Il duomo in Facebook

Post n°249 pubblicato il 17 Dicembre 2009 da zmblog
 

Il Duomo in Facebook
Dopo la meritatissima beatificazione di Stefano Cucchi e tutti gli altri detenuti morti per i pestaggi in carcere, dopo la condanna unanime e feroce di alti ufficiali della polizia di Stato implicati nelle vicende del G8 di Genova nel 2001, dopo il risarcimento morale e materiale di tutte gli uomini liberi, vittime della violenza gratuita dell'uomo negli ultimi 65 anni, finalmente nello studio di Porta a Porta è stato...
marco_vuchich
 
La legge è al di sopra di tutto, l'umanità è al di sopra della legge (Tobya [?] dai titoli di coda del film "12" di Nikita Mikhalkov) 
 

 
Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio, ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità. (George Bernard Shaw)
 
 
 
Imparare è un'esperienza, tutto il resto è solo informazione. (Albert Einstein)
 
 
La saggezza non può essere trasmessa. La saggezza che un saggio tenta di trasmettere suona sempre simile alla follia. (Hermann Hesse)
 
 
     marco_vuchich    
 
 
Agire e pensare come tutti non è mai una garanzia e non è sempre una giustificazione.  (Marguerite Yourcenar)
 

Siamo sepolti sotto il peso delle informazioni, che vengono confuse con la conoscenza. La quantità è scambiata con l'abbondanza e la ricchezza con la felicità. È la pazzia che germoglia nei nostri cervelli. Siamo scimmie armate e piene di soldi. (Tom Waits)

zmblog

 
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INDAGINE ESPLOSIVA

Post n°248 pubblicato il 20 Novembre 2009 da zmblog

I pm pronti a riaprire l'inchiesta sul premier per le stragi. Mentre altri boss potrebbero parlare. E provocare un terremoto politico.

INDAGINE ESPLOSIVA

Le rivelazioni del mafioso Gaspare Spatuzza possono portare ad una nuova inchiesta di mafia a Firenze e Caltanissetta che coinvolgerebbe il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il suo amico Marcello Dell'Utri.

 

Il neo pentito racconta pure nuovi risvolti giudiziari su un alto esponente politico del Pdl che in passato avrebbe incontrato i boss Giuseppe e Filippo Graviano, perché accompagnava alcuni imprenditori che erano loro prestanome. Pesano le affermazioni di Spatuzza su mafia e politica e i riscontri investigativi rischiano di condizionare il panorama politico italiano.

Ma la grande paura di Berlusconi è nascosta dietro le facce dei Graviano, due capi mafia non ancora cinquantenni, che in cella indossano golfini di cachemire e leggono quotidiani di economia e finanza. Sono detenuti da 15 anni e sul ruolino del carcere è segnato: fine pena mai. Hanno un ergastolo definitivo per aver organizzato le stragi del 1993. Ma custodiscono segreti che se fossero svelati ai magistrati potrebbero provocare uno tsunami istituzionale. I loro contatti e i loro affari sono stati delineati ai pm dal collaboratori di giustizia Spatuzza, che era il loro uomo di fiducia, e poi da Salvatore Grigoli e Leonardo Messina. Pentiti che parlano di retroscena politico-mafioso fra il 1993 e il 1994: gli anni delle bombe e della nascita di Forza Italia. Le nuove rivelazioni hanno portato i magistrati di Caltanissetta e Firenze a valutare la possibilità di riaprire le inchieste su Berlusconi e Dell'Utri. Indagini che farebbero ripiombare sul presidente del Consiglio l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, mentre per il suo amico e cofondatore di Forza Italia quella di concorso in strage aggravata da finalità mafiose e di terrorismo.

Il premier lo scorso settembre pensava proprio a questa ipotesi, dopo che sono iniziati a circolare i primi boatos scaturiti dalle rivelazioni di Spatuzza, quando ha attaccato i magistrati di Firenze, Palermo e Milano. Affermava che si trattava di «follia pura» ricominciare «a guardare i fatti del '93 e del '92 e del '94. Mi fa male che queste persone pagate dal pubblico facciano queste cose cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene del Paese». L'inchiesta è sui presunti complici a volto coperto di Cosa nostra nelle stragi di Roma, Firenze e Milano, in cui il premier e l'ex numero uno di Publitalia sono stati coinvolti dieci anni fa e la loro posizione è stata archiviata dal gip. In quel decreto, firmato il 16 novembre 1998, veniva spiegato che «l'ipotesi di indagine (su Berlusconi e Dell'Utri) aveva mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità». Ma in due anni di lavoro, non era stata trovata «la conferma alle chiamate de relato» di Giovanni Ciaramitaro e Pietro Romeo, due componenti del commando mafioso in azione nel nord Italia, diventati collaboratori di giustizia. Dopo 24 mesi il gip di Firenze ha archiviato tutto per decorrenza dei termini, scrivendo però che «gli elementi raccolti» dalla procura non erano pochi: era convinto che i due indagati avessero «intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato». Pensava che «tali rapporti» fossero «compatibili con il fine perseguito dal progetto» della mafia: cioè la ricerca di una nuova forza politica che si facesse carico delle istanze di Cosa nostra. Ma tutti quegli indizi non erano «idonei a sostenere l'accusa in giudizio». Per cui «solo l'emergere di nuovi elementi» avrebbe a quel punto portato alla riapertura dell'inchiesta.

È quello che potrebbe essere fatto adesso. Oggi sappiamo dal neo pentito Spatuzza che Giuseppe Graviano, già nel gennaio '94, sosteneva di aver raggiunto una sorta di accordo politico con Berlusconi, e raggiante ripeteva: «Ci siamo messi il Paese nelle mani». Ma dopo Spatuzza c'è chi ritiene si possano registrare altre defezioni di rango tra le fila dei mandanti ed esecutori delle stragi: nuove collaborazioni che diano ancora più peso alle accuse. Magari a partire proprio da Filippo Graviano. Era stato proprio lui, nel 2004, a comunicare in carcere a Spatuzza che «se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati». Erano trascorsi dieci anni da quando suo fratello Giuseppe sosteneva di aver agganciato Berlusconi tramite Dell'Utri, e secondo il pentito la trattativa fra Stato e mafia proseguiva ancora.

Ma i detenuti, stanchi di attendere una soluzione politica a lungo promessa, ma non ancora completamente realizzata, adesso minacciano di vendicarsi raccontando cosa è davvero successo nel 1993-94. Quello che dice ai pm Spatuzza si collega ad alcuni retroscena dell'indagine della procura di Napoli sul sottosegretario Nicola Cosentino di cui è stato chiesto l'arresto per concorso esterno in associazione camorristica. Sembrano apparentemente due mondi lontani, ma a metterli in contatto sono alcuni esponenti di Forza Italia che si rivolgono fra il '94 e il '96 a boss di mafia e camorra promettendo, in caso di vittoria elettorale, «un alleggerimento nei loro confronti».

E da questi discorsi emerge il progetto della dissociazione, cioè l'ammissione delle proprie responsabilità in cambio di sconti di pena, senza accusare altre persone. Spatuzza, parlando della trattativa con lo Stato, che sarebbe proseguita fino al 2004, spiega che durante la detenzione «Filippo Graviano mi dice che in quel periodo si sta parlando di dissociazione, quindi a noi interessa la dissociazione ». E dello stesso argomento aveva discusso il casalese Dario De Simone, con l'onorevole Cosentino.

Adesso il premier ha paura di quegli spettri che 16 anni fa lo avrebbero accompagnato nella sua discesa in politica. Ma lo spaventa anche la ricostruzione di tutti gli spostamenti dei Graviano nel 1993. Perché gli investigatori sono in grado di accertare le persone con le quali sono stati in contatto. I tabulati di alcuni vecchi cellulari utilizzati dai fratelli stragisti sono stati analizzati dagli investigatori con l'aiuto di Spatuzza. E grazie a questi documenti è possibile dimostrare con chi hanno parlato.

Su questi fatti vi sono due indagini. Una coordinata dal procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi con i suoi sostituti Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini; l'altra condotta dal capo della Dda di Caltanissetta Sergio Lari con l'aggiunto Domenico Gozzo e i pm Nicolò Marino e Stefano Luciani.

Lari ha riaperto da mesi i fascicoli sui mandanti occulti delle stragi e la scorsa estate Totò Riina ha fatto arrivare un lungo messaggio attraverso il suo avvocato. Riuscendo a bucare il carcere duro imposto dal 41 bis. Per il capo di Cosa nostra la responsabilità della morte di Borsellino era da addebitare a «istituzioni deviate». Un messaggio torbido. E così Lari e i suoi pm sono andati a interrogarlo. Nello stesso periodo, i pm di Firenze interrogavano Giuseppe Graviano.

È lo stesso stragista a rivelarlo durante una deposizione a difesa dell'ex senatore Vincenzo Inzerillo nel processo d'appello di Palermo in cui è imputato di mafia. Graviano dice: «È venuta la procura di Firenze. Mi hanno detto solamente: "Siamo venuti a interrogarla per i colletti bianchi". Gli ho detto: "Mi faccia leggere i verbali" (riferendosi alle dichiarazioni di Spatuzza, ndr) e aspetto ancora...».

La coincidenza vuole che poche settimane dopo questi due episodi, il deputato Renato Farina (Pdl), alias "agente betulla", entra nel carcere di Opera, nell'ambito dell'iniziativa promossa dai Radicali. L'ex informatore dei servizi segreti si ferma a parlare con Totò Riina. Poi il deputato prosegue il giro "cella per cella" degli 82 reclusi sottoposti al 41bis. Casualità vuole che in questo istituto è detenuto pure Giuseppe Graviano. I boss lanciano messaggi, e i politici che comprendono il loro linguaggio sanno come rispondere. Ma adesso un mafioso pentito è pronto a decifrare questo codice segreto.

di Lirio Abbate - espresso.it.
Ripreso anche da: antimafiaduemila.com.

 
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QUESTO E’ IL POTERE

Post n°247 pubblicato il 09 Novembre 2009 da zmblog
 

QUESTO E’ IL POTERE

Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici… ”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.

Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro. “Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

E’ nell’aria.

Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club. ...

 ...... CONTINUA SU ............   http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=154

Fonte: www.paolobarnard.info - 6.11.2009

 

 
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IL VACCINO DALLE UOVA D'ORO

Post n°246 pubblicato il 29 Ottobre 2009 da zmblog
 
Foto di zmblog

IL VACCINO DALLE UOVA D'ORO

Che i medici siamo tutti complottisti? Oppure sanno che questo vaccino non è stato testato per niente, sia per il poco tempo a disposizione e sia per i quantitativi maggiori (rispetto ai vecchi vaccini) di sostanze tossiche per il nostro organismo...che se venissero sperimentate ne verrebbero fuori delle belle? Novartis nel 2008 fece notizia per la sperimentazione clinica di un vaccino H5N1 in Polonia. La prova fu portata a termine da infermieri e medici locali che somministrarono il vaccino a 350 persone "senza fissa dimora", dei quali 21 sono morti....i metodi sono questi... ma evidentemente i medici che rifiutano il vaccino sanno che "I vaccini sono più pericolosi dell'influenza"!

Tratto dal blog: www.vocidallastrada.com

PER SERI APPROFONDIMENTI:
http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=236

 
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Caro Paolo, perché sei contrario all’unità dei comunisti?

Post n°245 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da zmblog
 

Lettera aperta al compagno Ferrero

Caro compagno Ferrero, credo sia tempo di porti una domanda:

perché respingi la proposta, avanzata dal Pdci - ma ormai fatta propria da tanta parte dei quadri e della base del Prc, dalla diaspora e dall’elettorato comunista - di unire i due piccoli partiti comunisti italiani?

Non è una domanda retorica, un artifizio: è tutta quell’area, ormai vastissima ( anche esterna ai due partiti comunisti , che chiede l’unità, che non sopporta più di vedere i comunisti dissanguarsi, dividersi ) a portela. E’ una domanda vera: vorrebbero tutti conoscere i motivi di fondo (politici, teorici, tattici, strategici, quelli che siano) che ti spingono a dire no.

Ti pongo la questione in questi termini poiché mai, in verità, né tu come segretario né il gruppo dirigente del Prc avete mai formulato una risposta chiara a proposito, che motivasse seriamente il no. E credo che questo rimuovere il problema sia anche irrispettoso, sia per chi la proposta l’ha avanzata che per quell’ormai vasto senso comune comunista che l’unità la vuole ed è già pronto a praticarla. Nel senso che se motivi profondi per il no ci sono è giusto che la nostra base li conosca e possa autonomamente riflettere.

