Zagara&Pepe

La Donna Ideale


Non saprei immaginare modo differente d'iniziare il nuovo anno.A tutti voi sinceri auguri.***********************************************************************************************************Mancava quasi mezz'ora all'alba ed eravamo già tutti schierati sulle nostre cavalcature nel piazzale antistante l'ingresso della villa di campagna di sir Albert Crowing. I cani latravano e l'aria era pervasa da quella solita frenesia collettiva che anticipa l'avventura. L'aria era fredda, e la rugiada sparsa tutt'attorno, l'erba era umida sotto gli zoccoli dei cavalli e spandeva tutt'attorno un buon odore. I servitori erano indaffarati a servire tazze bollenti, di cioccolata o di the, che ingollavamo per ristorarci, il cui effetto durava il passaggio del liquido attraverso l'esofago, sino allo stomaco e poi, diritto all'intestino, dove già giungeva tiepido, tanto che subito dopo, il freddo, tornava a pungere, inclemente, e ci obbligava a ripetere l'operazione. La battuta di caccia alla volpe organizzata ogni anno da sir Albert era famosa in tutta la Contea, e c'era la gara, fra nobili e borghesi, per essere invitati. Quell'anno era poi un'occasione speciale. Un amico comune, mio e di sir Albert, aveva con lui parlato affinché potesse parteciparvi anche una giovane di ottima famiglia, Lady Magdalene, che, si diceva, avesse per me un'attenzione speciale, che io non avrei disdegnato. Sir Albert era uomo di mondo e se la rise grossa all'idea di poter fare da paraninfo ad una giovane che, oltretutto, era nipote di un suo vecchio nemico, lord Walter Limbright, grande amico d'un tempo poi persosi fra litigi e rancori per una storia dimenticata da tutti ma non da loro che ogni tanto, la rievocavano separatamente, incolpandosi, reciprocamente, d'ogni responsabilità e malvagità. Brutta cosa il rancore dei vecchi! Poggia sull'astio ogni ricordo e perde qualsiasi razionalità. Dunque l'idea di partecipare, sia pur indirettamente, alla possibile perdita della virtù della nipote del suo nemico, fece assai divertire il vecchio sir Crowing, che acconsentì, anzi, fece di tutto affinché la giovane fosse presente, finanche spostare la data fissata e rispettata ormai da lustri, di una settimana, perché la ragazza potesse ritornare da un suo viaggio dall'Europa. Conoscendo il tradizionalismo di sir Albert la cosa suscitò un certo trambusto, tanto che qualche voce malevola, bisbigliò di un'infatuazione dello stesso nobile per la giovinetta, voci peraltro subitamente smentite dai ben informati. Eravamo dunque pronti a partire e già i miei occhi e quelli di Lady Magdalene si erano incrociati un paio di volte provocando sempre nelle guance di lei un rossore un po' più accentuato, rispetto al colorito, invero già piuttosto acceso, provocato dal freddo.
Erano belli quegli occhi, azzurro vivo, con una punta di candore ancora attaccato, dovuto certo all'età ed alla sua, certa, innocenza. Ogni mio sguardo era da lei ricambiato con un accenno di sorriso e subito schivato volgendo gli occhi a terra e, come detto, accendendo le guance d'un più vivo rossore. Era bella davvero Lady Magdalene. La prima volta che l'avevo veduta era stato al ballo per festeggiare il nuovo anno. Avevamo danzato a lungo quella notte e, m'era parso, che la cosa l'avesse alquanto compiaciuta, un poco per il sorriso che mi donava, un po' perché quand'era seduta, la vedevo confabulare con le amiche ridendo dietro al ventaglio, guardando dalla mia parte ed indicandomi, quando pensava di non essere veduta. Quella mattina mi pareva ancora più bella. I lunghi capelli raccolti sulla nuca per poter calzare il copricapo. L'abito perfetto da battuta di caccia, gli stivali aderivano perfettamente a quei polpacci levigati e sodi. La pelle chiarissima e fresca di quell'età che s'accavalla fra l'adolescenza piena e la prima maturità di donna. I seni, germogliati, spingevano i bottoni della giacca blu da cui sbocciava una intrigante camicetta bianca appena merlettata, giusto un tocco di femminilità in quella divisa quasi austera, che lasciando aperto il primo bottone, permetteva all'immaginazione di scorrere lungo quel profilo che si prometteva generoso. Dieci minuti prima dell'alba. Sir Albert chiamò a sé noi uomini per il rito del bicchiere della staffa. Lanciammo un unico grido, come di un piccolo esercito che s'avvia alla guerra. Ingoiammo d'un fiato il liquore corroborante e partimmo al galoppo dietro alle mute dei cani che latravano impazienti ed eccitati. Io mi tenni un poco indietro per poter restare vicino a Lady Magdalene che si dimostrava un'ottima cavallerizza tanto da stare al passo con i migliori di noi. L'aria fredda si mescolava al rumore degli zoccoli, ed al fiato dei cavalli lanciati a briglia sciolta. Il rumore del corno ed il latrato dei cani, l'eccitazione del sangue prossimo ad essere versato, dell'ora che precede la cattura della preda. Lady Magdalene era seria, compresa nel suo ruolo ma, pur nondimeno, mi