..già negli anni ’50 la beat generation esprimeva il rifiuto della società opulenta, assumendo uno stile di vita a margine: una vita randagia ed incerta, senza scelte, all’aria aperta o sotto i ponti, nella metropolitana; e tendeva a soddisfare solo i bisogni elementari per una vita da vivere d’intuito e di improvvisazione, nel disimpegno quasi totale.Apatia ed indifferenza che svelano però esigenze direi quasi primordiali nella riscoperta dell’autenticità del rapporto diretto con gli altri che si è quasi del tutto perduto nei gangli delle società post-consumistiche, il tentativo di riproporre l’autorealizzazione della persona nella “comunità”, una comunità flessibile ed aperta, di incontri senza il pegno (e l’impegno credo) della parola e dell’azione, per stare insieme, per vivere insieme, per separarsi e reincontrarsi; una propensione a riconquistare una libertà perduta, originaria della natura umana, coartata nella coscienza e nell’inconscio della società del benessere.Sta forse qui un aspetto significativo dell’anarchismo della prima radice della contestazione giovanile di quegli anni: il gruppo aperto e caratterizzato dal rapporto interpersonale che esclude totalmente il pregiudizio e dove è semplicemente la “presenza” (e non invece la parola – azione – ragione) a dare il significato più pieno all’esistenza.Una comunità ed una unione che si fondano sull’adesione spontanea e che è priva di ogni forma di organizzazione; si contrappongono allo stato, alla nazione, alla patria, che sono istituzioni al di sopra del singolo e perciò lo coartano e lo opprimono, gli dettano un determinato modello di vita…L’apatia e l’indifferenza si traducono anche nell’inerzia del vivere stigmatizzata nell’uso delle droghe, per cui (ma è solo un esempio tra tanti) il rapporto sessuale è completamente disinibito ma veramente svuotato di passionalità; le forme più estreme del limite individualistico consistono spesso nel delitto (ancor più spesso gratuito) e, paradossalmente, nel reiterato rifiuto della violenza che corrisponde al nichilismo (sartriano forse?) in cui si consuma l’uomo moderno, la ragione dell”homo aeconomicus”, del suo esasperato dinamismo, la sua arroganza. L’anarchismo non può mai essere nichilista perché, nella sua prospettiva, la libertà è sempre conquista, libera dal malessere sociale, è spesso lotta al potere al fine della sua destrutturazione, per la realizzazione dell’autogestione in una società giusta e solidale, di armonia nell’amore universale.Un tentativo di riproporre una protesta autenticamente libertaria è quella avanzata dagli hippies agli inizi degli anni ’60, ma quella è un’altra storia…
..a little bit 'bout beat..
..già negli anni ’50 la beat generation esprimeva il rifiuto della società opulenta, assumendo uno stile di vita a margine: una vita randagia ed incerta, senza scelte, all’aria aperta o sotto i ponti, nella metropolitana; e tendeva a soddisfare solo i bisogni elementari per una vita da vivere d’intuito e di improvvisazione, nel disimpegno quasi totale.Apatia ed indifferenza che svelano però esigenze direi quasi primordiali nella riscoperta dell’autenticità del rapporto diretto con gli altri che si è quasi del tutto perduto nei gangli delle società post-consumistiche, il tentativo di riproporre l’autorealizzazione della persona nella “comunità”, una comunità flessibile ed aperta, di incontri senza il pegno (e l’impegno credo) della parola e dell’azione, per stare insieme, per vivere insieme, per separarsi e reincontrarsi; una propensione a riconquistare una libertà perduta, originaria della natura umana, coartata nella coscienza e nell’inconscio della società del benessere.Sta forse qui un aspetto significativo dell’anarchismo della prima radice della contestazione giovanile di quegli anni: il gruppo aperto e caratterizzato dal rapporto interpersonale che esclude totalmente il pregiudizio e dove è semplicemente la “presenza” (e non invece la parola – azione – ragione) a dare il significato più pieno all’esistenza.Una comunità ed una unione che si fondano sull’adesione spontanea e che è priva di ogni forma di organizzazione; si contrappongono allo stato, alla nazione, alla patria, che sono istituzioni al di sopra del singolo e perciò lo coartano e lo opprimono, gli dettano un determinato modello di vita…L’apatia e l’indifferenza si traducono anche nell’inerzia del vivere stigmatizzata nell’uso delle droghe, per cui (ma è solo un esempio tra tanti) il rapporto sessuale è completamente disinibito ma veramente svuotato di passionalità; le forme più estreme del limite individualistico consistono spesso nel delitto (ancor più spesso gratuito) e, paradossalmente, nel reiterato rifiuto della violenza che corrisponde al nichilismo (sartriano forse?) in cui si consuma l’uomo moderno, la ragione dell”homo aeconomicus”, del suo esasperato dinamismo, la sua arroganza. L’anarchismo non può mai essere nichilista perché, nella sua prospettiva, la libertà è sempre conquista, libera dal malessere sociale, è spesso lotta al potere al fine della sua destrutturazione, per la realizzazione dell’autogestione in una società giusta e solidale, di armonia nell’amore universale.Un tentativo di riproporre una protesta autenticamente libertaria è quella avanzata dagli hippies agli inizi degli anni ’60, ma quella è un’altra storia…