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Della poesia.. 

Post n°92 pubblicato il 26 Maggio 2008 da zackdelarocha3

La
dimensione onirica che costituisce la “cifra” della poesia, che attraversa le
situazioni – che, anzi, le “avvolge” – non è il movente della scrittura ma, al
contrario, è il risultato a cui la scrittura giunge attraverso un processo di
elaborazione concettuale che intende svincolare gli elementi del reale dai
contesti cui appartengono per accrescerne il senso e proiettarli in una sfera
che possa consentire ad essi di creare un altro senso.
La
poesia, quindi, non è rappresentazione verbale del sogno; è, invece, la
realizzazione di una volontà, di una necessità, di un sogno. Perché il sogno
(probabilmente soltanto il sogno) è la possibilità dell’estasi, dell’iperbole..
Ogni
persona normale ha i propri sogni ad occhi aperti, le proprie fantasie che non
confessa perché se ne vergogna o immagina che possano destare negli altri
disapprovazione, se non ripugnanza. E’ un concetto già osservato da Freud;
questi, nel saggio Il poeta e la fantasia,
esprime la propria opinione: “la vera ars poetica consiste nella tecnica
per superare la nostra ripugnanza, la quale è certo in stretta connessione con
le barriere che si innalzano tra ogni singolo Io e gli altri. Possiamo supporre
due mezzi di questa tecnica: il poeta addolcisce il carattere egoistico del suo
sogno ad occhi aperti attraverso modificazioni e velature; e ci seduce mediante
il piacere dei suoni vocali che lo poesia stessa da al lettore. Il piacere, in
tal senso, è di tipo formale, cioè estetico."
Ora,
il conflitto tra vergogna (o pudore) e necessità trova soluzione proprio nella
scrittura. Perché è la scrittura che modifica, vela, nasconde, finge, che
sradica – cioè – i referenti dal terreno della storia personale, e li amplifica
e li dilata nell’infinito dell’immaginario.
Tra
cosa e scrittura si determina insomma una distanza che mette in funzione un
meccanismo di invenzione e di trasfigurazione che coincide con l’atto poetico.
Ma,
soprattutto, la scrittura realizza: realizza il sogno che di conseguenza non è
altro che linguaggio, reticolo di segni, ribollìo senso, esaltazione dell’idea
tramutata in forma. E si tratta di un linguaggio costantemente teso verso la
metafora, l’analogia, il paradosso, il mito.
Ebbene,
dalla “marea” del sogno emerge un’immagine, vorrei dire una visione, una
fantasticheria (nell’accezione di idea fantastica) di donna. Più che donna,
anzi, di creatura, personificazione di un’entità astratta, fatta di “cielo e di
acqua”, fatta di sogno, e scolpita dal desiderio e dalla luce. Di certo esiste
soltanto una figura fatta di sogno, creata dal sogno, che assume la forma che
il sogno riesce a creare e che è determinata, provocata, quasi, dal desiderio e
dal continuo tentativo di appagarlo. E la luce è, con ogni probabilità, simbolo
dell’appagamento del desiderio. Tutto si verifica, allora, nell’ambito della
sfera mentale; il desiderio è la molla della conoscenza.
Conoscenza
di cosa? Di sé, certamente. Questa figura ideale per molti aspetti si presenta
come una trasparenza del voler essere. Essa prende le forme di quegli elementi
che si agitano nelle profondità della persona che scrive, che condiziona la sua
esistenza anche senza manifestarsi.
Solo
la memoria è “pietrosa”, perché contiene il passato reale; è grumo, pesantezza,
fissità, che si oppone al divenire del sogno. La memoria è tutto ciò che non è
diventato ancora – o che non diventerà mai – sogno, e quindi levità. E’ storia,
misura del tempo, segmento monosemico, contiene il senso dell’inizio e della
fine, significa esclusivamente in relazione al vissuto.
Perché
la poesia è questa lunga avventura intellettuale che intende rendere esemplare
una vicenda mediante la sua trasformazione in sogno; è avventura intellettuale
che scommette sulla possibilità di sfuggire alla cristallizzazione della
memoria cercando nella poesia la situazione per riprodurre lo stupore. E,
probabilmente, soltanto una vicenda d’amore poteva consentire un viaggio
continuo tra la mente ed il cuore.



 

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