Liberamente

La baronessa di Carini I


 Regno di Sicilia, 1812. Sta per entrare in vigore la prima costituzione liberale che metterà fine ai privilegi dei grandi feudatari. Il rappresentante più autorevole del nuovo corso politico è il principe di Castelnuovo, ministro delle Finanze, il quale incarica un suo uomo, Luca Corbara, di svolgere indagini per accertare la legittimità del possesso dei feudi. Come punto di partenza per la sua ricerca, Corbara sceglie il feudo del barone di Carini. Qui giunto, il giovane assiste a uno spiacevole episodio: due uomini del barone, Mariano d’Agrò, percuotono un cantastorie, Nele Carnazza, reo di aver cantato in pubblico un’antica ballata proibita da don Mariano, in cui si narra la tragica morte della baronessa di Carini, Caterina La Grua-Talamanca, uccisa per motivi d’onore tre secoli prima. In paese la diffidenza e il sospetto circondano immediatamente Luca; oltre Nele, i soli a dimostrargli simpatia sono il suo ospite, don Ippolito Ventignano (un bizzarro e misantropo amico del principe di Castelnuovo), e Cristina, figlia di don Carmelo, notaio del paese. Nella canzone di Nele Luca crede di intuire una traccia per le sue ricerche: l’attuale feudo di Carini è probabilmente costituito in parte da terre (‘Daina Sturi’) usurpate a Ludovico Vernagallo, l’amante della baronessa uccisa, e la legittimità del possesso del feudo da parte di don Mariano può quindi essere messa in discussione. Il barone, oscuramente minacciato da una misteriosa setta che si credeva scomparsa da oltre un secolo, i Beati Paoli, sospetta di Luca ritenendolo autore del messaggio minatorio, e medita di sbarazzarsi in qualche modo di lui. Luca, che ha udito da don Ippolito della leggenda secondo cui l’impronta della mano della baronessa tornerebbe a sanguinare ogni 4 aprile, anniversario del delitto, si reca al castello, ormai in abbandono da secoli. Qui, la stanza da letto sembra ancora ‘viva’ e abitata; poi, vedendo l’impronta sulla parete, Luca ‘rivive’ il sanguinoso episodio. Ma qualcuno lo chiude dentro: si tratta di una mossa del barone per impaurirlo e indurlo a desistere dalle sue ricerche. Luca è poi liberato da una donna misteriosa; trovata una preziosa spilla nel cortile del castello, il giovane crede di identificare la sua soccorritrice nella baronessa Laura, moglie di don Mariano. Invitato a una battuta di caccia dal barone, Luca mostra la spilla a Laura, che però nega che l’oggetto le appartenga. Tra i due giovani nasce in breve un’attrazione reciproca, destinata a sfociare in una travolgente passione amorosa. Luca, recatosi successivamente a casa di Nele, lo trova morto: è stato avvelenato con l’arsenico (sostanza abitualmente usata a palazzo d’Agrò: la baronessa se ne serve come digestivo). Sorpreso e accusato da Rosario, l’uomo di fiducia del barone, il giovane si dà alla fuga, ma viene catturato dai misteriosi incappucciati.