La mano di Giorgio premurosa aprì la porta del Bar, entrò dando uno sguardo fugace attorno e subito dietro lei, Elena, bellissima come un mattino d’estate, con un sorriso acceso in volto che illuminò d’un bagliore l’intera sala. Se ne accorse persino il cameriere, il solito, che conosceva bene Giorgio e per questo gli lanciò un cenno d’intesa, muto, uno strizzar d’occhio ed un breve ammiccamento verso di lei che voleva dire un tutto misto di ammirazione, compiacimento e approvazione.Sono discorsi brevi, fra uomini, quelli sulle donne. Spesso quello che si vuol dire e ci si aspetta di sapere si condensa tutto in uno sguardo, in un muover delle sopracciglia, in uno schioccar di lingua.Sono di poche parole gli uomini sulle donne. Forse perche non sanno cosa dire di loro, forse perché davvero non ne arrivano a cogliere il mistero o la natura, e si limitano a descriverle partendo dal contorno, dalla buccia, e non riescono mai a penetrarne la polpa.Ma son discorsi questi d’altrove, e non di questa storia dove gli sguardi fra Giorgio ed il cameriere di quel solito Bar avevano esaurito lo scambio del dare e del sapere.Era la prima volta che Giorgio portava Elena nel “suo” locale, dove “il solito” era “il solito” e non aveva bisogno d’altre spiegazioni, anzi, a dirla tutta, a volte nemmeno d’esser detto, ordinato, chè il cameriere ormai abituato, lo precedeva con un gesto sicuro.Era “solito” il tavolo, o tuttalpiù il bancone quando si trattava d’aspettare che il tavolo “solito” si liberasse di qualche avventore.Giorgio l’aveva portata lì perché lì si sentiva al sicuro.Strano modo di fare quello degli uomini con le donne. Anche quando queste li lasciano padroni del campo hanno bisogno di proteggersi, e Giorgio si proteggeva, da uomo, in quelle mura che lo conoscevano bene, dalle quali non poteva attendersi sorprese, verso le quali non doveva prestare cauta attenzione. Solo così si sentiva certo di potersi dedicare interamente a lei, ad Elena, e non per una cortesia o il desiderio di potersi donare per intero, no, principalmente per il bisogno di capire quanto e come doversi difendere da lei, o dove e quando poterla colpire.E’ una guerra alle volte, per un uomo, la conquista di una donna, fatta di agguati e di attese. No, a pensarci bene non è una guerra, piuttosto è una guerriglia.Quella delle donne invece è una battaglia in campo aperto. Loro quando vogliono un uomo lo affrontano guardandolo in viso , con un largo sorriso. Ed è proprio lì, sul campo aperto che l’uomo perde ogni suo potere, perde la capacità di reagire. E soccombe, spesso, persuaso d’esser lui il vincitore.Il cameriere si avvicinò sorridendo e con fare amichevole si rivolse a Giorgio con un saluto, come se fosse quello l’inizio della loro conversazione, come se quello scambio muto d’occhi e sorrisi e ammiccamenti, non fosse mai avvenuto. Gli uomini fingono, a volte, ma sono goffi li scopri al primo sguardo mentre lo fanno. Le donne quando fingono sono invisibili.Elena finse di non vedere, di non avere visto, infondo era un bugia benevola ed anzi sorrise compiaciuta dentro di sé prendendo tutto quello che era avvenuto come un muto ma esplicito complimento. Si concentrò invece sul foglio che il Cameriere le aveva gentilmente offerto. Era la lista dei drink che lesse con molta attenzione per intero e che poi ripose sul tavolo guadando Giorgio con un sorriso. Era quello il segno del suo lasciare a lui la decisione, per alcuni il modo di adeguarsi ai gusti di lui, per altri invece la sfida a cogliere anche in quella piccola scelta, i suoi desideri. La prova con la quale lei lo avrebbe giudicato capace o meno di interpretare e soddisfare le sue attese, la sua capacità di coglierla dentro, di leggerla, di saperla compenetrare.Giorgio la guadò in quel gesto e , rapido, decise che non era il caso di sfidare il destino allora, non con quella scelta, in quel momento. Rispose al sorriso con un sorriso e poi, con tono calmo e sicuro, si rivolse al cameriere lasciando uno sguardo di soppiatto ad Elena:-“stasera lascio al tuo genio – disse al cameriere on tono confidenziale – l’arte di stupirci ed interpretare al meglio i nostri desideri”-Elena sorrise di quella terza via