l’episodio sognato da Hilda e riportato — come fatto avvenuto cent’anni più indietro — nel diario ottocentesco. Questa la ricostruzione operata dallo scultore: nel ’700, in un antico palazzo, una giovane vaga alla ricerca di qualcuno, tenendo tra le mani un involucro; c’è qualcosa che la turba profondamente, un’atmosfera carica di mistero; finalmente le appare un uomo: è a lui che deve consegnare il pacchetto sigillato; la ragazza gli si avvicina e l’uomo la aggredisce; la giovane grida, si libera dalla stretta e gli spara con una piccola rivoltella; l’uomo, lamentandosi, stramazza al suolo. Miriam, udita la ricostruzione di Kenyon, ha un sussulto d’orrore: la storia e i dettagli che la compongono — il pacchetto, la pistola, il palazzo — palesano un’allarmante attinenza con la reale situazione in cui si trova Hilda che, proprio quel giorno, il 15 marzo, potrebbe recarsi a consegnare il pacchetto di Miriam. I tre decidono quindi di partire subito per Roma. Nel frattempo, Hilda è ospite del misterioso destinatario del pacchetto: è sempre lui, il Persecutore, questa volta vestito in eleganti abiti moderni. Afferma di conoscere Miriam, benché questa non se ne rammenti, da molto tempo. Apre poi l’involto, sotto gli occhi sempre più impauriti di Hilda: dentro c’è "un orribile [...] ricordo di famiglia, [...] una piccola pistola del ’700": la pistola sognata da Hilda. Intanto, durante il viaggio in auto dalla Toscana a Roma, Miriam racconta ai due uomini la storia dell’ossessione che la tormenta da sempre: una sua antenata aveva ucciso un uomo che la pretendeva in moglie; sembrava che questa colpa non sua dovesse perseguitare lei, e che l’ucciso avesse scelto lei per perpetuare la sua vendetta; fin da bambina Miriam era stata perseguitata da quell’orribile visione, non trovando però che incomprensione e diffidenza; si era allora rivolta prima alla religione, poi alla psicanalisi; infine aveva deciso di dare una svolta alla sua vita, intraprendendo a Roma l’attività di pittrice; ma tutto si era rivelato inutile: da un baule erano misteriosamente spuntati un ritratto del suo persecutore e la pistola del delitto; trovato il nome e l’indirizzo di un lontano e sconosciuto parente che viveva a Roma, la donna aveva pensato che restituirgli l’oggetto potesse voler dire liberarsene; poi, si era dimenticata del pacchetto. Giunti a Roma quella sera stessa, i tre si presentano a casa di Hilda; al citofono si ode la beffarda voce del Persecutore: «Miriam, noi siamo legati insieme e non potremo più separarci...»; nell’appartamento della ragazza, però, non c’è nessuno se non la stessa Hilda, che rassicura gli amici e dichiara di aver regolarmente consegnato il pacchetto, senza alcun problema. Ogni timore pare dunque dissolversi, e i quattro si convincono di essere stati vittime di una pittoresca autosuggestione; anche l’antico manoscritto è sparito, forse portato via per errore — insieme a un vecchio elenco telefonico — dagli incaricati della Sip. Il mattino dopo le due coppie — Kenyon si è nel frattempo legato a Hilda — si preparano a lasciare Roma, decisi a non aver mai più a che fare con alcunché di soprannaturale. Ma mentre si appresta a partire per gli Stati Uniti con Hilda, Kenyon trova un nuovo foglio del manoscritto, e ne legge l’inquietante contenuto: "Per la quarta volta il Persecutore morirà per mano del quarto protagonista: Kenyon". Sconvolto, lo scultore cade preda di uno spaventoso incubo in cui rivive i ciclici omicidi e ‘vede’ infine se stesso assassinare l’incappucciato. Destato da Hilda, Kenyon pare riprendersi ma, apprestandosi a salire in macchina, si convince di vedere, ancora una volta, l’odioso figuro sul sedile posteriore. Svanita l’apparizione, Kenyon e Hilda possono finalmente partire verso la sognata felicità: ma dal cassetto del cruscotto salta fuori ancora una volta l’antica pistola, e nello specchietto retrovisore riappare il sardonico ghigno del Persecutore