Nel
Il presente articolo di Renato Palazzi è stato pubblicato nel numero di gennaio di
LinusC'è ormai qualcosa di totalmente astratto e misterioso nel teatro di
Alessandro Bergonzoni.
Già solo etichettare il personaggio è un'impresa che si presenta
piuttosto ardua: lui recita, ma non è un attore. Lui fa ridere - e
molto - ma mai nella vita verrebbe in mente di definirlo un comico.
Come circoscrivere la natura dei suoi spettacoli: sono gli spericolati
esercizi creativi di un funambolico artefice della parola? Sono i saggi
di virtuosismo di un ardito campione del non-senso? Sono squarci di
letteratura surrealista, o sono il frutto di una pura farneticazione
visionaria, da usare come materiale di ricerca psichiatrica? E
rispondere che sono un po' di tutto questo, ci fornisce qualche utile
indicazione?Anche dal punto di vista dei precedenti culturali non è facile attribuirgli una precisa collocazione: viene in mente il grande
Achille Campanile,
quello del mitico tasso del Tasso, quello dell'acqua minerale e del
figlio naturale, quello secondo il quale Eva, interrogata dal compagno
su quale tecnica di pesca usi, se a rete o ad amo, non può che
rispondergli sicura «ad amo, Adamo». Dissennate costruzioni sonore come
«Licio, lascia all'uscio l'ascia liscia», imbarazzanti equivoci come
quello di Galileo che non riesce a spiegare al granduca di Toscana
d'aver scoperto che il mondo si muove «col pendolo» e non «colpendolo»,
potrebbero in effetti tranquillamente rientrare nello stile di
Bergonzoni.Ma Campanile è in qualche modo più prudente: lui
senza dubbio si fa incessantemente beffe del senso comune, ma
mantenendo pur sempre una certa osservanza delle buone maniere, una
qualche minima attinenza fra lo sconquasso della logica e le buffe o
tragiche circostanze della vita (che diamine, è legittimo avere un
figlio naturale ed è naturale avere un figlio legittimo!): il bolognese
di cui non si riesce a definire il ruolo ci va invece giù molto più
duro, fa a pezzi fino in fondo ogni normale costrutto mentale, svuota,
sovverte la sintassi, ribalta il significato delle parole, vanifica gli
stessi fondamentali processi del pensiero occidentale, quel cogito, ergo sum che nelle sue inaffidabili mani diventa immediatamente un cogitus interruptus. In sintesi, ti sottrae forse per sempre qualunque rassicurante certezza sull'ordine delle cose.Faccio un esempio ricavato dal suo ultimo spettacolo, che si intitola
Nel,
preposizione articolata senza ulteriori precisazioni di tempo o di
luogo (e già questo sembra un periglioso salto nel vuoto): potreste mai
immaginare una categoria più refrattaria a qualunque genere di battute
degli agenti di pubblica sicurezza che si occupano di perseguire
battone e magnaccia? Ebbene, per Bergonzoni sono i poliziotti
mangiatori di bikini, in quanto fanno parte della buon costume. E
avreste mai supposto che sia ancora possibile ricavare dei motivi di
divertimento da una figura di cui ha abusato ogni sorta di umoristi,
come quella della suocera? Lui ipotizza che esistano suocere cannibali,
essendoci di mezzo generi alimentari.E poi - si parla ancora di Nel
- c'è chi ha sempre qualcosa in serbo per un croato, e c'è il figlio
incestuoso che prima di accoppiarsi con la madre si chiede cosa accadrà
in seguito, perché è affetto dal complesso di E dopo. C'è chi
fa il presepe in cucina per mettere a bagno Maria, e chi sostiene che
una frazione di Lodi sia una parte di complimenti vicino a Milano. C'è
la donna superficiale che giura amore esterno e c'è la donna che si accontenta e si chiama appunto Eva be'. Ci sono i body guard rail e il salone della natica.
E al cliente che ha ordinato un millesimo di secondo, il ristoratore
non vuol portare neppure le posate. Ma se c'è una corsa di capelli,
come si fa a capire chi è in testa?Ovviamente, non è solo questione di folgoranti calembour: qui, più ancora che in altri precedenti spettacoli, Bergonzoni cancella ogni residuo filo conduttore (nel precedente,
Predisporsi al micidiale,
c'era persino una finta opera lirica), e si avventura in una dimensione
di sproloquio che a tratti assume un andamento persino un po'
inquietante: ci sono delle fasi in cui l'instancabile affabulatore
sembra preso da spirali di delirio di cui forse egli stesso ignora dove
inizino e dove possano esattamente portarlo. Discute con se stesso,
litiga da solo, si contraddice. Dopo pochi istanti, nessuno - neppure
lui - sa più di cosa stia parlando, e perché ne stia parlando. Ma
anziché fermarsi per chiederselo, ci si addentra ancor di più, ci si
butta a rotta di collo.Sono questi i momenti in
cui tutti ci si sente completamente privi di qualunque appiglio, di
qualunque sicurezza cui aggrapparsi. Più che parole in libertà, paiono
degli squinternati vortici di pensiero che travolgono e imprigionano in
primo luogo proprio colui che ne è non tanto la fonte, il consapevole
orditore quanto la vittima inerte e passiva: e lui, trascinato,
sballottato dalla forza delle sue stesse fibrillanti fantasie, appare
come l'emblema della solitudine dell'uomo che lotta vanamente contro
l'impossibilità di tenere a freno i propri flussi mentali. è in tali
circostanze che il talento di Bergonzoni assume davvero qualcosa di
mostruoso. È lì sul palco, davanti a te, che sta
snocciolando le sue facezie, ed ecco che all'improvviso lo trovi
