Zagara&Pepe

Un Lavoro d'Autunno (capitolo XVIII)


Così la logica aveva agito nella vita di Gioacchino fino a quel giorno, non sapendo e
potendo spiegare la vita, l’aveva racchiusa,  creando una sorta di scrigno a scomparti. Quando una verità ingombrate s'era affacciata, la matematica con la sua logica la classificava e l'ordinava. E se una verità si faceva troppo ingombrante, la matematica la sopprimeva, esiliandola nei cassetti più nascosti. La verità dell'amore ormai debordava in Gioacchino. Lo possedeva interamente. Quell'amore così totale, quel desiderio tanto vitale aveva mutato la prospettiva di tutta la sua vita. Si alzò con gli occhi quasi spiritati, sudava. Si avvicinò alla parete attrezzata dove, ordinati per autore e poi per dimensione e poi per argomento, c'erano tutti i libri della sua matematica. Li guardò un attimo tutti perfettamente allineati. Lanciò un grido atroce e si scagliò contro quei libri. Era un grido d'angoscia, di dolore ed assieme di liberazione. Gioacchino con le mani strappava i libri a quell'ordine
perfetto e li gettava urlando in mezzo alla stanza. In preda ad un cieca forza distruttiva disordinava quell'ordine, disubbidiva alla fondamentale legge dell'entropia. La logica non spiegava l'amore, e neppure l'ordine. L'amore era il caos, quello stesso che provava dentro ogni parte del suo cuore e della sua mente. La logica era soccombente rispetto all'amore. Il caos vinceva dunque sull'ordine. Si placò, la stanza era ridotta ad un campo di battaglia. Ansimando guardò il frutto del caos. Sorrise, dentro di sé compiaciuto di quel gesto forse troppo a lungo covato e desiderato ed ora, finalmente sperimentato. Sentì suonare al campanello. Aprì la porta e vide la sua vicina, anziana donna che s'intendeva di tutte le faccende del caseggiato, che, messa in allarme da quel trambusto tanto insolito in un'abitazione dove tutto era sempre stato misurato, gli chiese-:"Tutto bene Professore?"- mentre con la testa cercava di guardare dentro casa per capire cos'era successo. Gioacchino non la fece entrare. Aveva l'aspetto
congestionato, la camicia sbottonata ed ansimava. -"Adesso si....signora...... grazie.....ora va molto meglio"- vedendo che la vicina di casa non tendeva ad andarsene ma, anzi cercava di incunearsi per meglio curiosare, la congedò dicendo -"ho molto da fare, adesso, signora, la ringrazio per la cortesia". E chiuse la porta lasciando interdetta l'anziana signora. Si voltò e ritornando nella stanza cominciò ad infilare i libri dentro ad un grande sacco della spazzatura. Era calmo, stavolta, consapevole che stava compiendo un gesto necessario. Stava dando il giusto peso al suo passato, a quella cultura che lo aveva reso schiavo per tutta una vita. Le convenzioni, le regole, i modi di dire, tutto doveva essere cancellato. Tutto poteva essere cambiato. Riempì un sacco, e poi un secondo ed un terzo. Riordinò a
lla bell'e meglio la stanza e portò i sacchi nel cassonetto dell'immondizia. Poi proseguì verso il centro dove trovò un negozio di poster e stampe. Entrò, non aveva mai considerato i quadri se non come ornamento. Per la prima volta li guardò come espressione del cuore. Ne vide una e vi si specchiò. Era il percorso di mille scale, dove gli uomini salivano e scendevano occupando uno spazio senza dimensione, senza alto né basso, senza fronte né retro. Era la sua immagine che si ritrovava dentro al labirinto di quel sentimento:-"Lo compro! - disse risoluto al commesso - me lo può incartare per un …..regalo?" Poi ne vide un altro, gli occhi del gatto in un infinito ch'era cielo e mare. Pensò a Lumiere, pensò ad Elena e glielo voleva regalare. -"Prendo anche questo "- disse ancora al commesso - un pacchetto separato, per favore"- il commesso incartò la tavola di Escher poi prese "il Gatto" di Magritte e ne fece una confezione ornandola con un fiocco.                                (CONTINUA............)