lanciava continue occhiate ed eloquenti sorrisi. La cavalcata sembrava renderla più sicura come se anche lei, come l'animale, avesse bisogno di briglie sciolte, per sentirsi viva. Mi tenevo a qualche metro da lei quando ad un certo punto ella si voltò e mi guardò con aria provocante e subito tirò la briglia a sinistra. Imboccò un sentiero laterale ed io la seguii. Cavalcammo per qualche minuto, lei davanti ed io a rincorrerla. Lady Magdalene si voltava a guardarmi e rideva, era chiaro il suo gioco. A poca distanza da lì c'era un cosotto di caccia del guardaboschi. L'appuntamento era lanciato, ed io l'avevo accettato. I rumori della caccia si allontanavano sempre più, ma io non me ne curavo. A dire il vero, penso che nessuno si fosse curato della nostra assenza anzi, credo, che se anche qualcuno lo avesse notato, stava certamente ridendo compiaciuto di quell'evolversi dei fatti. Vidi Lady Magdalene saltare un ostacolo improvviso, niente di difficile, intendiamoci, una siepe che cingeva un campo, ma il mio cavallo, forse distratto, giuntole di fronte s'impuntò ed io
caddi rovinosamente. Lady Magdalene non s'avvide della mia caduta e procedette spedita verso la nostra promessa alcova. Mi alzai imprecando contro il cavallo e contro la sfortuna. Presi le briglie e cercai di calmare l'animale quando ad un tratto, da dietro un cespuglio, la vidi apparire. Rimasi di stucco nel vederla così, sola, immobile, mentre mi guardava. Aveva gli occhi tristi, umidi, era impaurita, ma mi guardava. La volpe era a pochi passi da me. Non ne avevo mai vista una così bella. La coda lunga e folta mescolava al pelo fulvo, dei peluzzi bianchi che la rendevano ancora più elegante. Ma quello che mi colpì di sicuro fu lo sguardo, come dire, quasi umano, che mi regalò. Era lo sguardo indifeso di chi si offre, senza chiedere nulla in cambio. Abbracciai d'istinto il mio fucile, ma lei continuava a guardarmi. Con quegli occhi sembrava svelarmi il suo mondo. La sua paura, la sua fatica della fuga, la sua volgia di vivere ancora, libera, tutto era racchiuso in quegli occhi che mi guardavano e che io guardavo. Puntai il mio fucile ma avevo i suoi occhi stampati dentro al mio sguardo. -"Fermati!"- urlai, ma la volpe continuando a guardarmi si avvicinava. Aveva il capo abbassato, ma gli occhi no, buoni, calmi, fissi dentro ai miei. -"Fermati o sparo!"- le urlai ancora, ma sapeva, come lo sapevo io, che mai avrei fatto fuoco. Quando mi fu vicina si accovacciò ai miei piedi ed incominciò a leccarli. Non fu un gesto di paura, sentivo che non lo faceva per ingraziarsi la mia compassione, era un gesto spontaneo, era il gesto di chi ha deciso, in un attimo, che nulla della sua vita sarebbe più stato come prima di quell'incontro. Abbassai il fucile e m'accucciai sulle ginocchia. Accarezzai un poco la testa fulva della volpe e lei, subito, leccò la mia mano. Sentii un brivido dentro. Sentii il caldo ed il ruvido di quella lingua sulla mia mano e ne colsi tutta la dolcezza del gesto. Lei era la volpe ed io il cacciatore eppure era lei che mi stava braccando. Sentii un colpo raggiungermi il cuore quando con la coda iniziò a strofinarsi al mio stivale. Non pensavo più a niente, in quel momento, non pensavo più alla bella Magdalene che, di sicuro, impaziente, mi aspettava ormai al casotto del guardaboschi; non pensavo ai compagni di caccia, a sir Albert... Sentii che il mio mondo era lì in quello sguardo, in quel suo, dolce, leccare il mio palmo di mano. M'accorsi per la prima volta, del significato profondo dell'abbandono. La volpe, la preda, s'era accucciata davanti a me, non per paura, ma solo per amore. Non so come chiamarlo diversamente, quel sentimento a volte improvviso che ci coglie e che ci fa gettare, istintivamente, nelle braccia di uno sconosciuto, senza rimorsi, senza rimpianti, senza niente da nascondere o da conquistare, con la sola certezza che donandosi completamente, senza condizioni, possiamo sperare di non sciupare quell'occasione che ci appare unica, irripetibile. Quella volpe era in un attimo diventata la "mia volpe", sentii per lei una tenerezza improvvisa, un senso di abbandono. Sentii che la mia vita fino ad allora era stata vuota di quell'amore improvviso, dirompente e pieno, di quell'amore senza condizioni, che non ha bisogno d'apparire o di mostrarsi se non nella sua dolce consistenza. Da sei anni ormai, vivo nel bosco, in compagnia della "mia volpe". Giriamo fra le piante e non mi abbandona mai. Quando l'accarezzo lei mi guarda e, sembra strano, ma, sorride. Io l'amo ormai perdutamente e lei mi ama. So che forse voi non capirete, non s'è mai sentito d'un cacciatore che ama, riamato, la sua preda. Non s'è mai sentito d'un cacciatore che ama la sua volpe. Forse vi sembrerà strano, ma ho voluto raccontarvi la mia storia per ricordarvi che l'amore, spesso, si copre di mille forme e che dobbiamo scoprirlo, cercandolo col cuore, e non dobbiamo avere pudore d'ammetterlo, anche quando, ci fa paura.