che, con apparente tranquillità, Giorgio aveva deciso di intraprendere, schivando lo scontro aperto. Era una via di fuga elegante ed Elena, benché non amasse i pavidi, ammirava l’eleganza. Restò in bilico se giudicare quella scelta più vigliacca o più elegante. Si risolse per la seconda opzione, e lo comunicò muta a Giorgio con uno sguardo di soppiatto misto fra il divertito ed il compiaciuto.Giorgio si sentì sollevato, anzi si sentì un Campione. Pensò alle forme, a quante forme, il linguaggio fra due corpi assume e come può cambiare di forma in un solo attimo: la voce, i gesti, lo sguardo ed infine l’empatia, quello stato miracoloso del tempo e delle cose che tocca le persone, le sfiora e poi le invade. Nell’empatia Giorgio riusciva a compenetrare l’altra persona senza sfiorarla nemmeno. Riusciva ad essere l’altro, e dentro l’altro a vedere il mondo coni suoi occhi.Così succedeva a volte per attimi.Sorrise Giorgio pensando fra se all’empatia e si accorse proprio in quell’istante che anche quello che stava e stavano vivendo altro non era se non un attimo di quelli, dove tutto era perfetto, l’aria attorno immobile, nessuna voce, nessuna domanda solo un frusciare d’occhi ed un loro fitto parlare. Se lo domandò Giorgio, ancora una volta, come sempre,:-“ qual è la durata di un attimo?”-Forse la risposta, o una risposta delle possibili, era racchiusa in quello scambio d’occhi, nel guardare Elena mentre lo guardava.L’attimo era forse il punto in cui la gioia si confondeva con il cielo e l’occhio s’allargava fino a contenere tutto il creato. L’attimo era il punto, che durava un attimo, in cui il prima ed il dopo sembrano raccolti fra parentesi invisibili. L’attimo era l’attimo in sé. Unico, solitario. Un istante, un fotogramma che a guardarlo in un continuo lo potevi staccare dalla restante parte del racconto e farlo diventare un racconto a sé.E durava un attimo appena, o un’ora o un mese o un tempo indefinito. L’attimo era la discontinuità nel percorso della vita, quel non si sa cose che ti fa distogliere dal cammino abituale. L’attimo era la nascita, la morte, il primo bacio, un dolore grave. L’attimo era l’istante unico, senza il quale il prima ed il dopo potrebbero tranquillamente esistere ma senza il quale l’emozione non avrebbe potuto sperimentare in suo discontinuo.L’attimo era il sonno della ragione, il suo momentaneo abbandono. L’attimo era l’immagine che il ricordo avrebbe mantenuto vivida nel tempo, appiccicata nel proprio album della memoria.L’attimo allora, era la luce che illuminava Elena e quel sorriso che apertosi sul suo volto, illuminava la stanza. E non importava allora del prima o del dopo, del quanto o del dove, di quella storia che forse si sarebbe aperta, e magari col tempo (ma quanto? ma quando?) poi richiusa. L’attimo era quell’attimo di perfezione quando anche i pori della pelle si allargano ed il sangue pulsa dentro le tempie e attorno pare ci sia un caldo insopportabile e poi un quasi niente. E si sta bene e poi in ansia e poi ancora bene.Frugò nella memoria alla ricerca di altri attimi e li trovò lì pronti ad aspettarlo. Non ne voleva fare un paragone. Gli attimi non si misurano in qualità ma in numero. Ogni attimo è importante anche se poi tutti sono differenti.Vide la mano di Elena poggiata sopra il tavolo, la vide morbida, accogliente. La immaginò come di nuvola e lui per questo allungo la sua tenendo lo sguardo immerso negli occhi di lei.Quando le dita sfiorarono la pelle colse quel timido calar di ciglia subito scalzato da un nuovo sorriso che voleva dire:-“avanti”-Così, chiedendo un permesso muto, e ricevendone accesso allo stesso modo, Giorgio strinse un poco la mano di lei nella sua. E si sentì leggero, come se quella di Elena non fosse mano ma davvero nuvola, e lui con lei stesse volandoE forse la ragione del volo era proprio tutta in quell’attimo, a volerla vedere, a saperla cogliere. Si vola solo col cuore terso, e tutti gli uomini nascono per poter volare ma poi le zavorre del cuore tengono i piedi piantati a terra, ed è per questo, forse, che negli stati magici dell’amore, quando il cuore perde tutto il suo peso, si torna a sentirsi in alto, si torna ad essere capaci di volare.