Va ricordato che nessuno – tra tutti coloro che propongono l’unità dei comunisti – pensa a fusioni a freddo, a pure sommatorie di gruppi dirigenti, a improvvisate scorciatoie unitarie. Pensano tutti ad un processo unitario (dai tempi tuttavia politici e non storici); si pensa ad una riflessione ed una ridefinizione politico teorica comune, come base avanzata dell’unità. Nell’appello per l’unità dei comunisti del 17 aprile 2008, nel documento dell’ultimo Congresso nazionale del Pdci, nello stesso documento de “l’Ernesto” al nostro ultimo Cpn, si parla chiaramente di un progetto di unità che si basi sull’autocritica per gli errori fatti da Prc e Pdci e che tale l’unità avvenga sia attraverso il terreno di un nuovo conflitto sociale comunemente vissuto che attraverso la ridefinizione comune di una piattaforma politica e teorica avanzata e adatta alla fase. E’ così che si concepisce il processo unitario e perché - dunque - un comunista non dovrebbe esserne interessato? E’ di buon senso, è facile capirlo, viverlo, organizzarlo. L’unità dei comunisti in un unico partito di lotta e cardine autonomo dell’unità della sinistra anticapitalista – oggi la Federazione - susciterebbe una nuova passione, sia tra i militanti uniti che nei compagni oggi senza partito.

Perché, dunque, questo no ostinato?

Sai benissimo – la dura realtà italiana è sotto i nostri occhi – che siamo di fronte ad un regime reazionario di massa, che per i lavoratori, i precari, le donne, gli immigrati è durissima, che la sinistra è in grande difficoltà, che una primavera politica è lontana, che per i comunisti vi è persino il pericolo di estinzione. E’ anche da questo punto di vista – ad esempio – che la proposta di giungere ad un unico partito comunista e ad un obiettivo comune di 100 mila iscritti ( con sedi uniche, un unico giornale, commissioni di lavoro uniche, cose importanti anche alla luce delle nostre difficoltà economiche) appare di assoluto buon senso e, dunque, molto sentita e voluta da un numero sempre più alto di compagne e compagni.

Perché no, allora? Non trovi giusto che i nostri compagni – dopo tutto questo tempo - ne conoscano finalmente i motivi?

Posso aiutarti? A me sembra che la parte del nostro gruppo dirigente contrario all’unità ragioni più o meno così: “il Prc ha avviato profonde innovazioni, politiche e teoriche, e il Pdci non lo ha fatto”. Prendiamo sul serio questa argomentazione: quali sono queste nostre innovazioni? E’ stata un’innovazione la cancellazione, da parte nostra, della categoria dell’imperialismo? E’stata un’innovazione seria la scelta bertinottiana di affidare completamente il ruolo di “intellettuale collettivo” ( centrale nel pensiero gramsciano) allo spontaneismo dei movimenti ? E’ stata un’ innovazione positiva aver affermato ( Bertinotti e Gianni) che “ i dirigenti e gli intellettuali comunisti del ‘900 sono tutti morti e non solo fisicamente”? E’ stata mai delineata un’analisi profonda, critica ma non liquidatoria, della storia del movimento comunista, o una lettura seria delle nuove contraddizioni di classe in Italia, dei nuovi processi produttivi? No, mai. E’ stata innovativa la leadership – monarchica e mediatica – di Bertinotti e del suo gruppo dirigente sull’intero Partito? Ha prodotto – essa – una forma partito nuova, democratica, unitaria? Noi possiamo dire che il rapporto forte con i movimenti è stato certamente innovativo: ma perché dovremmo pensare che questa lezione non possa essere assunta dagli altri compagni?

Insomma, se il gruppo dirigente del Prc crede di aver risolto il problema della rifondazione comunista ed essere in possesso delle nuove Tesi di Lione e in ragione di ciò non possa unirsi con i comunisti trinariciuti del PdCI, credo che saremmo nella falsa coscienza, nel senso che se c’è qualcosa di concretamente verificabile è che – al posto della rifondazione – il bertinottismo ci ha portati ad un passo dalla liquidazione comunista.

Se la questione che si vuol porre, invece, è quella dell’inclinazione istituzionalista del PdCI è chiaro che – dopo il nostro Congresso di Venezia, il governo Prodi e le nostre cento esperienze subordinate negli Enti Locali – dovremmo più onestamente dire che il problema ( da superare) di tale inclinazione è ormai dell’intero - e piccolo, diviso - movimento comunista italiano.

La questione è ancora quella della scissione del 98 ? D’accordo, per molti è ancora dolorosa. Tuttavia, dopo undici anni e con un regime di destra che toglie il respiro alla “classe” e al Paese non sarebbe meglio andare a vedere le carte, appurare cioè se la proposta unitaria è sincera, fattibile, se lo stesso progetto unitario – di fronte al dolore sociale dilagante - non sia più importante degli attriti passati ?

C’è una tua argomentazione – Paolo – che ha fatto capolino negli ultimi tempi : l’unità tra comunisti non sarebbe praticabile perché – essendo unità tra diversi - porterebbe a nuove scissioni.

La trovo un’argomentazione debole, dai caratteri speciosi e anche un po’ paradossale, nel senso che – seguendone il filo - per non rischiare una eventuale scissione domani si ratifica una profonda scissione oggi. In essa non si considerano alcune questioni; primo, il Pdci non è una cristallizzazione salina, ma è un’organizzazione fatta da donne e uomini in carne ed ossa, da compagne/i esposti anch’essi al mutare del tempo sociale e politico, e oggi noi non siamo più di fronte al primo Pdci cossuttiano, ma ad una formazione in evoluzione e dalla forte pulsione unitaria, che occorre conoscere e non rimuovere pregiudizialmente; secondo, la tesi delle diversità non unificabili varrebbe – allora – anche all’interno del Prc, ove permangono diversità profonde tra varie tendenze comuniste. In verità, ciò di cui non si vuole prendere atto è che, essendo fallito il progetto di rifondazione comunista – come base primaria di un superamento e di un’unità condivisa e non burocratica delle varie “scuole” comuniste – ciò che ora occorre è ripartire dallo spirito originario che ci unì tutti dopo la Bolognina: una consapevole unità tra diversi avente lo scopo di giungere ad una sintesi alta delle differenze attraverso la pratica del conflitto condiviso e una ricerca politico e teorica antidogmatica, aperta, profonda – anche temporalmente lunga, ma seria – e volta alla costruzione di un partito comunista dotato di una prassi e di un pensiero della rivoluzione in occidente ( che nessuno, oggi, detiene).

Non trovi più razionale, compagno Ferrero, persino più appassionante, tentare di ricostruire, attraverso l’unità e attraverso le dure lezioni della storia che tutti abbiamo subito quel processo unitario che tanto ci appassionò dopo la Bolognina? Siamo convinti che questa strada è possibile: i militanti e i dirigenti Prc e Pdci e tanti compagni/e oggi senza partito sono in quest’ordine di idee e attendono fiduciosi.


di Fosco Giannini - Direzione Nazionale Partito della Rifondazione Comunista, pubblicata su Liberazione del 16/10/2009

 
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“MANI SEGRETE” E “WHY NOT” UN SOLO FILONE

Post n°244 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da zmblog
 

“MANI SEGRETE”  E  “WHY NOT”  UN SOLO FILONE

L’affettuosa amicizia tra ‘ndrangheta e massoneria

Agostino Cordova, procuratore di Palmi, tentò di districarsi tra gli intrecci tessuti dalle logge massoniche. Tra molte difficoltà raccolse molto materiale che gli sarebbe servito a dimostrare l’esistenza di un rapporto vincolante tra ‘ndrangheta e politica. Il procuratore riuscì a porre sotto sequestro il computer del Grande Oriente d’Italia contenente l’archivio elettronico di tutte le logge massoniche italiane.
L’inchiesta si allargò fino a produrre circa 800 faldoni e sottoporre ad indagine più di sessanta persone.
La maxi inchiesta di Cordova coinvolse influenti personaggi dell’imprenditoria, della finanza, della politica e della stessa magistratura, anche non strettamente calabrese.
Furono trovate tracce di alcuni grossi scandali come quello legato al traffico di rifiuti tossici, del commercio illegale di armi, degli appalti, fino ad arrivare a sospettare di un traffico di uranio con l’ex Unione Sovietica.
Dopo circa due anni di indagini, nel 1994, l’inchiesta fu tolta dalle mani di Agostino Cordova e  trasferita alla Procura di Roma, dove rimase a prendere polvere fino al 3 luglio 2000 quando il giudice per le indagini preliminari Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, accolse la richiesta di archiviazione dell’inchiesta dichiarando il “non luogo a procedere nell’azione penale per 64 indagati ritenuti appartenenti alla massoneria”.
Tra le varie accuse in seguito mosse ad Agostino Cordova  c’è anche quella di aver raccolto una documentazione definita “abnorme”, in altre parole di aver lavorato troppo. Negli anni Novanta, in Italia, c’erano 146 massoni indagati per mafia e reati politici, 83 dei quali accusati anche di riciclaggio. Fra gli iscritti alle logge figuravano però anche diversi poliziotti e carabinieri, accusati da Cordova di impedire le indagini.

Diversi anni dopo, negli atti di «Why Not» del P.M. Luigi De Magistris, i cui faldoni sono stati oggetto di varie peripezie, prima sequestrati dalla procura di Salerno e in seguito risequestrati dalla procura di Catanzaro, si ipotizza ci siano le prove della riorganizzazione di una “nuova loggia P2” partendo proprio dalle logge calabresi.
De Magistris, nel dicembre 2007, dichiarò alla Procura di Salerno  “le indagini Why Not stavano ricostruendo l’influenza di poteri occulti (…) in meccanismi vitali delle istituzioni repubblicane: in particolare stavo ricostruendo i contatti intrattenuti da Giancarlo Elia Valori, Luigi Bisignani (che dalle carte di Gelli risulterebbe l’affiliato alla loggia P2 tessera 203), Franco Bonferroni e ancora altri, e la loro influenza sul mondo bancario ed economico finanziario. Giancarlo Elia Valori pareva risultare ai vertici attuali della “massoneria contemporanea” e Valori s’è occupato spesso di lavori pubblici”.

Nell’inchiesta Why Not compaiono i nomi di politici, consulenti che operano ad alti livelli nelle istituzioni, finanzieri, un generale della Guardia di Finanza, magistrati, affaristi e alcuni uomini appartenenti ai servizi segreti, tutti massoni. I reati ipotizzati sarebbero quelli di associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni della Ue e violazione della legge sulle società segrete.
L’indagine oggi pare essere giunta ad un punto morto e sembra che il suo destino debba essere il medesimo dell’inchiesta iniziata dal procuratore Cordova.

Cos’è cambiato da Cordova a De Magistris?

Semplicemente che molti dipendenti pubblici tra il 2001 e il 2007, con il sostegno di politici, affaristi e ‘ndranghetisti amici, hanno fatto carriera e il loro potere è aumentato.
Politica, affari e massoneria, dunque, ieri come oggi.
Non c’è da stupirsi se sono gli stessi membri delle logge calabresi appartenenti alla Gran Loggia Regolare d’Italia che affermano che spesse volte all’interno di alcune logge si sono manifestati comportamenti che non si è esitato definire illegali o illegittimi.
E’ il presidente della commissione parlamentare antimafia nella XV legislatura, Francesco Forgione, che parlando di ‘ndrangheta ebbe a dire: “La sua forza sta nell’alto livello di infiltrazione nella politica e nella presenza di un potere occulto come la massoneria che in Calabria ha una pervasività che non esiste in nessuna altra parte di Italia”.

Liberamente tratto da un articolo di Susanna Ambivero

 
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Libera frode in misero Stato

Post n°243 pubblicato il 24 Settembre 2009 da zmblog
 

Libera frode in misero Stato

Il ministro Tremonti

Il Senato peggiora l’infame legge denominata «scudo fiscale». Garantita l’impunità per falso in bilancio, false fatturazioni e false comunicazioni sociali. Si sana tutto con una mancia. Insorge anche l’Associazione nazionale magistrati: «Minata la fiduciadi chi ha agito nel rispetto della legge». Ferrero (Prc): «Governo colluso con i più lerci personaggi e interessi del malaffare».

Fonte: "Liberazione"

Era più onesto il cartello di Medellin. Si è presentato con i suoi capi, con nome e cognome, al Governo colombiano per offrirgli di far rientrare i capitali dall'estero e aiutare così il bilancio pubblico. Il Governo colombiano non accettò. Ma da noi no. In violazione di tutte le norme si fanno rientrare capitali sulla cui costituzione nessuno indagherà mai e si garantisce l'anonimato.

