Zagara&Pepe

TUTTE LE STORIE DEL MONDO - capitolo dopo


A rileggerle con voi, assieme a voi, queste pagine nate e oggi tornate, a rileggerle con quegli stessi errori con cui sono arrivate di getto, ho trovato anche un piccolo vuoto dentro di me. Un vuoto per qualcosa che non era stato detto o che forse solamente il tempo ha rispolverato, o gli anni, o quel male che, come disse il Poeta, non ha un nome preciso, se non VIVERE.Ed allora sono tornato su quelle pagine, per me s’intende, che lo capisco bene che voi ne avreste fatto a meno, probabilmente, sono tornato con qualche nuova riga ed un pensiero, che ve lo svolgo qui, con questo CAPITOLO DOPO che non è mai apparso se non dentro di me, ultimamente. +++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++ Era una di quelle notti di prima estate, quando fuori t’aspetteresti Primavera in fiore e frescura e lo sbocciar dei profumi del gelsomino  a cullare quel primo sonno in cui la veglia e la ragione paiono combinarsi alterni, e tu un poco sussulti come un motore che ha deciso di spegnersi ma piano, e poi sprofondi e s’appartano i pensieri mentre i sogni assumono allora una nuova consistenza.Ma no, in quella notte fuori era arsura e dentro di me pure. L’anima in tempesta cavalcava l’oblio e contendeva al sonno il predominio sul mio stato. Mi rigiravo allora nel letto fattosi fornace e dentro di me i carboni ardenti dei mie pensieri. Afa attorno. Afa scorreva nelle mie vene. Il sangue fattosi caldo già bolliva, e non di rabbia no, correva dentro le cavità consuete, lungo viali fatti di noia alla ricerca d’un chè di risolutivo. Di nuovo. Stato d’ansia che coglie impreparati la notte quando uno vorrebbe ristoro e trova invece l’irrequieta insoddisfazione e tutto, ma dico tutto, nel creato, gli par fuori di posto.Fachiro bianco. Ecco il destino dell’animo irrequieto che si rivolta su un giaciglio fatto di spuntoni e rovi che strappano le carni.Accavallavo i pensieri cercando di farmi sommergere da essi per poi sprofondare se non nel sonno, almeno nell’oblio. Elencavo mentalmente le pagine del mio passato sparigliando il più recente e rifugiandomi in quello più lontano. Mescolavo gli occhi, le carezze e i baci, rivedevo il mille volte già visto, il già vissuto e poi il rivissuto attraverso la lente d’una rimembranza che no,  non s’era fatta nostalgia  dei fatti, al più del tempo  trascorso come un giorno di festa speciale che vorresti riattendere ma sai che s’è fatto lontano, ed un giorno così, certo, non lo potrai più ritrovare.Così paiono allora gli anni trascorsi, li vedi e li scambi per stelle. Sembrano fissi, perenni e luccicano in cielo e nulla, diresti nulla, li potrà mai cambiare o scalfire, poi il giorno dopo o quello appresso somigliano a comete mentre li rincorri cercando di afferrarne la coda. Infine ti accorgi che la loro orbita non ritorna. Ed allora capisci che sono meteore. Visti per un istante e poi spariti, nell’infinito, per sempre.Sono un rifugio i ricordi in queste notti, dove labbra sfiorate mormorano ancora alle labbra di oggi e le mani più volte intrecciate disegnano l’aria tendendo ad infinito.Così vengono i ricordi, a frotte, e l’anima ne viene quasi sopraffatta.E fu così che in una piega d’un discorso ripetuto a memoria, in un angolo che avrei detto fino a poco prima isolato, fui così che dal buio mi apparve una figura.Impallidii, anzi, credetti di cadere. Ma ero disteso sul letto. Mi aggrappai con forza al materasso convinto che il mondo si sarebbe presto capovolto.Era lei. Il viso fattosi ancor più bello, se possibile, di quanto il ricordo me la dipingesse a volte.Era lei che mi aveva cantato e poi raccontato tutte le storie del mondo e fatto provare il loro sapore, e spiegato ogni significato, e amato, amato si, come la notte di ogni prima notte.Sentii il cuore tacere. Per un istante. E poi sobbalzare e correre come avevo visto fare ai puledri