Zagara&Pepe

LA STRADA FINISCE LI' (dietro a quella curva)


L'aria dentro alla panineria era dolciastra, profumata appena dalle patatine immerse nell'olio bollente.Pochi ragazzi ai tavoli, una coppia intenta a scambiarsi mani e carezze avviluppata attorno ad una bottiglietta di cocacola, due amici nell'angolo opposto a discorrere allegramente, e poi, nel terzo angolo di quello stanzone rettangolare, arredato con quei tavolini perfettamente allineati, contornati da seggiole arancioni, sedevano Chiara, Angelo e la loro storia, o forse meglio sarebbe dire, la somma delle loro storie.Tutti hanno una storia che si può portare a volta dentro altre, si dice, sulle spalle. In quel caso la sorreggevano, come tavoli appunto. Siamo i tavoli delle nostre storie allora, o il loro marsupio, ma mentre nessuno chiederebbe ad un tavolo o a un marsupio di raccontare la sua tutti si aspettano che voi siate pronti a raccontare la vostra.Chiedetevi cosa avrebbe voluto fare quel tavolo, proprio quello, il terzo a sinistra, uguale a tutti gli altri, dentro al quel fast food…. Quadrato, minuto, con tutti i lati uguali. Gli piace sorreggere vassoi e panini e bibite e gelati o avrebbe voluto essere, magari, tavolo in qualche officina e, unto di grasso, pieno di macchie d'olio, avere sopra di sé chiavi inglesi, e sentire il rombo dei motori, o l'odore del benzene? O magari avrebbe preferito esser quello d'una sala operatoria e sostenere i ferri per un delicato intervento oppure ascoltare il primo pianto di un bambino appena nato?Nessun tavolo sarebbe mai stato interrogato su ciò che avrebbe davvero voluto essere o fare. E forse non avrebbe potuto esserlo o farlo proprio per colpa di quelle sedie, quattro appunto, che lo circondavano da ogni lato impedendone qualsiasi movimento.Chissà se ogni tavolo avesse avuto almeno un lato libero, scoperto, cosa sarebbe successo? Niente forse? Oppure tutti i tavoli se ne sarebbero andati via, passando attraverso quella porta, per scegliere di fare ciò per cui, ciascuno d'essi, si sentiva maggiormente portato.Ve la immaginate voi una lunga processione di tavoli che se ne esce dalla porta di un fast food e poi via, partiti in voli e dispersi nell'aria ciascuno verso la propria meta? Ne avrebbero parlato per giorni tutti i quotidiani e finanche, credo, le televisioni!!Tutto era fermo quella sera dentro il fast food. I tavoli al loro posto, perfettamente allineati e quei tre che accoglievano le coppie di clienti, impegnati a sostenere le loro bibite, i loro panini e le loro parole.Angelo e Chiara mangiavano perlopiù in silenzio, seduti l'uno di fronte all'altra, Chiara un hot dog in una mano mentre con l'altra piluccava da un grosso piatto di patatine fritte.Era un hot dog insaporito con un miscuglio di salsa ketckup e maionese. -"aspro-pungente e morbido-goloso, come i gusti opposti della vita"- aveva pensato Angelo guardando Chiara prepararlo a quel modo. Davanti a lui un grosso piatto di macedonia. Anche lì, a guardar bene, si mescolavano l'aspro delle fragole al dolce del melone, il pungente dell'arancia opposta al gusto dell'ananas. -"come la vita" si ripetè mentalmente Angelo, sapendo d'aver pensato una stronzata.Ma quello era il gusto di quel momento della sua vita, così dolce ed aspro allo stesso tempo. Dolce perché era dolce il suo stare con Chiara per l'amore intenso, forte, pieno che provava per lei, ed era agro allo stesso tempo proprio per il tempo in cui s'era manifestato. Un amore asincrono lo avrebbero potuto definire.C'erano stati giorni passati in cui lei gli aveva finanche giurato che non avrebbe saputo respirare senza di lui e lui in quel tempo l'aveva guardata con gli occhi di chi pensa di potersi di staccare da ogni cosa, sapendo o credendo di poterlo fare.Occhi miopi, sguardo lattiginoso, così avrebbe detto dopo. Il tempo, il più perfido dei compagni di viaggio ma anche il più sincero, gli aveva mostrato, passando, la sua intima verità, lo aveva spogliato da ogni presupposto e da ogni certezza per consegnarlo nudo e glabro a quel sentimento che lo pervadeva e lo aveva intriso in ogni parte della sua anima e del suo corpo.Ma il tempo gioca partite diverse con ciascuno degli uomini o dei viventi e mentre accendeva in Angelo ogni parte del suo essere e lo rendeva consapevole di quel sentimento totale, in Chiara ispessiva la pelle, per proteggerla. Faceva come ogni madre premurosa farebbe con i propri figli dopo una scottature violenta del sole: il tempo l'aveva resa impermeabile ad ogni nuovo raggio