Fonte: "L'Unità"

 
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MAMMA RAI "SCARICA" LA SQUADRA DI REPORT

Post n°242 pubblicato il 07 Settembre 2009 da zmblog
 

MAMMA RAI "SCARICA" LA SQUADRA DI REPORT

La notizia è sconcertante: mamma Rai non garantisce più ai giornalisti di Report la copertura legale. Che storia è questa?! Roba da paralizzare anche i professionisti più coraggiosi! Significa che gli inviati di Milena Gabanelli, da sempre attivi nel denunciare le illegalità e i soprusi che ci circondano, dovranno provvedere di tasca propria alle spese legali cui, da bravi inchiestisti, vanno continuamente incontro.

Sabrina Giannini, Sigfrido Ranucci, Stefania Rimini e gli altri giornalisti di Report dedicano i 3/4 della propria esistenza a ricerche scrupolose: viaggiano in lungo e in largo per arrivare alla verità e rivelarla al pubblico a casa. Scoprono traffici loschi e furti che spesso avvengono sotto i nostri occhi. Smascherano impostori, sfruttatori e tutto questo per offrire un servizio alla gente. Fare del bene, si potrebbe dire, ma non facciamo retorica inutile: non si può ignorare che la squadra di Report svolge un compito importante, che dovrebbe essere tra le mission del servizio pubblico.

La Rai, invece, se ne lava le mani, rivelando un atteggiamento assai pericoloso. La terza rete non ha ancora un direttore; l'inizio di AnnoZero viene rimandato di settimana in settimana perchè i contratti per la redazione del programma non sono pronti; il Tg1 di Minzolini viene continuamente accusato di strizzare l'occhio alla maggioranza, nascondendo gli scandali che hanno travolto il Premier.

E' questo il servizio pubblico che ci meritiamo? Non voglio crederlo. Soprattutto, mi rifiuto di pensare che la tv di Stato sia per le forze politiche - tutte - solo un esercizio di potere. Per i nostri rappresentanti non conta offrire prodotti di qualità, che rendano effettivamente un servizio al pubblico, ma, ancora una volta, accaparrarsi il maggior numero di poltrone. Che brutta televisione!

Fonte: (http://televacation.blogspot.com)

 
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PROFIT ÜBER ALLES! Le corporations americane e Hitler

Post n°241 pubblicato il 03 Settembre 2009 da zmblog
 
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PROFIT ÜBER ALLES! Le corporations americane e Hitler


Nel momento in cui i “liberatori” di ieri “esportano” oggi 
“la democrazia” in mezzo mondo, questa lettura può essere 
preziosa per comprendere le relazioni – di ieri e di oggi – tra 
guerra e profitto: l’alta finanza e le grandi corporations degli 
Stati Uniti (Standard Oil, General Motors, Ford, IBM, Coca Cola, Du 
Pont, Union Carbide, Westinghouse, General Electric, Goodrich, 
Singer, Kodak, ITT, J. P. Morgan, etc. etc.) finanziarono l’ascesa 
al potere del nazionalsocialismo, l’aiutarono a riarmarsi e a 
preparare la guerra, lo sostennero nelle sue aggressioni e 
continuarono a lavorare per lo sforzo bellico tedesco anche quando il 
proprio paese scese in guerra contro la Germania.

Business are business: e la guerra è certamente l’affare più 
remunerativo che si possa immaginare, ieri come oggi.

L’alta finanza statunitense è stata sempre maestra in 
quest’“arte” di mettere il profitto uber alles.

Nel 1941 l’allora Vice Presidente Harry Truman dichiarava: “Se la 
Germania vince, dobbiamo aiutare la Russia, e se la Russia vince, 
dobbiamo aiutare la Germania, affinché possiamo ottenere il massimo 
vantaggio da entrambe”?

È possibile seguire un filo nero che congiunge le motivazione dei 
“liberatori” della seconda guerra mondiale con gli “esportatori 
di democrazia” dei giorni nostri.

È un caso che il nonno di Gorge W. Bush fosse uno dei finanziatori di 
Hitler? Oppure per il nipote il profitto è, come per suo nonno, 
sempre e comunque uber alles?

zM

PROFIT ÜBER ALLES! Le corporations americane e Hitler
di Jacques R. Pauwels
Collana Univesale di Base n. 18
ISBN 978-88-8292-409-6 cm. 11x17 96 pagine 6,00 euro

 
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Il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica

Post n°240 pubblicato il 25 Agosto 2009 da zmblog
 
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Il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica

Nella calura agostana e nell'assordante silenzio mediatico il Governo sta per produrre il più grande licenziamento di massa nella storia della Repubblica.
Da settembre ci saranno quasi 17 mila cattedre in meno per gli insegnanti precari. Tra pochi giorni, contando anche il taglio dei bidelli e degli amministrativi, ci saranno più di 20.000 disoccupati ad aggiungersi all'esercito crescente dei senza lavoro italiani.

Le classi avranno meno docenti ma più alunni e saranno dunque a rischio sicurezza. Si prevede infatti che le classi dall'anno prossimo saranno mediamente composte da 26 bambini all'asilo, 27 alle elementari e 30 in medie e superiori contro una media europea di 15-20 studenti.
Nonostante queste cifre il Ministro va da tempo ripetendo che in Italia ci sarebbero più insegnanti per studente rispetto alla media europea (una vecchia mezza verità, infatti non viene spiegato che nella conta questi signori mettono anche gli insegnanti di sostegno che in Europa non esistono, dato che il nostro è l'unico paese che ha fatto la scelta dell'integrazione dei diversamente abili nelle classi. Di fatto però le nostre sono le classi più affollate d'Europa).

La scuola viene colpita come mai è stato fatto dal dopoguerra ad oggi e i mezzi di comunicazione parlano di realtà scolastica solo in riferimento alla pittoresca proposta leghista dei test di dialetto per i docenti, tutti i telegiornali riportano la decisa condanna della Chiesa della sentenza del Tar Lazio che preclude gli scrutini agli insegnanti di religione ed esclude l'ora di religione dalla valutazione globale degli studenti (dopo mesi di torpore la Santa Sede torna a condannare).

I mass media danno risalto alla notizia del ricorso del Ministero contro la sentenza del Tar Lazio sugli insegnanti di religione. Mentre migliaia di docenti precari stanno per essere cacciati dalla scuola la preoccupazione della Gelmini è quella di mettersi subito sull'attenti per la Santa Sede e ricorrere a favore dei colleghi di religione che non rischiano nulla.

La Gelmini ha affermato: "L'ordinanza del Tar tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie A e di serie B".
E i 17.000 docenti precari che verranno cacciati via il mese prossimo cosa sarebbero? Docenti di serie C? Il Ministro lo sa che i precari di religione sono gli unici tra i docenti precari ad avere lo stipendio assicurato e gli scatti di anzianità?

Un licenziamento di massa nel settore più importante del Paese e nessuno alza la voce. Questo è davvero uno strano Paese.

Fonte: Libero Tassella, insegnante.

 
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SEX AND THE SILVIO

Post n°239 pubblicato il 24 Luglio 2009 da zmblog
 

SEX AND THE SILVIO

Se ne parla in tutto il mondo (tranne che in Italia)

La notizia delle registrazioni della D'Addario e Berlusconi ha fatto il giro dei siti, giornali e televisioni di tutto il  mondo. Ma non da noi. Per non  parlare del presunto ritrovamento delle tombe Fenice a Villa Certosa che avrebbero un valore archeologico immenso: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tombe-fenice:-tutto-regolare/2105144/8
 
Con le parziali eccezioni di Tg3 e Skytg24, i telegiornali italiani hanno ignorato la notizia. O l'hanno nascosta abilmente con un servizio "bulgaro", come ha fatto martedì sera il Tg5

All'estero, invece, le registrazioni realizzate da Patrizia D'Addario e pubblicate dal sito de "L'espresso" sono tra le principali notizie della settimana. Il telegiornale del canale inglese "Channel4" dedica un lungo servizio alla vicenda, trasmettendo parte delle intercettazioni (in Italia non l'ha fatto nessuno).

Quel che non merita attenzione nell'etere italiano va in onda anche su Pro-tv, la principale emittente privata della Romania, che parla di un Silvio Berlusconi "al muro".

Si rifersice ampiamente del caso anche in Francia, su France24.

La vicenda arriva persino sulle televisioni del Perù, con le interviste raccolte fra gli italiani.

Ma non ci sono soltanto i video. I maggiori network mondiali riportano le cronache italiane anche sui loro siti Internet. Lo fa la BBC, lo fa la CNN, lo fa la tedesca RTL.

Immensa poi la mole di notizie riportata sui giornali di tutto il mondo. A cominciare dalla Gran Bretagna. Per il Times di Rupert Murdoch la popolarità del Cavaliere "sta appassendo" mentre "luride registrazioni" parlano di sesso in cambio di favori.

Sarcastico The Independent che titola: "Il primo ministro, Patrizia la prostituta e il letto di Putin".

Più aggressivo il popolare "Daily Mail", quasi divertito a raccontare come le intercettazioni dimostrino che a Belusconi "piace senza preservativo".

Dalla Gran Bretagna alla Spagna. Per El Pais, il giornale che in passato ha pubblicato le foto di Villa Certosa, le nuove rivelazioni de "L'Espresso" dimostrano che "Patrizia D'Addario ha detto la verità", mentre "il primo ministro ha mentito all'opinione pubblica".

La trasposizione fedele delle intercettazioni è poi sulle pagine de El Mundo, principale quotidiano conservatore spagnolo.

Anche in Francia la stampa non si risparmia. Le Figaro racconta la notte di "Berlusconi e una call-girl nel letto di Putin". Sulla stessa linea L'Express, mentre Le Monde ripercorre i burrascosi ultimi mesi del Premier dal "Noemigate allo scandalo delle escort".

La notizia non si ferma al Vecchio Continente. E così l'Indian Express parla dei "Misteri di Berlusconi, delle audiocassette sessuali e del letto di Putin", mentre secondo il canadese National Post il Cavaliere 'affonda sempre di più nello scandalo delle call-girl'.

Il brasiliano O Globo racconta ai lettori come Berlusconi si sia messo "in una situazione imbarazzante", e The Australian News parla di intercettazioni che "fanno arrabbiare" l'avvocato del Primo Ministro, alludendo alle dichiarazioni di Niccolò Ghedini sulla falsità delle registrazioni.

La vicenda è ampiamente trattata anche in Russia (Gazeta), Portogallo (Correio de Manha), Irlanda (Irish Times), Olanda (Da Telegraaf), Romania (Cotidianul), e Austria (Keline Zeitung).

Migliaia, infine, i blog stranieri che dedicano spazio alle registrazioni.. Fra i più famosi c'è senza dubbio The Huffington Post), che racconta l'attacco dell'opposizione in parlamento dopo la pubblicazione delle registrazioni. Lo stesso "Huffington Post" ha appena stilato la classifica dei "dieci peggiori leader del mondo": tra il dittatore nordcoreano Kim Jong Il e il satrapo africano Robert Mugabe, è incluso anche il primo ministro italiano Silvio Berlusconi. Chissà quanti tiggì nostrani riporteranno questa classifica...
Fonte: l'Espresso
 
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L'AFRICA E I POTENTI DEL G8

Post n°238 pubblicato il 15 Luglio 2009 da zmblog
 

L'AFRICA E I POTENTI DEL G8

Dunque, il vertice del G8 si è rivelato come l’ennesima operazione mediatica sbandierata come un evento persino filantropico e umanitario, con uno scopo liberale quanto pragmatico, almeno stando agli scopi dichiarati e alle enunciazioni di principio, quale la cancellazione del debito economico che strangola i paesi africani. Al di là della buona fede e delle buone intenzioni, reali o presunte, di qualche ingenuo spettatore tendenzialmente credulone e sprovveduto, a chi è per indole, vocazione e formazione intellettuale sempre vigile e critico, diffidente e malpensante, non è sfuggito il vero carattere, per nulla caritatevole e misericordioso, di tale avvenimento, ossia una finalità ipocrita e strumentale di mera propaganda ideologica.

Come altre precedenti iniziative persino spettacolari, anche questo annuncio “buonista” appare assolutamente funzionale, o comunque strumentalizzabile, ai fini di un disegno ideologico e propagandistico teso, tra l’altro, a “ripulire” la coscienza sporca della "ricca e opulenta" civiltà occidentale, per procedere infine a riabilitare un sistema economico di rapina, di espropriazione e sfruttamento materiale e intellettuale imposto a danno di miliardi di esseri umani, un sistema economico planetario che da anni è precipitato in una grave perdita di consensi, oltre che in una fase di profonda crisi strutturale.