lanciati al galoppo nella pianura, o come le barche con quella vela gravida di vento a spingerle sempre oltre, o come il tempo, le ore, quando paiono istanti, mentre sfami il tuo amore fra le braccia dell’amata. Deglutii, non ebbi il coraggio di parlare preso dal timore che un mio intervento facesse sparire il sortilegio.La ragazza taceva nell’ombra e sorrideva. Non  aveva con sé nessuno strumento. Soltanto un fiore. Uno splendido girasole maturo. Giallo sgargiante con il cuore di semi scuro.Con l’indice carezzava i petali, sfiorandoli, uno ad uno girando attorno nel senso del muover del sole, ed il fiore anch’esso girava con lei al muovere delle sue dita.Poi d’improvviso la vidi fermarsi ed intingerlo nel cuore fra i semi maturi. Ed il dito, quel suo dito sembrava allora, no anzi….penetrava il cuore del fiore sparendo a poco a poco nel suo interno come se una cavità misteriosa lo accogliesse, ma alla mia vista era soltanto un fiore ed uno stelo eppure…-“Eppure le cose a volte non sono come sembra possano apparire…”- disse la ragazza a voce alta continuando con la sua parole il discorso che i miei pensieri avevano interrotto. Accolsi quel che un tempo mi sarebbe parso come un prodigio come un evento naturale. Ella mi compenetrava e leggeva  il mondo con i miei occhi, e leggeva dentro di me come in un libro ed io mi lasciavo attraversare e sventrare, e illuminare in ogni angolo, anche il più nascosto.Nulla del mio essere o del mio apparire poteva esserle celato.Ero felice di quel ritrovarci in quel punto, in qualsiasi punto della mia coscienza (o incoscienza) ci fossimo trovati. In qualsiasi parte dell’universo, su qualsiasi casella del mio viaggio.Era serena, non c’era collera o turbamento. Mi sentii sollevato.Allo sguardo dei suoi occhi non ero apparso dunque in colpa.Accennai ad iniziare un discorso. Estrasse l’indice dal cuor del Girasole e lo pose sulle mie labbra con un gesto eloquente. Era il momento di tacere, quello.-”Conosco le tue storie nuove, me le ha portate il vento che ha raccolto tutti  i tuoi silenzi e poi la rugiada trasformatasi in brina che ha ricoperto il tuo cuore. Ma oggi son qui io per raccontarne una tua perché so che la tua voce non le presterebbe voce, perché so che in cuor tuo hai già perdonato e non è quindi il rancore che ti spingerebbe, no, anzi, si direbbe che è proprio l’amore. L’amore per il giusto, per il non ferito, il non ucciso. L’amore per le parabole senza condizioni ed i viaggi tesi verso un infinito terso ed i giochi all’ombra di un albero mentre il mondo fuori respira calura. Amore per quell’isola che si chiama limpidezza che accoglie solo gli occhi di cristallo che sappiano muoversi dentro, prima, e poi, sappiano coniugare il proprio sguardo con quello dell’altro.”-Mentre lei parlava il fiore aveva cominciato a roteare come seguendo rotte d’infiniti soli, come se il tempo fosse una variabile indefinita e passassero in quel breve istante i tutti giorni  trascorsi, fino alla prima notte, oppure quelli che ancora dovranno passare fino all’ultima. Come se in quel punto  il tutto da imparare ed il tutto già imparato fossero fusi in un’unica ragione ed il prima e il dopo ed il durante fossero variabili si ma di un solo discorso.Com’è retta la via quando tutto il cammino appare davvero chiaro. Il traguardo è un punto ed un punto è pure la partenza tanto che, al limite, partenza ed arrivo, essendo punti, possono davvero coincidere. E puoi viaggiare allora da quel punto ad ogni punto infinito, anche senza muovere un passo, che tutti i punti si ritrovano in quello stesso, e  il mondo, e l’universo sono punti infiniti d’un solo spazio.Tutto allora è in equilibrio. Perfetto. Non c’è distanza alcuna fra ragione e cuore. E non c’è distanza fra un punto e l’altro in ogni altro dove.