intento a raccontare di astrusi passeri che si introducono nella stanza
di una poetessa, o di chirurghi neolaureati che operano dalla finestra
del quarto piano passanti che vanno per strada correndo, con bisturi
lunghi venti metri. Come ci è arrivato? Impossibile ricostruirlo. A che
scopo ci è arrivato? Non certo con l'innocuo intento di divertire lo
spettatore: il suo ritmo è ormai tanto serrato che letteralmente non si
riesce a stargli dietro. Siamo al puro virtuosismo, a una prova di
bravura che lo spinge a rendere i suoi exploit di illusionismo verbale
sempre più veloci: la mano è più svelta dell'occhio, la voce è più
svelta dell'orecchio, non fai in tempo a sentire quel che dice,
figuriamoci se riesci anche a collegarlo al cervello.In
tutto ciò - impossibile negarlo - ci sono anche evidenti risvolti
metafisici. Non a caso, d'altronde, lui si pone domande definitive come
quella sulla fine che fanno i cuscini dei decapitati, evoca entità
enigmatiche come i "collaudatori di attimi", si propone addirittura di
giocare "a nascondio, ovvero a nascondino con dio". Ma il
punto non è questo: la vera essenza metafisica dell'arte di Bergonzoni
trascende le applicazioni specifiche per toccare questioni assolute e
universali: come funzionano i meccanismi in sé della logica? Cosa fa sì
che un'argomentazione razionalmente costruita nasconda trappole
micidiali, e che un discorso astruso possa invece apparire più o meno
ingannevolmente convincente?A dimostrarlo ci sono
gli A.F.A.I., gli Abbinamenti Fantastici Apparentemente Incredibili,
che consistono nello stabilire nessi di causa ed effetto tra atti che
non hanno legami tra loro: ad esempio, "e se bastasse leccare la suola
a un portiere d'albergo per guarire dal diabete? Chi l'ha detto che
questa cosa non funzionerebbe? Ci ha mai provato nessuno?". Oppure:
"Per far resuscitare una persona basta andare al suo funerale e al
microfono dell'altare dire sessantasette volte: oggi ho dato fuoco a un
barboncino di nome Lucio. Fino a quattro te lo fanno dire, poi il
chierichetto e il prete ti prendono e ti sbattono fuori. E infatti non
resuscita nessuno". È ovvio che con presupposti di questo tipo non
esiste limite a tutto ciò che la perversione della mente umana può
arrivare a concepire.C'è poi l'insondabile enigma
delle reazioni che Bergonzoni è in grado di suscitare, qualunque sia la
platea che si trova di fronte, qualunque sia lo spettacolo che sta
presentando. Palesemente, lui da sempre tutto fa salvo preoccuparsi che
ogni singola battuta vada effettivamente a buon fine: secondo un'antica
consuetudine, preferisce spararle a raffica, per così dire nel mucchio.
Chi le coglie le coglie, una buona metà va magari perduta, ma non si
può aspettare chi è meno pronto di riflessi, fermarsi per controllarne
l'effetto sul pubblico sarebbe controproducente, sarebbe in
contraddizione col suo stile e con la sua personalità tracimante.
Eppure, inspiegabilmente, non si ha mai la sensazione di una risposta
casuale da parte di coloro che lo ascoltano.Si
direbbe che tutto ciò che dice abbia dentro dei congegni di puntamento,
dei timer, dei meccanismi di attivazione a distanza. Come piccole bombe
a orologeria, le brucianti assurdità che butta lì con apparente nonchalance
agiscono spesso a scoppio ritardato, ma presto o tardi agiscono
comunque. I risultati che ottiene sembrano calcolati in base a oscure
ma precise formule algebriche note soltanto a lui: l'unico altro uomo
di palcoscenico altrettanto lucido nel perseguire una tecnica della
comicità come puro teorema matematico era
Walter Chiari,
che però lavorava su una materia ben diversa, sketch, scenette
convenzionali, barzellette, seppur smontate e analizzate col suo alto
ingegno strutturale, mentre qui siamo nell'ambito del doppio salto
mortale senza rete.Che ci crediate o no, col suo
modo di procedere logorroico e incalzante Bergonzoni riesce a innescare
diverse tipologie di risate, tutte, si presume, ugualmente ricercate e
mirate, anche se non saprei spiegare come. Fino a oggi, ne ho
catalogate almeno quattro possibili varianti, ma resto aperto a
ulteriori aggiornamenti: c'è la risata differita, per
cui si ride ineluttabilmente un quarto d'ora dopo, o magari persino
l'indomani, su una battuta che torna in mente e che al momento non ci
eravamo neppure accorti di aver sentito. C'è la risata selettiva,
che coinvolge di volta in volta singoli gruppi di spettatori, singole
zone della sala e non altre, individuate con chirurgica precisione. C'è
la risata a fasi alterne, per cui due persone sedute
l'una accanto all'altra ridono sistematicamente a turno, ora questa,
ora quella, con cronometrica puntualità. Infine c'è la risata a ritmi personalizzati,
ogni tre, ogni sette, ogni dieci battute, ma in ogni caso con una
imperscrutabile regolarità che si mantiene costante per la durata
dell'intero spettacolo.A puro titolo di studio e
di ricerca, vi invito ovviamente a sperimentare su voi stessi la vostra
appartenenza a una delle categorie qui enunciate: se andrete ad
assistere a
Nel
tenetevi d'occhio, ascoltatevi, seguitevi con estrema attenzione,
soppesate le reazioni che avrete e non mancate di paragonarle con
quelle dei vostri accompagnatori o vicini di posto. Con uno sforzo
minimo, date il vostro contributo al progresso della scienza: e chissà,
potreste forse scoprire di far parte di un ceppo ancora ignoto.
di
renato palazzi