A questo punto, mi sorge spontanea una domanda: ma chi sono i veri debitori e i veri creditori? Mi spiego meglio. L’Africa, culla del genere umano e delle prime civiltà storiche, è uno sterminato continente ricco di risorse umane e ambientali: forza-lavoro, acqua, petrolio, oro, diamanti, avorio e altre preziose materie prime. Queste immense ricchezze - non solo materiali, se si pensa al saccheggio culturale che ancora oggi subiscono le popolazioni africane - per secoli sono state depredate ed estorte ai legittimi proprietari, ossia gli africani, da parte di una ristretta schiera di superpotenze economico-imperialistiche (soprattutto europee, con l’aggiunta degli Stati Uniti, mentre il Giappone ha sempre mirato al dominio e allo sfruttamento coloniale del continente asiatico) che, in nome di una pseudo-legalità internazionale, continuano a pretendere la restituzione del cosiddetto debito economico accumulato da regimi locali dispotici e corrotti, collusi con lo strapotere occidentale, in seguito ad incessanti acquisti di armi da guerra, i cui principali produttori ed esportatori mondiali sono, non a caso, i suddetti Stati occidentali.

Se leggiamo bene la storia dell’Africa (e dell’intero pianeta) ci rendiamo perfettamente conto che è il "ricco e civile" mondo occidentale ad essere debitore, sia sotto il profilo materiale che culturale, verso i popoli africani, non il contrario. Eppure, chi espone le cose come realmente sono, ossia crudamente e senza ipocrisie, è criticato e bandito quale “nemico” dell’occidente.

Dal canto suo, il G8 ha creato uno dei paradossi più assurdi che si siano mai conosciuti, ma che esprime emblematicamente ed efficacemente la follia e le violente contraddizioni che sono alla base dell’assetto economico sociale vigente su scala planetaria. Infatti, mentre da un lato i capi di Stato riuniti nel G8 hanno pomposamente annunciato di voler abbattere il colossale debito economico (che ammonta a svariate migliaia di miliardi di dollari: una cifra spaventosa) che affoga i paesi africani e che in effetti non potrà mai essere estinto completamente dato che solo gli interessi annui stanno letteralmente strozzando lo sviluppo di quei popoli, soprattutto dell’Africa sub-sahariana e centro-meridionale, dall'altro lato dietro i proclami retorici si annidano nuove, pericolose liberalizzazioni in ambito economico internazionale.

A parte le condizioni di estrema povertà materiale in cui versa oltre un miliardo di persone che vive con meno di un dollaro al giorno, occorre evidenziare la catastrofe sanitaria provocata dalla crescente diffusione di perniciose malattie epidemiche quali l’Aids, che in occidente sono ormai debellate o sotto controllo, mentre in vaste zone del continente africano stanno causando un vero e proprio sterminio di massa a causa degli alti costi dei vaccini imposti dalle multinazionali farmaceutiche.

Ebbene, il mio profondo scetticismo scaturisce esattamente dall’analisi dell’esperienza storica, che mi induce a dubitare del valore di simili iniziative che servono, probabilmente, solo a rimuovere i sensi di colpa e la cattiva coscienza del mondo occidentale. Non è un caso che l’immenso fiume di denaro devoluto finora ai paesi poveri, sia finito in parte nelle tasche dei ceti ricchi dei paesi poveri, in parte è ritornato ai ricchi dei paesi più ricchi in termini di interessi (usurai) sul debito oppure attraverso la vendita di armi.

Allora, si dirà, come sono “bravi, buoni e generosi” i bianchi occidentali, che sono persino disposti ad azzerare il debito finanziario che uccide l’Africa e il Terzo mondo in generale! Ma, domando, quale strozzino ha mai estinto, di sua spontanea volontà, il debito (o una parte di esso) contratto dalle proprie vittime? Nessuno. Eppure siamo pronti a credere che una cosa del genere possa improvvisamente accadere agli usurai dell’economia globale, soltanto perché lo ha detto la Tv, solo perché lo hanno annunciato alcuni capi di stato. Ma che ingenuità sovrumana!

Inoltre, seguendo i telegiornali, ad un certo punto ho visto scorrere le immagini dei potenti del G8, alla stregua di un vero e proprio spot elettorale. Ciò mi ha ulteriormente confermato che un obiettivo strategico di simili iniziative “benefiche”, condotte a livello verticistico, è quello di sottrarre l’iniziativa ai movimenti di base e alle masse, che evidentemente possono solamente svolgere un ruolo da spettatrici, per assegnare invece una funzione decisiva e primaria agli statisti del G8 i quali, grazie anche ai loro giullari e servitori addetti alla propaganda, possono riacquistare la credibilità e il prestigio perduti.

Tuttavia, i capi di stato del G8 non sono tanto potenti e determinanti quanto lo sono, invece, altri centri di comando e dominio “imperiale”, ovvero: le multinazionali, soprattutto quelle petrolifere, degli armamenti, dei farmaci, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e altre strutture del potere economico sovranazionale. Pertanto, le migliori campagne di sensibilizzazione non si promuovono organizzando eventi di pura retorica e demagogia politica, o allestendo megaspot elettorali a beneficio dei presunti padroni della Terra, bensì costruendo dal basso percorsi di lotta, di elaborazione, riflessione e progettazione politica, in cui le masse popolari riescano ad esercitare un ruolo di protagonismo reale, attivo e consapevole, e non quello di semplici spettatori e consumatori passivi di ciò che ormai è diventato soprattutto uno dei tanti mega-spettacoli dello starsistem politico internazionale. Ovviamente, mi riferisco al summit del G8.

Questa è l'umile opinione di un cittadino del mondo che non intende conformarsi agli schemi politici e culturali dominanti, ma cerca di sfuggire alle facili suggestioni suscitate dai mass-media e da iniziative prettamente propagandistiche. In buona sostanza, il mio intento è di smascherare la natura ipocrita e mistificante di tali operazioni di portata planetaria che vengono spacciate come attestati di solidarietà e di amicizia universale, ma in realtà approfittano della buona fede e delle speranze dei popoli.

Non sono un mago né un profeta, per cui non conosco né intendo suggerire la “soluzione” rispetto ai gravi problemi che affliggono gran parte dell’umanità, come la drammatica emergenza della povertà estrema in cui versano i popoli africani. A tale scopo, comunque, non servono le iniziative quali il G8, che celano e perseguono altri interessi, orientati a vantaggio dei decisori del G8 e di quel 20 % di ricchi che consumano oltre l’80 % del reddito materiale prodotto dall’intero pianeta.

 

Lucio Garofalo (Arcoiris.tv)
Neanch'io sono un mago, ma ritengo che una ricetta a lungo termine possa essere riassunta in una famosa frase di un personaggio barbuto di nome Karl...:
"SOCIALISMO O BARBARIE"

 
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Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni verso Israele

Post n°237 pubblicato il 03 Luglio 2009 da zmblog
 

La campagna internazionale

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni verso Israele

Il boicottaggio è strumento dei popoli e degli individui per esprimere concretamente la propria solidarietà con chi lotta per una causa giusta, ed oggi al mondo non c’è causa più giusta di quella dei Palestinesi.

La campagna internazionale per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) nei confronti dello Stato di Israele nasce formalmente il 9 luglio 2005, ad un anno dalla sentenza della Corte di Giustizia Internazionale che aveva dichiarato l’illegalità del Muro dell’Apartheid e, più in generale, l’occupazione dei territori palestinesi. In realtà, di appelli al boicottaggio dell’economia di guerra israeliana ne erano già stati lanciati molti, anche da parte di organizzazioni ebraiche democratiche, ma quello del luglio 2005 è arrivato a costituire il punto di riferimento di tutti quelli che, nel mondo, si battono per una pace giusta in Medio Oriente.

Questo sito nasce per fornire informazioni sulla campagna BDS in Italia e nel mondo e per essere uno strumento di collegamento fra le tante persone che, individualmente o collettivamente, intendono portare avanti anche nel nostro Paese la campagna.

Naturalmente, questo sito si nega ad ogni forma di razzismo e di xenofobia, così come rifiuta ogni ideologia suprematista, sia di origine politica che religiosa. L’obiettivo della campagna BDS è quello di esercitare quella diplomazia dal basso, o diplomazia popolare, che, non solo riguardo la lotta di liberazione del popolo palestinese, da molti anni supplisce alla latitanza ed alla complicità dei governi. Il nostro intendimento è quello di contribuire ad esercitare pressioni crescenti sullo Stato di Israele, affinché si decida a riconoscere il diritto del popolo palestinese alla vita, alla terra ed alla libertà.

Fonte ed approfondimenti: http://www.boicottaisraele.it/files/index.php 

 
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La “Rivoluzione Verde”: il copione è stato riproposto; questa volta in Iran

Post n°236 pubblicato il 23 Giugno 2009 da zmblog
 

La “Rivoluzione Verde”: il copione è stato riproposto; questa volta in Iran

Slogan: “Dov’è il mio voto?”

Attori principali: Studenti e giovani delle classe media e alta, dirigenti dell’opposizione, mezzi di comunicazione internazionale, nuove tecnologie (Twitter, Youtube, cellulari, SMS, Internet).

Attori secondari: Organizzazioni non governative (ONG) internazionali, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Freedom House, Centro per l’applicazione dell’azione non violenta “CANVAS” (ex OTPOR), Centro per il Conflitto Internazionale Non Violento (ICNC), Istituto Albert Einstein, Pentagono, Missione Speciale della Direzione Nazionale dell’Intelligence USA per l’Iran.

Scenario: Elezioni Presidenziali; il candidato ufficiale, Mahmud Ahmadinejad, l’attuale presidente che mantiene una linea molto dura contro l’imperialismo statunitense e il sionismo israeliano e gode di un alto grado di popolarità tra le classi popolari iraniane per gli investimenti in programmi sociali, vince con il 63% dei voti; il candidato dell’opposizione, Mir Hossein Musavi, di classe medio-alta, che prometteva (in inglese) durante la campagna che la sua elezione alla presidenza avrebbe assicurato “un nuovo saluto al mondo”, frase che stava ad indicare che avrebbe cambiato la politica estera nei confronti di Washington, ha perso per più di 15 punti; l’opposizione denuncia una frode elettorale e chiede alla comunità internazionale di intervenire; gli studenti manifestano nelle strade, nelle zone della classe media e alta della capitale, Teheran; dicono di essere “non violenti”, ma provocano reazioni repressive dello Stato con azioni aggressive e immediatamente denunciano presunte violazioni dei loro diritti di fronte ai media internazionali; dicono che il presidente eletto è un “dittatore”.

Luogo: L’Iran, quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo di riserve di gas naturale. In piena flagranza dell’embargo commerciale imposto da Washington, la Cina ha firmato un accordo con l’Iran nell’anno 2004, per un valore di 200.000 milioni di dollari, per l’acquisto di gas naturale iraniano nei prossimi 25 anni. Negli ultimi quattro anni, l’Iran ha stretto relazioni commerciali con i paesi dell’America Latina, nonostante le minacce di Washington, e attualmente sviluppa tecnologia nucleare a scopi pacifici.

Vi suona familiare? Di certo suona familiare ai venezuelani e alle venezuelane che da tre anni, senza ombra di dubbio, stanno vivendo in questo scenario. Le cosiddette “rivoluzioni colorate”, che cominciarono in Serbia nell’anno 2000, con il rovesciamento e la demonizzazione di Slobodan Milosevic, e che poi passarono per la Georgia, l’Ucraina, il Kirghiztan, il Libano, la Bielorussia, l’Indonesia e il Venezuela, sempre con l’intenzione di cambiare “regimi” non favorevoli agli interessi di Washington con governi “più amichevoli”, sono adesso arrivate in Iran. Il copione è identico. Un colore, un logotipo, uno slogan, un gruppo di studenti e giovani di classe media, un processo elettorale, un candidato filo-statunitense e un paese pieno di risorse strategiche con un governo che non rispetta l’agenda dettata dall’impero. Sono sempre le stesse ONG e agenzie straniere quelle che appoggiano, finanziano e promuovono la strategia, fornendo contributi finanziari e formazione strategica ai gruppi studenteschi perché eseguano il piano. Dovunque ci sia una “rivoluzione colorata”, si trovano anche l’USAID, il National Endowment for Democracy, Freedom House, il Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento, il CANVAS (ex OTPOR), l’Istituto Albert Einstein, l’Istituto Repubblicano Internazionale e l’Istituto Democratico Nazionale, per citarne alcuni.