-"Ma non ne parlerò per te piuttosto per chi come te oggi ascolta e potrà e vorrà ascoltare le storie, ed altre storie portare in grembo e poi partorire e crescerle e farle camminare verso un dove che ancora non conosce dove, uscendo da chiusi ombrosi e riversandosi per le strade assolate del primo pomeriggio mentre l’afa accompagna la calura ed il sonno lieve avvolge tutte le creature.Io parlerò per te allora, del ragazzo con gli occhi di pane, fatti di farina impastata con acqua e sale, quella stessa che volte riga le guance e scivola in rivoli che increspano la pelle perdendosi poi fra labbra socchiuse. Io parlerò di lui e dei suoi occhi, e delle sue parole di cristallo, come l’anima, come il desiderio. E parlerò del prima e del dopo, di quando le parole sono leggere come un grano di sabbia, e volano nell’aria sospese fra terra e cielo, sospese  in un  paesaggio indefinito capace di attrarre in cielo anche l’animo più spaesato e solo, e stanco, l’animo in cerca d’un punto da cui guardare il futuro. Ecco che la vetta si fa orizzonte e poi da quella lo vedi alfine il limitar del giorno dopo, e ti par si sia fatto più lontano. Ed una vetta allora diviene solo un punto da cui vedere una vetta più lontana, un nuovo punto d’arrivo che sarà soltanto il punto per un’altra ripartenza. Ed io poi parlerò delle parole del dopo quando persa la loro impalpabile consistenza diventano, a volte, macigni, pesi insormontabili che ti gravano sopra le giunture e piegano i ginocchi e gli arti si fanno molli, ed è impossibile camminare e persino sorreggersi.Ci pensi? A volte è così pure l’Amore. Ti coglie leggero, ti sguarnisce il cuore e ti fa volare e poi d’un tratto ti fa sentir le gambe tremule che quasi non ti sai nemmeno più rialzare.Ecco di cosa parlerò, e non per te ma per loro, che sappiano ascoltare e poi raccontare, che gravidi di storie partoriscano altre storie che per il mondo sappiano viaggiare.Ora è ben risaputo che le parole generino altre parole, che s’affollino a volte, tutte in fila, per  voler uscire e mormorare, o a volte gridare, gli stati dell’animo e le sue considerazioni.Ma se la parola preme il cuore e poi da lì giunge al diaframma ecco che in quel mentre la discontinuità della mente può cambiarne il senso, finanche il suo significato. E forse la leggerezza del cuore a volte è scusante, paravento al senso mutato  o al significato che una volta espresso, appare irrimediabilmente cambiato.Nascono da cuore a volte le parole, e del cuore portano l’aritmico ondeggiare. Toc, toc. Danzano in modo sinuoso e danzando ti fanno ballare. Cullano i tuoi sensi allora le parole e nella danza li ubriacano, a volte, e li fanno sbagliare.Tu ben lo sai che il peso  d’una parola varia a seconda del suo significato. E sai che le parole non nascono per fato o dunque, giusto per una convenzione. Ma stanno a volte immerse dentro un limbo. Metà nella cosa l’altra metà fra gli usi che col  linguaggio le genti si son date. Leggi della linguistica direbbe forse qualcuno.Convenzioni del modo e sul modo di farsi comprendere.E se il peso d’una parola è il suo significato altro diviene allora se la concateni  in una serie fattasi discorso, o magari fiaba. Ecco si, che muta come pupa in farfalla e perde o dimezza il suo significato cedendo il dominio della scena al significante.Comanda allora la cadenza ed il colore e il tono. Finanche gli occhi ed il sorriso del narratore potrebbero aver gioco migliore su chi l’ascolta rispetto al significato  glabro d’un singolo elemento.Ecco, poniamo il caso, che nel parlar d’Amore, nel narrarlo, il significato sublime del concetto d’Amore perda il suo valore assoluto per diventar il canto dell’usignolo, il richiamo della sirena. Ecco che il suo valore si dissolve allora, s’annacqua  ed il significante di quel discorso, la sua cadenza, il suo ritmico ondeggiar di fronde prenda il sopravvento.Eppur c’è ancora chi ascoltando Amore lo valuta come il suo profondo significato ritagliandolo dallo sfondo, perdendo di vista