di quell'amore di Angelo. L'aveva resa impermeabile ma non per questo era riuscito a togliere da lei quello che già era entrato. Ed allora, come un corpo farebbe con qualsiasi malattia, aveva incapsulato quel suo amore per lui e ne aveva sterilizzato i contorni. Non si poteva dire allora che lei non amasse più Angelo, no, ma il suo amore per lui vagava dentro al corpo come una capsula, forse per questo più sicuro e protetto, ma certamente incapace di esplodere ed espandersi, di possederla completamente.Angelo la guardava, lei aveva i gomiti appoggiati al tavolino, le mani strette attorno al panino dentro al quale affondavano i denti staccandone piccoli bocconi.Masticava in silenzio e guardava Angelo dispensando sorrisi sinceri di quando in quando.Angelo ricambiava quegli sguardi ed intanto cercava di immaginare in quale parte del corpo di lei fosse in quel momento la capsula del suo amore. Nel cervello forse? O nella lingua, o nelle mani? Chissà.Guardava le mani di Chiara ed, a volte, pure il panino. Guardava i gomiti di lei appoggiati sopra il tavolino e guardava infine il tavolino chiedendosi mentalmente:-"chissà dove vorresti essere, quale tavolo vorresti essere adesso?" e poi, rivolgendo a sé i suoi pensieri:-"chissà dove vorremmo essere adesso….o dove potremmo essere se in uno di quei bivi che la vita ci propone continuamente non avessi imboccato l'altra parte, quella sbagliata…..?" Chiara sarebbe stata allora la sua donna ma lui, forse, non l'avrebbe mai amata quanto in quel momento, non avrebbe mai provato quel sentimento struggente proprio perché impossibile da appagare.Guardò Chiara e poi ancora il tavolo e si sentì come lui, immobile, circondato se non dalle sedie, dalle sue scelte, quelle giuste e quelle sbagliate, e poi dalle scelte degli altri. Si pensò tavolo in mezzo a milioni di tavoli, tutti allineati, tutti uguali, tutti resi immobili gli uni dagli altri.Guardò i gomiti di Chiara appoggiati, e poi il vassoio, il bicchiere, la bottiglia: tutto quanto sorretto dal tavolino. Subito sentì su di sé il peso delle scelte fatte e di quelle subite. Anche lui, in certo modo era il tavolo della sua esistenza, il piano-sostegno dei suoi anni passati e di ogni scelta che era stata.Il panino era finito e Chiara era pronta per andarsene. Angelo sparecchio di ogni avanzo gettando tutto dentro nel contenitore. Chiara lo aspettava sulla porta e fu in quel preciso momento che Angelo guardò di nuovo il tavolino, le quattro sedie accostate ai quattro lati del piano, uguali fra di loro. Guardò per un istante? Un'ora? Una vita? E fu allora che provò per lui sincera compassione. Un passo, un passo ancora e gli fu accanto. Scostò la seggiola lasciando libero un lato. Un istante, fu in quell'istante preciso che accadde il fatto. Un moto sussultorio, una scossa di terremoto. Il tavolo vibrò, si mosse, dapprima con un tremolio, poi in modo sempre più evidente. Angelo ebbe l'impressione che stesse per prendere il volo, per decollare. Fu la frazione di un attimo, appunto, poi tutti cessò. Nessuno nella sala oltre ad Angelo s'era accorto di nulla. Il tavolino era di nuovo immobile, come se quel fermento di vita che lo aveva animato fosse sparito. Angelo guardò il tavolo cercando di capire. E poi comprese. Per quanto libero di scegliere e di andare il tavolino aveva ceduto al controllo delle sue emozioni. “Responsabilità” l'avrebbe chiamata qualcuno, o forse “ragione”. Chissà.Ancora lo sguardo di Angelo si posò sul piano, e gli lanciò un sorriso, sorridendosi in cuor suo. Accostò la sedia al quarto lato e volse i suoi occhi verso Chiara. La guardò e si sentì immerso nel suo amore per lei e sentì che a quello sguardo anche il bulbo di lei, in qualsiasi parte del corpo fosse, lanciò un piccolo segnale, una pulsazione.Capì che non l'avrebbe mai più riavuta completamente per sé ma comprese anche che non avrebbe mai perso quel bulbo del suo amore.Lasciarono il locale salendo su una macchina che partì subito dopo. Nel lettore la voce di De Andrè li accompagnava con una vecchia canzone:"Titti aveva due amori/ uno di cielo, uno di terra/ di segno contrario/ uno di pace, uno di guerra"Chiara gli canticchiava il ritornello guardandolo di sbieco negli occhi per non perdere il controlla della strada su cui stava guidando.Angelo si sentì d'improvviso leggero, un amore di cielo appunto. Poi l'auto svolto l'angolo a sinistra, oltre quella curva finiva la loro storia ma entrambi sapevano che dopo la successiva sarebbe egualmente rinata, di nuovo, diversa.