Si esamini questo testo, intitolato “Una guida non violenta per l’Iran”, scritto dall’ex direttore dell’Istituto Albert Einstein, fondatore del Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento (INCR) e presidente di Freedom House, Peter Ackerman, e dal suo collega, coautore del libro “Una forza più potente: un secolo di conflitto non violento” e direttore dell’INCR, Jack DuVall, anch’egli esperto in propaganda e cofondatore dell’Istituto Arlington, insieme con l’ex direttore della CIA, James Woolsey:

“Manifestazioni ripetute, guidate da studenti a Teheran, devono accelerare a Washington il dibattito sull’Iran. Ci si sta ponendo due domande? Le manifestazioni sono in grado di produrre un cambiamento di regime? Che tipo di appoggio esterno servirebbe?

La storia dei movimenti civili, come quello che attualmente si sta creando in Iran, evidenzia che il riscaldamento della piazza non è sufficiente a rovesciare un governo. Se l’aiuto degli Stati Uniti apporta semplicemente più legna al fuoco e l’opposizione interna non lavora per indebolire le fonti reali del potere del regime, non funzionerà.

La lotta vittoriosa del movimento civile ha l’obiettivo di promuovere l’ingovernabilità per mezzo degli scioperi, del boicottaggio, della disobbedienza civile ed altre tattiche non violente – oltre alle proteste di massa -, allo scopo di indebolire e distruggere i pilastri di sostegno del governo. Ciò è possibile in Iran.

Gli avvenimenti in Iran sono simili a quelli della Serbia appena prima che il movimento diretto da studenti sconfiggesse Slobodan Milosevic. Il suo regime si era alienato non solamente gli studenti, ma anche la maggioranza della classe media… Anche la classe politica era divisa e molti erano stanchi del dittatore. Cogliendo l’opportunità, l’opposizione si mobilitò per separare il regime dalle sue fonti di potere…”

L’elemento maggiormente rivelatore di questo articolo non è solo l’ovvia visione interventista che cerca di promuovere un colpo di stato in Iran, ma il fatto che esso fu scritto il 22 luglio 2003, quasi sei anni fa (vedere l’originale: http://www.nonviolent-conflict.org/rscs_csmArticle.shtml). In questi sei anni l’organizzazione di Ackerman e DuVall, insieme ai soci, CANVAS a Belgrado e l’Istituto Albert Einstein a Boston, ha lavorato per formare e rendere efficienti gruppi di studenti nelle tecniche di golpe morbido in Iran, con finanziamenti della NED, di Freedom House e delle agenzie del Dipartimento di Stato. Non è casuale che CANVAS, composto dai leader del gruppo OTPOR della Serbia che rovesciò Milosevic, abbia da qualche tempo cominciato a pubblicare i suoi materiali in farsi e in arabo. Una delle pubblicazioni principali, realizzata con il finanziamento del Dipartimento di Stato degli USA attraverso l’Istituto Statunitense della Pace, dal titolo “La lotta non violenta: i 50 punti critici”, è considerata come “un manuale di perfezionamento della lotta strategica non violenta, che offra una molteplicità di informazioni pratiche…” E’ un libro elettronico diretto a un pubblico giovanile, come evidenzia una grafica, un disegno e un linguaggio per i giovani. Scritto originalmente in serbo, nel corso dell’ultimo anno è stato tradotto in inglese, spagnolo, francese, arabo e farsi (la lingua parlata in Iran). La versione in farsi: http://www.canvasopedia.org/files/various/50CP_Farsi.pdf.

Questo libro è una versione moderna, con un disegno più attraente per la gioventù, del libro originale scritto dal guru della lotta “civile” per il cambiamento di regimi non favorevoli a Washington: Gene Sharp. Il suo libro, “Sconfiggendo un dittatore”, che si è tradotto anche in un film prodotto da Ackerman e DuVall, è stato utilizzato in tutte le rivoluzioni colorate in Europa Orientale, ed anche in Venezuela, ed è considerato dai movimenti studenteschi come la propria “bibbia”. L’introduzione del libro di CANVAS spiega: “Questo libro è il primo che applica l’azione strategica non violenta a campagne reali. Le tecniche presentate nei prossimi 15 capitoli hanno avuto successo in molti luoghi del mondo… Questo libro contiene lezioni apprese attraverso diverse lunghe e difficili lotte non violente contro regimi non democratici e oppositori delle libertà umane fondamentali… Gli autori sperano e credono che comunicare questi punti cruciali in tale formato, vi aiuterà a rendere più operativa l’azione strategica non violenta, affinché possiate recuperare i vostri diritti, superiate la repressione, resistiate all’occupazione, realizziate la democrazia e stabiliate la giustizia nella vostra terra; impedendo che questo secolo sia un’altra “Era degli estremi”.

Ovviamente non è una coincidenza che il libro sia uscito in farsi e in arabo proprio qualche mese prima delle elezioni presidenziali dell’Iran, dal momento che queste organizzazioni avevano già cominciato a lavorare con l’opposizione iraniana per preparare lo scenario del conflitto. E ora, veniamo al contenuto e agli obiettivi di questo libro, che ora vengono perseguiti all’interno del territorio iraniano. (E’ pure interessante segnalare che l’edizione spagnola uscì proprio prima del referendum costituzionale in Venezuela e che la traduzione fu realizzata da un’organizzazione sconosciuta del Messico: “Non violenza in Azione” (NOVA). Un paese in cui ha soggiornato lungamente l’ex dirigente studentesco venezuelano Yon Goicochea, che ha ricevuto addestramento e finanziamento da parte dei gruppi stranieri prima menzionati).

Inoltre, la grande agenzia di destabilizzazione, National Endowment for Democracy (NED), ha anch’essa lavorato attivamente per destabilizzare la rivoluzione iraniana ed imporre un regime favorevole agli interessi di Washington. Dopo le elezioni presidenziali in Iran nell’anno 2005, l’allora segretaria di Stato Condoleeza Rice annunciò la creazione di un nuovo Ufficio per gli Affari Iraniani, con un bilancio iniziale di 85 milioni di dollari approvato dal Congresso statunitense. Gran parte di questo denaro fu dirottato verso il lavoro della NED e di Freedom House, che già stavano finanziando alcuni gruppi all’interno e all’esterno dell’Iran, i quali operavano diffondendo informazioni sugli abusi dei diritti umani in Iran, e la formazione di giornalisti “indipendenti”. Organizzazioni come l’Associazione dei Maestri dell’Iran (ITA) hanno ricevuto finanziamenti della NED fin dal 1991 per promuovere la pubblicazione di una rivista politica che contribuiva alla costruzione di un Iran “democratico”. Anche la Fondazione per un Iran Democratico (FDI), con base negli Stati Uniti, è stata uno dei principali recettori dei fondi della NED. Il suo lavoro è stato orientato nel campo dei diritti umani, principalmente per presentare il governo iraniano come violatore dei diritti dei suoi cittadini. Questa organizzazione è strettamente legata agli istituti dell’ultradestra negli Stati Uniti, come l’American Enterprise Institute e il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, che hanno fatto pressione per le guerre in Medio Oriente*.

La NED ha anche finanziato gruppi come la Fondazione Abdurrahman Boroumand (ABF), una ONG che presumibilmente promuove diritti umani e democrazia in Iran. Questa organizzazione si è incaricata di creare pagine web e biblioteche elettroniche sui diritti umani e la democrazia. Nel 2003, ABF ricevette un fondo di 150.000 dollari per un progetto dal titolo “La transizione alla democrazia in Iran”. Nel 2007, ABF ottenne 140.000 dollari per “creare coscienza sulle esecuzioni politiche dall’inizio della rivoluzione iraniana nel 1979, promuovere la democrazia e i diritti umani tra i cittadini e rafforzare la capacità organizzativa della società civile”. Si impegnò anche ad “assumere un consigliere per le comunicazioni e a condurre campagne mediatiche”.

Quantità di denaro non rivelate pubblicamente dalla NED sono state concesse a diverse ONG tra il 2007 e il 2009, per costruire un appoggio internazionale alle ONG e agli attivisti dei diritti umani nazionali… favorire la società civile iraniana e i rappresentanti dei mezzi di comunicazione a relazionarsi e a comunicare con la comunità internazionale…”

Inoltre, i gruppi più importanti della NED, come il Centro Americano di Solidarietà Lavorativa (ACILS), che in Venezuela ha sostenuto il sindacato golpista dell’opposizione, la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), ha finanziato e consigliato il “movimento operaio indipendente” in Iran dal 2005. Anche l’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) ha ricevuto fondi dalla NED per “legare attivisti politici in Iran a riformisti in altri paesi” e “rafforzare la loro capacità di comunicazione e organizzazione”. Si tratta delle stesse attività e delle stesse agenzie di Washington che conducono le azioni di ingerenza in Venezuela, Bolivia, Nicaragua e altri paesi in cui attualmente gli Stati Uniti cercano di promuovere un cambiamento del governo con un altro più favorevole ai loro interessi.

Anche la manipolazione mediatica su ciò che avviene attualmente in Iran segue un proprio copione. In Venezuela, quando il presidente Chavez vinse le elezioni presidenziali nel 2006 con il 64% dei voti e più del 75% di partecipazione popolare, l’opposizione gridò alla frode (come in generale è abituata a fare in tutti i processi elettorali che perde) e ricevette copertura mediatica allo scopo di formulare e promuovere le sue denunce, nonostante non presentasse nessuna prova che desse fondamento alle accuse. Tale presenza mediatica viene attivata semplicemente per continuare a promuovere correnti di opinione che pretendono di demonizzare il presidente Chavez, definendolo un dittatore, e di gettare discredito sul governo venezuelano, per poi giustificare qualsiasi intervento straniero.

Nel caso dell’Iran, in questo momento vediamo titoli come “Proteste in Europa contro il voto in Iran” (AP), “Khamenei v. Musavi” (Atantic Online), “Grande manifestazione di lutto a Teheran” (Reuters), “Una nuova inchiesta indica la frode” (Washington Post), “Biden esprime “dubbi” sulle elezioni in Iran” (CNN, 14/06/2009), e “Analisti rivedono i risultati “ambigui” in Iran” (CNN, 16/06/2009). I titoli generano l’impressione di una possibile frode elettorale in Iran, giustificando di conseguenza le proteste violente dell’opposizione, sebbene Ahmadinejad abbia vinto con un risultato impressionante, il 63% dei voti, dieci punti in più di quelli che ha conseguito Obama negli Stati Uniti lo scorso mese di novembre. Per spiegare la reazione mediatica, secondo l’ex ufficiale della CIA incaricato della regione del Medio Oriente, Robert Baer, “la maggior parte delle manifestazioni e delle proteste che trovano spazio nelle notizie sono ubicate nella zona nord di Teheran… Si tratta, principalmente, di settori dove vive la classe media liberale iraniana. Sono anche settori in cui, senza dubbio, si è votato per Mir Hossein Mussavi, il rivale del presidente Mahmud Ahmadinejad, il quale ora denuncia la frode elettorale. Ma non abbiamo ancora visto immagini del sud di Teheran, dove vivono i poveri… Per molti anni, i media occidentali hanno visto l’Iran attraverso lo specchio della classe media liberale iraniana – una comunità che ha accesso a Internet e alla musica statunitense, che ha maggiori possibilità di parlare con la stampa occidentale e che dispone di denaro per comprare voli a Parigi o a Los Angeles… Ma rappresenta davvero l’Iran?”

Baer, in un articolo pubblicato nella rivista Time**, afferma che una dei pochi sondaggi affidabili, elaborati da analisti occidentali negli ultimi giorni della campagna elettorale, dava la vittoria ad Ahmadinejad – con percentuali ancora più alte del 63% che ha ottenuto… Il sondaggio è stato effettuato in tutto l’Iran e non solo nelle zone della classe media”.