anzi del tutto il contesto.Ma io lo so bene che voi che ascoltate avete l’animo buono, e il cuore batte ad una direzione, ma una cosa vi chiedo: non parlate mai, non fatelo nemmeno per sbaglio, non contagiate il ragazzo con gli occhi di pane parlando d’Amore con un Amore in cui la parola ha perso il suo significato.Non fate con lui discorsi dove il significante prevale sopra il concetto, non raccontategli fiabe, e non cullate i suoi tramonti con il canto dell’usignolo che la parola, l’alito il respiro ed il bacio scavano nel profondo come il dito entra ora dentro a questo fiore.  Voi non lo direste che è possibile credere alle parole più che alla vista eppure…. “-S’interruppe. L’indice era nuovamente penetrato dentro al girasole fino alla sua attaccatura con la mano. Sembrava sparito dentro al fiore eppure…-“ …eppure – riprese la ragazza – le parole hanno un peso e dunque una consistenza e non mostrano l’apparire delle  cose ma la loro autentica essenza. E dunque voi che amate la parola amate il vero d’una esistenza e voi che invece levigate il guscio non avrete mai la forza di penetrarlo davvero e resterete lì, immobili, sospesi, a scivolare sulla  buccia.Con ciò concludo e vi dico : solo la parola arriva al cuore d’ogni persona, ne scava l’anima e la spoglia. Ne scopre il significato autentico, e ogni parola resasi poi discorso diventa una funzione più importante.  Costruisce un significante che diviene allora storia e cambia le convenzioni ed i  modi di pensare diventano condivisione.Voi che avete la forza di coglier le parole ed il loro segno avrete il coraggio di amare l’essenza delle persone e di scoprir così l’Amore nella sua estasi più sublime….”--“L’essenziale è invisibile agli occhi…- mormorai fra me. Un mormorio che non sfuggì alla ragazza che soggiunse –“ E’ vero, non si vede che col cuore, ma col cuor vedono gli angeli e non gli umani. E chi le scrisse questa parole lo sapeva bene, perdonando agli umani il vedere un cappello in quel disegno in cui il boa ingoiava invece l’elefante.Tu, con i tuoi occhi di pane, incontrerai molti uomini e molte donne in questo cammino e non dovrai mai rimproverare loro d’amare la cadenza anzichè il contenuto. Incontrerai molti uomini e molte donne, persone che cercano di dar risposte alla loro natura ma che non trovandola si rifugeranno nella parola trasmutandone però il significato. Ma incontrerai anche qualche angelo che saprà mirare al cuore d’un discorso ed è con gli angeli che parlerai e potrai sprofondare negli abbracci infiniti dell’amore.Amare le parole o la cadenza o il discorso non è come amar di conseguenza gli occhi di pane.Tenetelo a mente, anzi, nel cuore.”-Su quelle parole precise il girasole si fermò.Amare le parole non era come amar chi le porgeva. Amare il figlio non implicava l’amar di sua natura la madre.Guardai la ragazza e il mio cuore si fermò un poco. Con le dita stava togliendo i petali ad uno ad uno al girasole, e poi anche i semi. Terminò che il fiore era spoglio e la mano piena di petali e semi.Aprì il palmo e poi con un soffio fece vola via tutto il suo contenuto.Volavano semi e petali, volavano in un vortice di vento che in breve avvolse il tutto attornoSentii un filo di voce oltre quella tempesta.-“Regalerò un petalo ed un seme a ciascuno di voi perché possiate germogliare in grembo la vostra storia nuova e possiate raccontarla con occhi nuovi all’amore che avete accanto o a quello che ci sarà, perché è l’amore che muove le vostre storie e all’amore tutte ritorneranno”-Gli occhi di pane si chiusero un instante. Tutto tornò calmo come se nulla fosse accaduto. Soltanto un petalo ed un seme appoggiati sul cuscino accanto del letto erano il ricordo di quanto avvenuto.Me li appoggiai sul ventre e poi sul cuore, sapendo che un nuovo amore, e poi una nuova storia, sarebbero quindi germogliati, nel mio cuore, come in quello di ognuno. (FINE. PER ORA)