* http://www.zmag.org/znet/viewArticle/2501

** “Don’t Assume Ahmadinejad Really Lost”, Time online, 16 giugno 2009

di Eva Golinger

su www.rebelion.org del 20/06/2009

Traduzione di Mauro Gemma per http://www.lernesto.it

 
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L'Aquila: esperimenti sulla popolazione

Post n°235 pubblicato il 16 Giugno 2009 da zmblog

L'Aquila: esperimenti sulla popolazione

Questa lettera ORIGINALE  è stata scritta da Andrea Gattinoni, un attore che si trovava a L´Aquila per presentare un film. Le parole sono dirette a sua moglie ma  rappresentano un´efficace testimonianza per tutti quelli che a L´Aquila non ci sono ancora stati. (ZM)

Oggetto: HO VISTO L´AQUILA

Ho visto l´Aquila. Un silenzio spettrale, una pace irreale, le case distrutte, il gelo fra le rovine. Cani randagi abbandonati al loro destino. Un militare a fare da guardia ciascuno agli accessi alla zona rossa, quella off limits. Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. Ho mangiato nell´unico posto aperto, dove vanno tutti, la gente, dai militari alla protezione civile. Bellissimo. Ho mangiato
 gli arrosticini e la mozzarella e i pomodori e gli affettati. Siamo andati mentre in una tenda duecento persone stavano guardando "Si Può Fare" . Eravamo io, Pietro, Michele, Natasha, Cecilia, AnnaMaria, Franco e la sua donna. Poi siamo tornati quando il film stava per finire. La gente piangeva. Avevo il microfono e mi hanno chiesto come si fa a non impazzire, cosa ho imparato da Robby e dalla follia di Robby, se non avevo paura di diventare pazzo quando recitavo. Ho
 parlato con i ragazzi, tutti trentenni da fitta al cuore. Chi ha perso la fidanzata, chi i genitori, chi il vicino di casa. Francesca stanno malissimo. Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione civile non potessero piombargli nelle tende all´improvviso, anche nel cuore della notte, per CONTROLLARE. Gli anziani stanno impazzendo. Hanno vietato internet nelle tendopoli perché dicono che non gli serve. Gli hanno vietato persino di distribuire volantini nei campi, con la scusa che nel testo di quello che avevano scritto c´era la parola `cazzeggio´. A venti chilometri
 dall´Aquila il tom tom è oscurato. La città è completamente militarizzata. Sono schiacciati da tutto, nelle tendopoli ogni giorno dilagano episodi di follia e di violenza inauditi, ieri hanno accoltellato uno. Nel frattempo tutte le zone e i boschi sopra la città sono sempre più gremiti di militari,
 che controllano ogni albero e ogni roccia in previsione del G8. Ti rendi conto di cosa succederà a questa gente quando quei pezzi di merda arriveranno coi loro elicotteri e le loro auto blindate? Lì? Per entrare in ciascuna delle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni umilianti, un terzo grado sconcertante, manco fossero delinquenti, anche solo per poter salutare un amico o un parente. Non hanno niente, gli serve tutto. (Hanno) rifiutato ogni aiuto internazionale e loro hanno bisogno anche solo di tute, di scarpe da ginnastica. Per far fare la messa a Ratzinger, il governo ha speso duecentomila euro per trasportare una chiesa di legno da Cinecittà a L´Aquila. Poi c´è il tempo che non passa mai, gli anziani che impazziscono. Le tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E´ come se avessero voluto isolarli da tutto e da tutti, e preferiscano lasciarli a stordirsi di qualunque cosa, l´importante è che all´esterno non trapeli nulla.

Berlusconi si è presentato, GIURO, con il banchetto della Presidenza del Consiglio. Il ragazzo che me l´ha raccontato mi ha detto che sembrava un venditore di pentole. Qua i media dicono che lì va tutto benissimo. Quel ragazzo che mi ha raccontato le cose che ti ho detto, insieme ad altri ragazzi adulti, a qualche anziano, mi ha detto che "quello che il Governo sta facendo sulla loro pelle è un gigantesco banco di prova per vedere come si fa a tenere prigioniera l´intera popolazione di una città, senza che al di fuori possa trapelare niente".

Andrea Gattinoni, 11 maggio notte.

 
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ELEZIONI SI O NO?

Post n°234 pubblicato il 05 Giugno 2009 da zmblog
Foto di zmblog

VOTARE O NON VOTARE ?

Posto una riflessione di un internauta a mio parere molto comune fra la gente, specialmente negli individui con buon spririto critico...

E io invece non voterò proprio, nè alle europee nè alle provinciali e nè al referendum. Siccome l'unica cosa che interessa a LORO di me, è il mio voto, ebbene non glielo darò. Almeno non potranno dire di agire con la mia delega. L'Europa è una buffonata tragica, con un apparato di comando che nulla ha a che vedere con la democrazia. Le province sono un ente assurdo, inutile, arrogante e dannoso. Il referendum è una merdaccia senza valore voluto dai leghisti che si ingrassano a Roma e farneticano al Nord. Aspetto la Rivoluzione e se non c'è tempo per la RI-Evoluzione, ebbene mi và bene anche quella classica, con tanto di incendi e sbudellamenti. Quando sarà, io ci sarò.

Gli ho risposto così, velocemente e senza pensare molto:

E bravo... magari tu possa campare cent'anni... e dire: " Kazzarola, ti ricordi quando si poteva votare...?" Oppure : "Ti ricordi quando non s'imbrogliava quasi mai alle elezioni?"

Poveretti.. Ma non capite che anche se è grave bisogna scegliere sempre il male minore? Si bisogna scegliere.. il resto è codardia... è come dire ... "Hai visto ho fatto meglio io che non ho votato..." Alla luce di qualche misfatto personale .

Si !

Il meno peggio è sicuramente la LISTA COMUNISTA.

Il non voto è un voto per il potere... Eppure mi sembri una persona istruita... Il non voto è una legittimazione dell'esistente, è un voto per la maggioranza.

Aspettare la rivoluzione?


Ma per favore! Nel 2753 forse... La rivoluzione non è un pranzo di gala E' UN ATTO DI VIOLENZA! Diceva Mao

Al salut

Zmblog

 
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I 100 giorni di Obama

Post n°233 pubblicato il 14 Maggio 2009 da zmblog
 

I 100 giorni di Obama

Non abbiamo mai nutrito dubbi sulla reale natura del “fenomeno Obama”. Non ci siamo mai avventurati nel mare di illusioni che la formidabile campagna di promozione del “fenomeno” ha suscitato e ancora suscita in settori del campo democratico. Abbiamo messo in guardia fin dal primo momento sulla sofisticata operazione di promozione dell’imperialismo nordamericano insita in tale fenomeno: la clamorosa sconfitta della gestione fascistizzante di G. Bush esige la ricomposizione dell’immagine degli USA e la ricerca di altri metodi per tentare di imporre la propria egemonia mondiale. Dopo 100 giorni di governo Obama possiamo affermare che l’esperienza ci ha dato ragione.

Sebbene non sia ancora il momento per dare giudizi definitivi in relazione a numerose questioni, tanto nel campo della politica interna come in quello della politica estera degli USA, tre cose sono già ora evidenti:

-le misure di “lotta alla crisi” adottate dalla nuova amministrazione nordamericana si collocano in una linea di continuità con la precedente amministrazione e servono allo stesso modo il capitale finanziario e il complesso militare industriale;

-il “modello di vita americano” continua a basarsi sull’egemonia del dollaro nel sistema monetario internazionale, senza che il gigantesco debito esterno degli USA abbia condotto al suo collasso;

-con Obama la corsa agli armamenti e l’interventismo aggressivo non hanno subito un arresto, ma sono addirittura proseguiti in alcuni ambiti. Questa è l’inquietante realtà che nessuna simpatica immagine di “apertura” riesce a nascondere.

La profonda crisi del capitalismo sta acutizzando le contraddizioni e la lotta di classe. E’ certo che, nonostante l’importante processo di ricomposizione in corso, i rapporti di forza continuano a mantenersi favorevole all’imperialismo, e che, sia nel movimento comunista e rivoluzionario che nel campo antimperialista, il tratto predominante continua ad essere la resistenza e l’accumulazione di forze. Ma non è altrettanto vero che la dimensione della crisi e lo sviluppo della lotta possono condurre a importanti vittorie parziali e a sviluppi rivoluzionari.

Nelle commemorazioni del 1° Maggio si sono avvertiti incoraggianti segnali di combattività e avanzata, che si aggiungono alle vittorie progressiste in America Latina e in altre parti del mondo. Così è stato recentemente in Sudafrica dove l’ANC, con il contributo di avanguardia della classe operaia e dei comunisti, ha ottenuto uno straordinario successo elettorale, tanto più significativo in quanto realizzato in presenza di serie operazioni tendenti a indebolire e dividere questa grande forza rivoluzionaria e di liberazione del popolo sudafricano.

E’ per questo che, pur manovrando per migliorare l’immagine degli USA, l’amministrazione Obama continua ad ampliare la sua macchina da guerra, a seminare basi militari, a destabilizzare paesi e regioni intere per introdurvi truppe e proteggere governi fantocio, a rafforzare la NATO e a perfezionare strategie di “proiezione delle forze” in tutto il pianeta, ad appoggiare il rafforzamento della componente militare dell’UE, a insistere sulla “minaccia” di “Al Qaeda” e sulla “guerra al terrorismo” come copertura dell’aggressione a paesi sovrani.

L’inganno dell’ “uscita dall’Iraq”, l’allargamento della guerra al Pakistan in Asia Centrale, il concentramento di poderose squadre navali nell’area del Golfo Persico e del Mar Rosso, la silenziosa invasione della Somalia da parte dell’Etiopia e delle forze USA, i nuovi sviluppi della politica aggressiva in direzione dell’Africa, sono fatti che non lasciano molti dubbi sul corso che l’imperialismo in generale e quello nordamericano in particolare intendono perseguire: per far pagare ai lavoratori e ai popoli i costi della crisi capitalista, per tentare di salvare un sistema storicamente condannato e soffocare inevitabili esplosioni di rivolta sociale e trasformazione rivoluzionaria.

I “gesti di apertura” tattici di Obama non devono distrarci dall’essenziale: qualsiasi effettivo mutamento nella politica dell’imperialismo può essere ottenuto con la resistenza e la lotta dei lavoratori e dei popoli.


Fonte: Avante (settimanale del PCP), 12 maggio 2009

Albano Nunes è membro della segreteria del Partito comunista portoghese.
Traduzione a cura della redazione de l’Ernesto.

 
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IL COLOMBIANO E ITALIA-COLOMBIA

Post n°232 pubblicato il 04 Maggio 2009 da zmblog

IL COLOMBIANO
L'Italia riceve Uribe, campione di scandali
E' arrivato a Roma il presidente della Colombia Alvaro Uribe, pluri-inquisito e semi-sepolto da casi giudiziari, scandali e vergogne assortite, sia colombiane che internazionali. Ma Palazzo Chigi e la Santa Sede oggi si apprestano a incontrarlo con tutti gli onori Paramilitari, corruzione, omicidi: in pochi peggio di lui Ma pontefice e premier lo incontrano in pompa magna
Pochi governi al mondo sono stati travolti da tanti scandali quanto i governi Uribe: il record si riferisce sia al numero che alla loro gravità. Tanti da non ricordarsene. La sua elezione favorita dai paramilitari e la rielezione comprata a suon di regali. Paramilitari ricevuti in segreto nel Palazzo per complottare contro la Corte suprema di giustizia. Metà dei congressisti che l'appoggiano (tra i quali suo cugino) implicati nella parapolitica. Ambasciate usate per evitare la galera ai fedelissimi. Servizi segreti usati per spiare giudici, opposizione e giornalisti. I suoi figli che si arricchiscono grazie ai suoi dipendenti. Il fratello giudice del suo ministro degli interni finito in galera per mafia. Un paio di migliaia di giovani fatti fuori dall'esercito per rimpinguare i numeri della guerra alle guerriglie e farsi pagare la ricompensa, proprio come accadeva nel Far West. Fujimori, al suo confronto, è un angelico statista illuminato.
Ossessionato dal proposito di sconfiggere la guerriglia, a Uribe tutto sembra lecito. Anche governare con la logica della barricata: «O con me o contro di me, e quindi con le Farc». Da qui il suo gridare contro il nemico, il difendersi attaccando, aumentando sempre la posta in gioco, senza nessuna autocritica come un giocatore di blackjack che, persa la posta, raddoppia la giocata sperando di rifarsi, fino a quando non ha più nulla da scommettere. In questo caso, la sua popolarità, che persino i sempre compiacenti istituti di sondaggio sostengono in calo impressionante.
A livello internazionale va anche peggio. La Corte penale internazionale sta studiando con attenzione il caso colombiano. I giudici Luis Moreno Ocampo e Baltasar Garzón si stanno interessando soprattutto allo scandalo della parapolitica che riguarda soprattutto i legami tra i seguaci di Uribe e i capi delle Autodefensas Unidas. Quello che ha attratto i due importanti giudici non sono tanto le indagini realizzate dalla Corte suprema di giustizia quanto gli attacchi scagliati dal palazzo presidenziale contro i giudici.
Si tratta, tra gli altri, degli scandali noti col nome dei loro protagonisti, «Tasmania» e «Job». Tasmania è un paramilitare che nell'ottobre del 2007 scrisse una lettera a Uribe informandolo che alcuni giudici volevano comprare la sua testimonianza per incastrarlo. Si accese uno scontro devastante tra il potere esecutivo e quello giudiziario: i giornali parlarono di uno «scontro di treni». Nel giugno del 2008 Tasmania ritrattò le accuse, confessando di essere stato imbeccato dal suo avvocato per conto di Santiago e Mario Uribe (oggi in galera per la parapolitica), rispettivamente fratello e cugino del presidente che sostenne che tutto fosse accaduto a sua insaputa. Job invece è il soprannome di un paramilitare che si riunì alcune volte e clandestinamente nei sotterranei del palazzo presidenziale con due alti funzionari presidenziali per complottare contro la Corte suprema (pochi mesi fa Job è stato ucciso da due sicari in moto). Anche in questo casi, secondo Uribe, tutto sarebbe avvenuto a sua insaputa.
I giudici della Corte suprema sono anche tra i principali obiettivi di una serie di intercettazioni illegali realizzate dal Das (Dipartimento administrativo de seguridad), il servizio segreto alle dirette dipendenze del presidente. Il Das spiava un po' tutti: magistrati incaricati delle indagini sulla parapolitica, politici dell'opposizione, giornalisti dei più importanti mezzi di comunicazione, alti prelati, giudici della corte suprema di giustizia, ong, sindacalisti, generali e anche membri del governo. E lo faceva da sei anni, guarda caso in piena era Uribe. E, naturalmente, a sua insaputa. Durante la sua presidenza, sono caduti in disgrazia ben quattro direttori del Das, compreso Jorge Noguera accusato, tra le altre cose, di essere il mandante di 24 omicidi e di aver usato l'istituzione per operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Prima di tentare di salvarlo, spedendolo al consolato di Milano, Uribe affermò di «mettere la mano sul fuoco» sulla sua innocenza.
Quella delle intercettazioni illegali durante l'era Uribe, è un vizietto anche della polizia. Lo scandalo costò nel 2007 il posto a 11 suoi generali, fatto senza precedenti e, come da copione, finito nel nulla. A dirigere la polizia, è stato richiamato il fido generale Oscar Naranjo, ritiratosi anni fa per l'arresto del fratello in Germania per narcotraffico. Di problemi in famiglia ne ha avuti anche l'attuale ministro degli interni Fabio Valencia Cossio (ed ex ambasciatore a Roma): il fratello Guillermo, giudice a Medellín, è finito in carcere per aver aiutato le strutture mafiose locali.
Tra gli intercettati illustri da parte del Das e della polizia c'erano anche i magistrati della Corte costituzionale, e proprio mentre decidevano la costituzionalità della riforma che avrebbe permesso a Uribe di farsi rieleggere nel 2006. La rielezione ricorda un altro scandalo, quello della «Yidis Politica» dal nome della ex parlamentare Yidis Medina, che raccontò di come il presidente e i suoi consiglieri le avessero promesso benefici economici e politici in cambio del suo voto, risultato poi decisivo per l'approvazione della legge che permise ad Uribe di ricandidarsi. La stessa Medina, sentitasi poi defraudata, uscì allo scoperto, meritandosi un processo e una condanna per essersi fatta corrompere. Mentre i corruttori - secondo la Medina, l'attuale ambasciatore in Italia Sabas Pretelt de La Vega, al tempo ministro degli interni, e Diego Palacio, attuale ministro della protezione sociale - l'hanno finora fatta franca.
Premiare con incarichi diplomatici i servitori fedeli caduti in disgrazia è un'abitudine di Uribe. Oltre al caso di Jorge Noguera spedito a Milano, vanno ricordati i processi contro le ex ambasciatrici in Ecuador e Brasile, contro l'attuale ambasciatore in Messico (ed ex ambasciatore in Italia) Luis Camilo Osorio, considerato l'artefice dell'impunità del paramilitarismo per molti anni, contro Salvador Arana, passato dall'ambasciata cilena alla latitanza con l'accusa di omicidio, contro Juan José Chaux, che ha dovuto rinunciare all'ambasciata nella Repubblica Dominicana perché implicato nello scandalo Job e sostituito dall'ex comandante dell'esercito Mario Montoya, costretto alle dimissioni per lo scandalo dei falsos positivos. Cioè, per un sistema inventato da Uribe, che fa parte della cosiddetta «seguridad democratica», e che comporta premi per chi uccide i nemici: soldi, licenze e rapide carriere nell'arma per i superiori. Un sistema che parve subito funzionare facendo felici i soldati, il ministro della difesa Santos e il presidente che vantava i risultati ai quattro venti. Peccato che i morti non risultassero banditi o guerriglieri, ma ragazzini attirati con la scusa di un lavoro, portati in regioni di conflitto, vestiti da guerriglieri, uccisi e sepolti come N.N. in fosse comuni.
Quando scoppiò lo scandalo, Uribe sostenne che i giovani ammazzati non fossero innocenti: «Se sono andati da quelle parti non è certo per raccogliere caffè». Poi ammise che qualcosa non funzionava, facendo destituire una ventina di alti ufficiali che finirono alla berlina, ma non in galera. E sostiene ancora adesso, che tutto sarebbe successo «a sua insaputa».
Per finire, l'ultimo scandalo che riguarda Tom & Jerry, Tómas e Jerónimo Uribe, i figli del presidente che, nonostante la giovane età, appaiono degli impresari dal grande fiuto. Peccato che questo dipenda dalla solerzia di alcuni funzionari del governo che li hanno resi milionari dall'oggi al domani, trasformando in zona franca alcuni terreni che i due avevano comprato a prezzi stracciati. Anche in questo caso, il papà si dice ignaro. Ancora una volta, tutto sarebbe successo «a sua insaputa».
 
di Simone Bruno da Il manifesto del 30-4-2009 p. 11
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ITALIA-COLOMBIA
Il comune sentire di due leader discussi...
...Alvaro U. e Silvio B.
Ai più che sostengono la fesseria che la violenza in Colombia derivi dallo scontro tra «democrazia e terrorismo» o che dipenda dalla droga, il caloroso invito di Berlusconi a Uribe appare normale. Ai molti che conoscono il marciume del regime colombiano appare invece osceno che Berlusconi individui in Uribe un campione di «governabilità sotto la minaccia del terrorismo» e che per giunta lo proponga in questa veste al prossimo G8.
In realtà, non c'è molto da sorprendersi. Berlusconi e Uribe hanno parecchio in comune. Sono gli orfani più nostalgici di George W. Bush. Godono di un'alta popolarità, pur gonfiata e ottenuta con mezzi diversi, illeciti o controversi. Autoritari per natura, entrambi - chi più e chi meno - vedono un intralcio nelle regole basilari della democrazia e soprattutto odiano quella parte di magistratura che non sono riusciti ad asservire.
Ma anche l'Italia e la Colombia hanno molto in comune. Ad esempio, una sottomissione agli Usa quasi imbarazzante e poco riscontrabile in altri paesi e poi un'incidenza notevole delle mafie nella società e soprattutto nelle istituzioni. Da un decennio a questa parte, Italia e Colombia si assomigliano di più. O meglio, è l'Italia ad essersi avvicinata, e molto, alla Colombia e non solo nell'edificazione di un paese ancora più ingiusto. Vari punti del programma dell'attuale governo italiano sembrano la fotocopia di quello che in Colombia è da tempo realtà: ad esempio la privatizzazione del sistema scolastico, la militarizzazione di parti del territorio, l'accanimento contro i più indifesi (qui gli immigrati, là gli indigeni). Persino gli aspetti più inquietanti della realtà colombiana sono, consapevolmente o meno, un modello da seguire. Basti pensare al tentativo di reclutare gli italiani, a partire dai medici, nella guerra ai «clandestini», che ricorda l'istituzione dell'esercito di informantes creato da Uribe in funzione anti-guerriglia. O, ancora di più, alla sinistra somiglianza tra le ronde cittadine composte dalla presunta gente per bene con le «rondas campesinas» e le cooperative Convivir che, in periodi successivi, rappresentarono il germe del paramilitarismo colombiano, di cui Uribe è stato il vate, l'ideologo, il beneficiario e, fin quando gli è servito e ha potuto, il difensore più estremo. Tante e tali affinità elettive hanno spinto Bogotà a fare dell'Italia il ricettacolo di delinquenti, amici di paramilitari, come l'ex ambasciatore Luis Camilo Osorio o l'ex console a Milano, Jorge Noguera. Alla Farnesina, chiunque fosse il ministro, nessuno ha battuto ciglio alla lettura dei loro curriculum.
Sulla corte di Uribe quindi, in patria e fuori, dentro e fuori il parlamento, nelle istituzioni, nei governi locali, nelle caserme, si staglia l'ombra dei paramilitari (che poi, in Colombia, rappresentano anche i moderni narcos). E tutte le indagini, qualunque sia il loro esito, coinvolgono sempre, direttamente o meno, Alvaro Uribe, così come tutte le confessioni fatte dai capi paramilitari. Nell'ultima, l'erede di Pablo Escobar a Medellín, Diego Fernando Murillo Bejarano, detto «don Berna», ha ammesso l'appoggio politico ed economico delle Autodefensas nella campagna presidenziale di Uribe. «Mentono, la loro parola non vale niente, come si fa a credere a dei criminali?» hanno, in ogni occasione, affermato Uribe e i suoi, allo stesso modo come hanno sempre accusato i difensori dei diritti umani, i giornalisti, i sindacalisti e i politici d'opposizione di prestarsi al gioco della guerriglia. Quando è stato necessario, sono stati utilizzati altri sistemi per tappare le bocche. L'ultimo ad essere ammazzato a Medellín, una settimana fa, è stato Francisco Villalba (un paramilitare ritenuto un maestro nello squartare le vittime), che aveva accusato Uribe e suo fratello Santiago di essere tra i mandanti del massacro di 15 contadini nell'ottobre 1997 a El Aro, nel dipartimento di Antioquia. Benchè fosse stato condannato a 33 anni di carcere, circa un mese fa gli erano stati concessi - stranamente - gli arresti domiciliari per «motivi di salute».
Da qualunque prospettiva si guardi la sua presidenza, ad eccezione di quella inspiegabilmente reticente proposta nei suoi tour da Ingrid Betancourt, Uribe appare il leader di una schiera di delinquenti, poco importa se in giacca e cravatta o in tuta mimetica. E' singolare che a Roma si ritenga che, pur con metodi un po' sbrigativi, abbia qualcosa da insegnare riguardo alla «governabilità sotto la minaccia del terrorismo». Sarebbe più giusto considerarlo un fallito.
Nel 2002 vinse le elezioni col visto di Washington, grazie all'appoggio di tutta l'oligarchia (quella tradizionale e quella parvenù e mafiosa), al terrore delle Autodefensas e proclamando la promessa di sbaragliare in pochi mesi le Farc. Quando si rese conto che non avrebbe potuto mantenerla, fece modificare in maniera fraudolenta la Costituzione per farsi rieleggere ed avere altri quattro anni di tempo. Così come adesso ne sta chiedendo altri quattro. Più che un obiettivo, la sua è un'ossessione ben lontana dall'essere soddisfatta, nonostante i colpi assestati nell'ultimo anno. La declamata «sicurezza democratica» di Uribe beneficia solo i pochi ricchi che possono più tranquillamente raggiungere le loro ville nei week-end, a discapito della massa dei contadini che continuano a dover fuggire dalle loro casupole visto che, ad esempio, nel 2008 gli sfollati per la violenza sono aumentati del 40% rispetto agli anni precedenti. E, oltre tutto, la presunta «sicurezza democratica» ha costi immensi: non solo perché assorbe quasi un quinto del budget nazionale, ma anche per le perdite in vite umane, dei combattenti di entrambi i fronti, e per la decomposizione morale che, a causa della politica di ricompensa di Uribe, ha trasformato i soldati in spregevoli assassini di migliaia di innocenti.
Ma queste sono news che nei palazzi del potere romano, come nei giornali italiani, non sono mai arrivate.
 
da ITALIA-COLOMBIA di Guido Piccoli

 
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72 anni fa moriva Antonio Gramsci

Post n°231 pubblicato il 27 Aprile 2009 da zmblog
Foto di zmblog

ANTONIO GRAMSCI

 22 GENNAIO 1891

27 APRILE 1937

 

PENSATORE E POLITICO

 

RINCHIUSO DAL REGIME FASCISTA, GRAVEMENTE MALATO, PRESSO LA CLINICA CUSUMANO DI FORMIA (LT)

DAL 7 DICEMBRE DEL 1933

AL 24 AGOSTO DEL 1935

AL PROCESSO IL PUBBLICO MINISTERO  ISGRO’ AVEVA AFFERMATO “…PER VENT’ANNI DOBBIAMO IMPEDIRE A QUESTO CERVELLO DI FUNZIONARE ”

 
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Prospettive rivoluzionarie nel XXI secolo

Post n°230 pubblicato il 10 Aprile 2009 da zmblog

Prospettive rivoluzionarie nel XXI secolo
di Domenico Losurdo
 
(pubblicato in lingua portoghese in «Alentejo popular» del 12 marzo 2009, pp. 8-11)
 
Nel 1938 Trotskij fondava la Quarta internazionale a partire da un presupposto: come nel corso del primo conflitto mondiale, così nel corso del secondo conflitto mondiale che ormai si profilava si sarebbe verificata la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria e ne sarebbe derivata un’ondata rivoluzionaria ancora più gigantesca di quella che aveva segnato la nascita della Russia sovietica. In effetti, un’ondata rivoluzionaria scuoteva l’intero pianeta ma si sviluppava secondo modalità diverse e contrapposte, a partire da guerre di resistenza e liberazione nazionale contro l’imperialismo: ciò non valeva solo per l’Unione Sovietica impegnata nella Grande guerra patriottica o per la Cina, o per la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, l’Albania; anche per paesi capitalistici più o meno avanzati quali la Grecia, l’Italia, la Francia, la rivoluzione si sviluppava come guerra di liberazione nazionale diretta dal partito comunista. In realtà, contrariamente alle previsioni di Trotskij, la nascita della Russia sovietica e l’impulso da essa fornita al movimento anticolonialista e sul versante opposto l’emergere del Terzo Reich impegnato a riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, facendola valere nella stessa Europa orientale, in sintesi proprio le novità emerse a partire dall’ottobre 1917 rendevano impossibile la ripetizione dello scenario della prima guerra mondiale.
 
Nel 1952, un anno prima della sua morte, Stalin faceva anche lui una previsione: sconfitti nel 1945, Germania e Giappone non avrebbero subito per sempre l’egemonia degli Stati Uniti; sarebbero scoppiate nuove violente contraddizioni interimperialiste, e ciò sarebbe stata l’occasione per un nuovo e forse decisivo ampliamento del campo socialista. Si sarebbe cioè verificato uno scenario simile a quello della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale, la quale ultima, prima di coinvolgere l’Unione Sovetica, aveva visto scontrarsi solo paesi capitalistici. Com’è noto, le cose sono andate in direzione esattamente contrapposta: la forza del campo socialista e la paura della sua estensione hanno contribuito al compattamento dell’imperialismo, mentre è stato proprio il campo socialista che, non riuscendo a risolvere il problema nuovo del rapporto tra paesi socialisti, ha conosciuto contraddizioni aspre e persino violente al suo interno e infine è andato incontro alla sua dissoluzione.
 
Infine. Nel 1965 da Pechino Lin Piao faceva una terza previsione: la dialettica che aveva promosso la vittoria della rivoluzione in Cina, e cioè l’accerchiamento della città a partire dalla campagna, si sarebbe manifestata anche a livello planetario. La vittoria in Asia, Africa, America Latina delle rivoluzioni anticoloniali dirette da partiti comunisti avrebbe progressivamente accerchiato la metropoli capitalista e imperialista, finché questa stessa avrebbe finito col crollare. In realtà, nel 1928 Mao aveva charito che a rendere possibile la costruzione del «potere rosso» nelle campagne cinesi erano «le contraddizioni e la lotta fra gli Stati imperialisti». Proprio la vittoria della rivoluzione cinese e di altre rivoluzioni anticoloniali spingeva i paesi capitalisti ad accantonare in una certa misura le loro rivalità e a compattarsi sotto la guida degli Stati Uniti. Sicché, tra il 1989 e il 1991 non era la campagna socialista ad accerchiare la metropoli capitalista e imperialista, era al contrario la metropoli capitalista e imperialista ad accerchiare paesi quali Cuba, il Vietnam e la Cina.
 
In conclusione, ogni volta che si è abbandonato al gioco delle analogie, il movimento comunista è andato incontro a cocenti delusioni o a vere proprie catastrofi. E’ necessario invece, per dirla con Lenin, procedere ad un’«analisi concreta della situazione concreta». A questa lezione occorre ispirarsi, allorché ci interroghiamo sulle prospettive della rivoluzione nel XXI secolo. La situazione è radicalmente mutata rispetto al passato. Sull’onda del fallimento del progetto hitleriano di riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, individuando nell’Europa orientale il Far West da colonizzare e germanizzare, sull’onda di Stalingrado e della disfatta inflitta al nazifascismo, subito dopo la seconda guerra mondiale si sviluppava una rivoluzione anticolonialista di dimensioni planetarie. Ad essere scosse non erano solo le colonie propriamente dette. In paesi come gli Stati Uniti e il Sudafrica i popoli di origine coloniale si ribellavano contro lo Stato razziale e il regime di white supremacy. Prima ancora che trovare espressione cosciente nei partiti e nelle forze di sinistra, l’internazionalismo era nei fatti: esso abbracciava i popoli coloniali e di origine coloniale, i paesi socialisti che appoggiavano la rivoluzione anticolonialista e antirazzista, le masse popolari dell’Occidente che si erano scosse di dosso il giogo del fascismo e che talvolta, ad esempio in Italia, erano riuscite a sancire nella stessa Costituzione il rifiuto della guerra e della politica di guerra e di egemonia.
 
1. La rivoluzione anticoloniale ieri e oggi
 
Ebbene, la prima domanda che ci dobbiamo porre è questa: che ne è oggi della gigantesca rivoluzione anticoloniale stimolata dalla rivoluzione d’ottobre e accelerata da Stalingrado? No, tale rivoluzione non è dileguata. In una realtà come quella palestinese il colonialismo continua a sussistere nella sua forma classica, come dimostrano l’ininterrotta espansione delle colonie israeliane nei territori occupati, la conseguente espropriazione, deportazione ed emarginazione del popolo palestinese e il diffondersi di un regime di apartheid. E, tuttavia, nonostante la strapotenza e l’impiego barbarico della macchina da guerra israeliana, sostenuta peraltro dagli Stati Uniti e dalla stessa Unione Europea, nonostante tutto ciò, il popolo palestinese resiste eroicamente.
 
In altre parti del mondo la lotta tra colonialismo e anticolonialismo si manifesta in forme diverse. Sul continente americano il Novecento si apriva con una significativa dichiarazione di Theodore Roosevelt: alla «società civilizzata» nel suo complesso – egli affermava – spettava un «potere di polizia internazionale», e tale potere gli Stati Uniti l’avrebbero esercitato in America Latina. A partire da questa ripresa e radicalizzazione della dottrina Monroe, non si contano gli interventi militari effettuati dalla repubblica nordamericana a danno dei suoi vicini, considerati estranei al mondo civile e assimilati a barbari bisognosi della tutela imperiale. Sennonché, la dottrina Monroe è caduta radicalmente in crisi a partire da una rivoluzione di cui in questi giorni si è celebrato il cinquantesimo anniversario. Nel corso del mezzo secolo nel frattempo trascorso, ogni mezzo è stato messo in atto per isolare, diffamare. strangolare, liquidare la rivoluzione cubana, ma oggi la sua forza e il suo significato internazionale sono confermati dai mutamenti in atto in paesi quali il Venezuela, la Bolivia, l’Ecuador, il Brasile, il Nicaragua, il Paraguay. Con modalità di volta in volta assai diverse, la rivoluzione anticolonialista e antimperialista è in marcia in America Latina.
 
Nel corso del Novecento la rivoluzione anticolonialista ha divampato anche in Asia e in Africa. E’ oggi? Per fare il punto della situazione, conviene prendere le mosse da un’osservazione di Frantz Fanon, il grande teorico della rivoluzione algerina. Allorché si sentono costrette a capitolare – scrive Fanon nel 1961– le potenze coloniali sembrano dire ai rivoluzionari: «Giacché volete l’indipendenza, prendetevela e crepate»; in tal modo «l’apoteosi dell’indipendenza si trasforma in maledizione dell’indipendenza». E’ a questa nuova sfida, di carattere non più militare, che occorre saper rispondere: «ci vogliono capitali, tecnici, ingegneri, meccanici, ecc.». D’altro canto, già nel 1949, prima ancora della conquista del potere, Mao aveva insistito sull’importanza dell’edificazione economica: Washington desidera che la Cina si «riduca a vivere della farina americana», finendo così col «diventare una colonia americana». E dunque, senza la vittoria nella lotta per la produzione, agricola e industriale, la vittoria militare era destinata a rivelarsi fragile e inconcludente. In altre parole, Mao e Fanon hanno in qualche modo previsto da un lato lo stallo di tanti paesi africani che non sono riusciti a passare dalla fase militare alla fase economica della rivoluzione, dall’altro la svolta verificatasi in rivoluzioni anticoloniali come quella cinese e vietnamita.
 
2. La nascita del Terzo Mondo
 
E’ un punto cruciale sul quale conviene soffermarsi. Chiediamoci in che modo si è formato il Terzo Mondo, lo spazio tradizionalmente oppresso e saccheggiato dall’Occidente colonialista e imperialista. Con una lunga storia alle spalle, che l’aveva vista per secoli o per millenni in posizione eminente nello sviluppo della civiltà umana, ancora nel 1820 la Cina vantava un Pil che costituiva il 32,4% del Prodotto interno lordo mondiale; nel 1949, al momento della sua fondazione, la Repubblica Popolare Cinese era divenuto il paese più povero, o tra i più poveri, del globo. Non molto diversa è la storia dell’India che, sempre nel 1820, contribuiva per il 15, 7% al PIL mondiale, prima di cadere anch’essa in una spaventosa miseria. E cioè, non possiamo comprendere il processo di formazione del Terzo Mondo facendo astrazione dalla politica di saccheggio e di de-industrializzazione condotta dalle potenze colonialiste e imperialiste.
 
Ma al processo di formazione del Terzo Mondo contribuisce un’altra circostanza. Per comprenderla, dobbiamo far riferimento ad una rivoluzione che alla fine del Settecento si svolge in un paese che oggi si chiama Haiti ma che allora portava il nome di Santo Domingo. E’ una rivoluzione degli schiavi neri che spezzava al tempo stesso le catene del dominio coloniale e dell’istituto della schiavitù: nasceva così sul continente americano il primo paese affrancato dal flagello della schiavitù. A dirigere questo processo di emancipazione era un giacobino nero, Toussaint Louverture, una grande personalità storica per lo più ignorata dai nostri libri di storia ma che in una società democratica dovrebbe figurare obbligatoriamente anche nei libri di educazione civica. Ebbene, dopo la vittoria militare Toussaint Louverture si poneva il problema dell’edificazione economica: a tal fine avrebbe voluto utilizzare anche i tecnici e gli esperti bianchi provenienti dalle file del nemico sconfitto; per questo motivo fu accusato o sospettato di voler restaurare il dominio bianco e di tradire così la rivoluzione. Ne scaturiva una tragedia che ancora oggi ci deve far riflettere. Santo Domingo era un’isola assai ricca, grazie allo zucchero prodotto in piantagioni di ampie dimensioni e di notevole efficienza e largamente esportato. Certo, la ricchezza prodotta dagli schiavi era intascata dai loro padroni. Era possibile per gli ex-schiavi far funzionare a loro profitto l’economia sviluppata da loro ereditata grazie alla rivoluzione? Disgraziatamente, in seguito alla sconfitta della linea di Toussaint Louverture, a Santo-Domingo/Haiti subentrava un’arretrata agricoltura di sussistenza. L’isola conosceva così la miseria generalizzata, ed essa è tuttora uno dei paesi più poveri del globo. In conclusione, a formare il Terzo Mondo sono anche i paesi che non riescono a passare dalla fase militare a quella economica della rivoluzione, i paesi in cui per una ragione o per un’altra la rivoluzione anticoloniale conosce la sconfitta o il fallimento.
 
3. L’imperialismo e la condanna all’inedia dei popoli ribelli
 
Non si comprenderebbe nulla della lotta tra colonialismo e anticolonialismo, tra imperialismo e anti-imperialismo, se non si tenesse conto che essa viene condotta anche sul piano economico. Subito dopo la rivoluzione guidata da Toussaint Louverture, Thomas Jefferson dichiarava di voler ridurre all’«inedia» il paese che aveva avuto la sfrontatezza di abolire la schiavitù. Questa medesima vicenda si è riproposta nel Novecento. Già subito dopo l’ottobre 1917, Herbert Hoover, in quel momento alto esponente dell’amministrazione Wilson e più tardi presidente degli Usa, agitava in modo esplicito la minaccia della «fame assoluta» e della «morte per inedia» non solo contro la Russia sovietica ma contro tutti popoli inclini a lasciarsi contagiare dalla rivoluzione bolscevica.........

 
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